Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 24-06-2011) 03-10-2011, n. 35809 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Cagliari condannava A.M. e A. M. alle rispettive pene ritenute di giustizia, in relazione all’accusa di detenzione illecita e cessione di sostanza stupefacente del tipo hashish, con il riconoscimento dell’attenuante della lieve entità del fatto e delle attenuanti generiche: reato commesso il (OMISSIS).

Avverso detta sentenza proponevano rituale gravame i predetti imputati, e la Corte d’Appello di Cagliari confermava l’impugnata decisione ancorando il proprio convincimento, circa la ritenuta colpevolezza degli imputati, al compendio probatorio acquisito, con particolare riferimento alle circostanze oggettive acclarate dagli investigatori al momento del fatto, al rinvenimento presso l’abitazione degli A. di una bilancina di precisione e di tre bustine idonee per il confezionamento di dosi di droga, alle dichiarazioni rese in sede di sommarie Informazioni da taluni giovani i quali avevano riferito di aver acquistato droga dagli imputati; la Corte territoriale precisava che correttamente il primo giudice aveva fondato la sentenza di condanna anche sulle dichiarazioni rese nel corso delle indagini da tal C.R., sottolineando che costui in dibattimento aveva mutato versione perchè intimidito dalle scritte minacciose comparse nel paese dopo che era stato disposto l’accompagnamento coattivo del C. stesso per essere sentito come testimone.

Hanno proposto ricorso per cassazione gli imputai predetti, con distinti atti di impugnazione di identico contenuto e graficamente sovrapponibili, deducendo vizio motivazionale in ordine all’affermazione di colpevolezza, muovendo dal rilievo che il compendio probatorio acquisito non avrebbe consentito di pervenire ad una sentenza di condanna al di là di ogni ragionevole dubbio, e sostenendo in particolare che: 1) sarebbero state erroneamente valorizzate sul piano probatorio le dichiarazioni rese dai testi C. e Co., avendo costoro reso in dibattimento versioni opposte, e tra loro non collimanti circa lo svolgimento dei fatti; 2) non avrebbero rilievo probatorio gli oggetti rinvenuti presso l’abitazione degli A., posto che costoro convivevano con il fratello M., indagato per violazione della legge sugli stupefacenti proprio nell’arco temporale tra il (OMISSIS); c) nessun elemento concreto sarebbe stato acquisito a sostegno della tesi secondo cui le scritte minacciose comparse sui muri del paese nei confronti del C. avrebbero avuto un diretto riferimento alla vicenda processuale in cui risultavano coinvolti gli A..

Motivi della decisione

I proposti ricorsi devono essere dichiarati inammissibili per le ragioni di seguito indicate. Ed invero, le doglianze dei ricorrenti risultano manifestamente infondate – nonchè ripetitive di quelle già dedotte in sede di appello (e dalla Corte di merito disattese) – e concernono inoltre apprezzamenti di merito incensurabili in questa sede avendo la Corte d’Appello dato adeguatamente conto delle proprie statuizioni con le argomentazioni sopra richiamate sinteticamente nella parte relativa allo svolgimento del processo. Le censure dedotte dagli imputati – per quanto si rileva dal tenore della loro formulazione – appaiono, come detto, anche ripetitive delle tesi già proposte in appello.

Giova sottolineare che, secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte, il vizio di motivazione deducibile in sede di legittimità deve, per espressa previsione normativa, risultare dal testo del provvedimento impugnato (Sez. Un. N.6402/97, imp. Dessimone ed altri, RV. 207944; Sez. Un., ric. Spina, 24/11/1999, RV. 214793;

Sez. Un. rie. Jakani, ud. 31/5/2000, RV. 216260; Sez. Un., rie.

Petrella, ud. 24/9/2003, RV. 226074), o – a seguito della modifica apportata all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8 – da "altri atti del procedimento specificamente indicati nei motivi di gravame"; il che vuoi dire – quanto al vizio di manifesta illogicità – per un verso, che il ricorrente deve dimostrare in tale sede che l’iter argomentativo seguito dal giudice è assolutamente carente sul piano logico e che, per altro verso, questa dimostrazione non ha nulla a che fare con la prospettazione di un’altra interpretazione o di un altro iter, quand’anche in tesi egualmente corretti sul piano logico: ne consegue che, una volta che il giudice abbia coordinato logicamente gli atti sottoposti al suo esame, a nulla vale opporre che questi atti si prestavano ad una diversa lettura o interpretazione, ancorchè munite di eguale crisma di logicità.

Nella giurisprudenza di legittimità è stato, inoltre, affermato il seguente principio di diritto: "E" inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo, invero, deve essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell’art. 591 c.p.p., comma 1, lett. e), all’inammissibilità" (in termini, Sez. 4, N. 256/98 – ud. 18/9/1997 – RV. 210157; nello stesso senso Sez. 4, N. 1561/93 – ud. 15/12/1992 – RV. 193046). Il ricorso per cassazione deve rappresentare censura alla sentenza impugnata, criticandone eventuali vizi in procedendo o in iudicando: esso, quindi, non può consistere in una supina riproposizione delle doglianze espresse con l’appello, ma deve consistere in una critica alle ragioni in fatto e/o in diritto sulla cui scorta il secondo giudice ha ritenuto di dover disattendere il gravame.

Nella concreta fattispecie la decisione impugnata si presenta formalmente e sostanzialmente legittima ed i suoi contenuti motivazionali – quali sopra riportati nella parte narrativa e da intendersi qui integralmente richiamati per evidenti ragioni di economia di esposizione – forniscono, con argomentazioni basate su una corretta utilizzazione e valutazione delle risultanze processuali, persuasiva risposta ai rilievi che erano stati mossi dagli imputati alla sentenza di primo grado, in relazione all’affermazione di colpevolezza. Con le dedotte doglianze, relative ad asseriti vizi motivazionali, i ricorrenti, per contrastare le conclusioni cui è pervenuta la Corte distrettuale, non hanno fatto che riproporre in questa sede – attraverso considerazioni e deduzioni svolte per lo più in chiave di puro merito – tutte le questioni relative alla valutazione del materiale probatorio trattate dalla Corte territoriale: di tal che le due integrative pronunce di primo e secondo grado non risultano scalfite dalle doglianze dedotte con i ricorsi. Circa l’affermazione di colpevolezza, la Corte di merito – attraverso il percorso argomentativo già sopra ricordato – ha richiamato il compendio probatorio emerso a carico degli imputati, indicando specificamente gli elementi acquisiti a carico degli stessi. Per mera completezza espositiva, talune precisazioni si impongono con riferimento alla prescrizione del reato. Alla data odierna – avuto riguardo alla data di accertamento del reato ( (OMISSIS)), al titolo del reato medesimo (detenzione illecita di hashish, con attenuante ex D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5), ed alla pena edittale per lo stesso prevista (da sei mesi a quattro anni di reclusione) – risulta cronologicamente decorso il termine massimo di prescrizione, pari a sette anni e sei mesi con riferimento al termine prescrizionale previsto dall’art. 157 c.p., sia nella formulazione antecedente alla riforma di cui alla legge "ex Cirielli", sia nelle disposizioni come modificate dalla riforma stessa (che, ove fossero risultate ancor più favorevoli, non avrebbero potuto trovare applicazione essendo stata pronunciata la sentenza di primo grado in data 11 maggio 2005 e quindi prima dell’entrata in vigore della L. n. 151 del 2005: cfr. Sez. Un., n. 47008/09 del 29 ottobre 2009, rv 244810). Orbene, mette conto tuttavia sottolineare che: a) il termine massimo di prescrizione (di sette anni e mezzo) certamente non era decorso al momento della pronuncia della sentenza di appello (13 settembre 2010); b) la prescrizione maturata successivamente alla sentenza oggetto del ricorso per cassazione (ed a prescindere quindi anche dagli eventuali periodi di sospensione del decorso del termine di prescrizione, la cui verifica appare dunque del tutto superflua perchè irrilevante) non può comunque avere incidenza alcuna in presenza di gravame inammissibile per causa originaria di inammissibilità (come nel caso in esame, trattandosi di doglianze aspecifiche e non deducibili in sede di legittimità perchè concernenti apprezzamenti di merito formulati dal giudice di appello con argomentazioni prive di qualsiasi connotazione di illogicità), alla luce dei principi enunciati in materia dalle Sezioni Unite di questa Corte (cfr. Sez. Un. 22/11/2000 De Luca e 27/6/2001 Cavalera).

Alla declaratoria di inammissibilità segue, per legge, la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonchè (trattandosi di causa di inammissibilità riconducibile alla volontà, e quindi a colpa, dei ricorrenti: cfr. Corte Costituzionale, sent. N. 186 del 7-13 giugno 2000) al versamento a favore della cassa delle ammende di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 1000,00 (mille) ciascuno.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno a quello della somma di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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