Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 21-06-2011) 03-10-2011, n. 35753 Associazione per delinquere

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. – Con la decisione in epigrafe la Corte d’appello di Milano, sulle impugnazione degli imputati, ha parzialmente riformato la sentenza emessa dal G.u.p. del Tribunale di Milano il 15 luglio 2008 nei confronti, tra gli altri, di F.G., M. S., R.S.G., T.M., G. R., P.A.P. e B.G., confermando l’affermazione di responsabilità per i reati di associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti loro contestati e per una serie di episodi di cessione e importazione di droga, rideterminando le pene inflitte.

Tutti gli imputati sono stati ritenuti colpevoli di importazione e detenzione di ingenti quantitativi di sostanza stupefacente proveniente dal Sud America e dall’Olanda. In particolare, secondo i giudici di appello l’attività delittuosa sarebbe stata gestita da due distinte associazioni, facenti sempre capo al F., con il ruolo di organizzatore: la prima, composta anche da B., T. e G., avrebbe gestito i quantitativi di cocaina provenienti dal Sud America (capo 1), la seconda, composta anche da M. e G., nonchè da altre persone, si sarebbe occupata di importare, per poi vendere sul territorio nazionale, i quantitativi di marijuana e hashish provenienti dall’Olanda (capo 2).

Gli stessi appartenenti alle due associazioni sono stati ritenuti responsabili di una serie di reati-fine (artt. 81 cpv. e 110 c.p., D.P.R. n. 309 del 1990, artt. 73 e 80); per i soli P. e R. è stata esclusa la loro partecipazione all’associazione, mentre sono stati condannati per singoli episodi di cessione e vendita di stupefacenti.

2. – F.G. è risultato essere stato il vero perno delle due organizzazioni criminose operanti tra il 2004 e il 2006, tuttavia i giudici hanno riconosciuto il notevole contributo collaborativo che il F. ha dato alle indagini, sicchè allo stesso è stata applicata la speciale attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 7 nonchè le attenuanti generiche, rideterminando la pena in anni 7, mesi 8 di reclusione ed Euro 39.932 di multa.

Nel suo ricorso l’imputato lamenta l’eccessività della pena inflitta, soprattutto confrontandola con quella di altri coimputati che non avrebbero offerto la loro collaborazione; inoltre, assume che erroneamente i giudici hanno considerato più grave il reato contestato al capo 12) anzichè quello di cui al capo 5), che gli avrebbe consentito l’applicazione parziale dell’indulto.

2.1. – Il ricorso è inammissibile.

Il F. lamenta una ingiustificata disparità nella determinazione della pena in confronto con altre posizioni processuali, proponendo inammissibili censure attinenti al trattamento sanzionatorio, che invece i giudici d’appello hanno giustificato in maniera razionale e corretta, tenendo conto sia del ruolo di assoluto rilievo che l’imputato ha avuto nella compagine associativa, sia del contributo collaborativo offerto, pervenendo così ad applicare una pena che la stessa sentenza definisce "più favorevole" rispetto a quella degli altri imputati.

Quanto al secondo motivo si rileva che la sentenza impugnata ha correttamente escluso che possa ritenersi più grave il reato di cui al capo 5), perchè riguarda una importazione di un minor quantitativo di sostanza stupefacente rispetto alla condotta contestata al capo 12). Si tratta di una valutazione di merito non censurabile in sede di legittimità, in quanto coerentemente i giudici hanno privilegiato il criterio quantitativo nell’individuazione del reato più grave.

3. – P.P.A. è stato ritenuto colpevole per i due episodi contestati ai capi 33) e 34) relativi al concorso nell’importazione dall’Olanda di ingenti quantitativi di stupefacenti e condannato alla pena di anni 4 di reclusione ed Euro 20.000 di multa.

Nel suo ricorso P. lamenta che i giudici abbiano ritenuto le concesse circostanze attenuanti generiche equivalenti anzichè prevalenti sulle aggravanti contestate, senza considerare nè lo stato di incensuratezza, nè le dichiarazioni confessorie rese sin dal primo momento.

3.1. – Il ricorso è inammissibile in quanto propone censure attinenti al trattamento sanzionatorio, rispetto al quale i giudici di appello hanno fornito coerenti giustificazioni. Infatti, la Corte d’appello ha espressamente escluso l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti contestate, ritenendo la particolare gravità del fatto, proprio in quanto contraddistinto alla presenza delle due aggravanti relative all’ingente quantità e al numero delle persone coinvolte.

4. – T.M. è stato ritenuto responsabile del reato associativo di cui al capo 1), nonchè di una serie di reati fine in cui avrebbe svolto il ruolo di "corriere della droga" nell’importazione di cocaina dal Sud America in un arco di tempo che va dal luglio 2005 al febbraio 2006 (capi 3, 4, 6, 7, 9 e 37) e condannato alla pena di anni 8, mesi 4 ed Euro 54.533 di multa.

T. ha proposto ricorso personalmente censurando la sentenza in ordine:

– alla ritenuta partecipazione all’associazione di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, rilevando di essere stato contattato, volta per volta, solo per svolgere il ruolo di corriere;

– alla ritenuta responsabilità per i reati di cui ai capi 3, 4, 6 e 7, per i quali assume che non vi siano elementi di prova;

– alla mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche prevalenti sulla contestata aggravante;

– all’aggravante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, ritenuta sussistente in base a criteri virtuali, senza che si stato mai disposto alcun sequestro e facendo riferimento ad un elemento incerto quale quello relativo alle somme di denaro rinvenute.

Ha proposto ricorso anche il difensore del T., il quale con il primo motivo lamenta l’erronea applicazione dell’aggravante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, in quanto ritenuta sussistente dai giudici attraverso una valutazione presuntiva che ha preso in considerazione i compensi economici e i pagamenti della merce, senza avere alcun elemento probatorio circa l’effettivo quantitativo ovvero circa la natura dello stupefacente, peraltro mai sequestrato.

Con il secondo motivo il difensore contesta l’aumento determinato sulla pena a titolo di continuazione, ritenendolo eccessivo e irragionevole.

Infine, l’imputato in data 20 gennaio 2011 ha depositato motivi nuovi, con cui ha ribadito le censure contenute nel ricorso, lamentando la mancata assoluzione per i capi 3, 4, 6 e 7, nonchè l’omessa applicazione dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 1;

inoltre, ha censurato la sentenza per non avere effettuato il giudizio di prevalenza delle attenuanti sulle aggravanti contestate e, infine, ha chiesto l’eliminazione dell’aggravante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80. 4.1. – Sia la sentenza di primo grado che quella di appello fondano la responsabilità del T. per i reati a lui contestati sulle sue stesse dichiarazioni confessorie. L’imputato ha, infatti, ammesso di avere svolto il ruolo di corriere della droga per conto del F., negando tuttavia di aver fatto parte dell’organizzazione criminale, in quanto si sarebbe trattato di una attività che svolgeva "di volta in volta", a seguito delle richieste del F..

Tale linea difensiva risulta smentita dalle due sentenze di merito che hanno messo in evidenza come l’attività di "corriere" è stata svolta dall’imputato in maniera costante dal luglio 2005 fino al 12 febbraio 2006, quando è stato arrestato in possesso di kg. 10,220 di cocaina (episodio per il quale è stato giudicato separatamente). I giudici di appello hanno ritenuto dimostrata la sua appartenenza all’associazione, oltre che in base alle dichiarazioni accusatorie del F., in considerazione del numero delle importazione effettuate e della ripetitività del modus operandi, sintomo dell’inserimento in una struttura organizzativa, nel cui ambito era essenziale il ruolo del T., in grado di assicurare il rifornimento della droga dal Sud America. Per una associazione che importava droga dal Brasile l’apporto fornito dal "corriere" non poteva non essere decisivo per la stessa esistenza dell’organizzazione criminale, sicchè coerentemente i giudici di merito hanno riconosciuto l’appartenenza del T. alla compagine criminale, sulla base di una motivazione del tutto logica e razionale, che in quanto tale non può essere oggetto di censura in sede di legittimità.

D’altra parte, secondo la giurisprudenza della Cassazione anche la costante disponibilità del soggetto ad acquistare sostanze stupefacenti di cui l’associazione fa traffico può integrare la condotta di partecipazione alla stessa associazione, perchè agevola lo svolgimento dell’attività criminosa dell’associazione ed assicura la realizzazione del suo programma delittuoso (in questo senso v., Sez. 6, 6 novembre 2006, n. 41717, Geraci; Sez. 6, 19 novembre 2007, n. 1174, Stabile; Sez. 1, 9 dicembre 2008, n. 1849, Cucchiarelli ed altri); sicchè, per la stessa ragione, deve ritenersi che la stabile e continua disponibilità a svolgere il ruolo di corriere della droga per conto di un’associazione possa configurare una forma di partecipazione alla stessa organizzazione criminale, in quanto con tale condotta il soggetto contribuisce all’attuazione del programma e, nello stesso tempo, si avvale continuativamente delle risorse dell’organizzazione, con la coscienza e volontà di contribuire al suo mantenimento. Ed è quanto hanno ritenuto i giudici di merito.

4.2. – Il ricorrente, inoltre, censura la sentenza in ordine all’affermata responsabilità per gli episodi di cui ai capi 3, 4, 6 e 7.

Invero, deve rilevarsi che i giudici di merito hanno riconosciuto la colpevolezza del T. con riferimento a tali episodi in base alle accuse del F., riscontrate da una serie di intercettazioni riguardanti trattative per l’importazione della droga. Si tratta di modalità che si sono ripetute in maniera analoga per tutti gli episodi in contestazione, per i quali il ruolo di "corriere" è stato sempre svolto dal T..

Rispetto a tale ricostruzione dei fatti, sostenuta da una coerente motivazione che richiama anche le argomentazioni svolte dal primo giudice, il ricorrente propone una diversa lettura, peraltro censurando in maniera confusa l’apporto collaborativo del F., che invece i giudici ritengono completo e attendibile.

4.3. – Del tutto infondato è il motivo aggiunto con cui l’imputato lamenta il mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 1, sul presupposto – nemmeno dimostrato – che i guadagni illeciti della sua attività di corriere li avrebbe destinati a scopi benefici. I motivi di particolare valore morale o sociale cui l’art. 62 c.p., n. 1 riconosce efficacia attenuante sono soltanto quelli avvertiti come tali dalla prevalente coscienza collettiva ed intorno ai quali vi sia un generale consenso, sicchè deve escludersi che tale circostanza possa trovare applicazione in relazione all’attività di importazione di droga, anche qualora fosse dimostrato che i proventi illeciti di tale traffico fossero destinati ad attività benefiche.

4.4. – Devono, invece, essere accolti i motivi con cui si critica la sentenza per avere riconosciuto la sussistenza dell’aggravante dell’ingente quantità di droga oggetto dei singoli episodi di importazione. Sul punto la motivazione appare carente, in quanto ritiene l’aggravante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80 sulla base di un ragionamento presuntivo che non appare sorretto da indizi gravi, precisi e concordanti: infatti, l’ingente quantità delle singole importazioni viene desunta in base alle dichiarazioni del F., che parla di quantitativi di circa kg. 10, e al sequestro di cocaina avvenuto il 12 febbraio 2006, presumendo così che anche le precedenti importazioni avessero ad oggetto quantitativi analoghi.

E’ evidente che la presunzione, così come formulata, non possiede i caratteri richiesti dall’art. 192 c.p.p., in quanto la chiamata in correità del F., avente ad oggetto gli episodi di importazione precedenti al febbraio 2006, non può ritenersi riscontrata con il sequestro avvenuto il 12 febbraio 2006. D’altra parte, non può escludersi che le precedenti importazioni possano avere riguardato quantitativi diversi e minori rispetto all’episodio del febbraio 2006.

In conclusione, la sentenza deve essere annullata con riferimento alla ritenuta aggravante di cui all’art. 80 D.P.R. cit..

Di conseguenza, restano assorbiti allo stato i motivi con cui il ricorrente censura ulteriori aspetti attinenti al trattamento sanzionatorio.

5. – B.G. è stato ritenuto partecipe dell’associazione di cui al capo 1) e responsabile di sei episodi collegati al traffico di droga, posti in essere tra il settembre 2005 e il maggio 2006, quindi condannato alla pena di anni 5, mesi 8 di reclusione ed Euro 26.434 di multa.

Con il primo motivo contenuto nel ricorso presentato dal suo difensore si contesta la sentenza per avere ritenuto provata la partecipazione all’associazione, rilevando che al più si sarebbe trattato di forme occasionali di concorso in attività di spaccio; si evidenzia che dalle stesse dichiarazioni rese da F. e da Ma.Pa., utilizzate dalla sentenza per ritenere l’intraneità dell’imputato all’associazione, risulterebbe che il B. veniva utilizzato come "esterno" all’organizzazione.

Inoltre, il ricorrente sembra ritenere mancanti gli stessi presupposti per affermare l’esistenza dell’associazione, assumendo che nella specie difettino i dati relativi all’organizzazione.

Con il secondo motivo si deduce l’erronea applicazione dell’art. 110 c.p. e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 rilevando che la condotta del B. andava inquadrata non come concorso nel reato di acquisto di stupefacenti, bensì nell’ipotesi di favoreggiamento reale ovvero di riciclaggio, avendo lo stesso, su incarico di Ma.Pa., portato in Brasile il denaro occorrente per la compravendita della partita di droga.

Il terzo motivo attiene alla mancata concessione delle speciali attenuanti di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 7 e art. 74, comma 7. Si assume che erroneamente i giudici di merito abbiano negato tali attenuanti al B., nonostante le sue dichiarazioni abbiano contribuito agli esiti favorevoli delle indagini e abbiano determinato la cessazione dell’attività criminale in atto.

Infine, con l’ultimo motivo si denuncia l’erronea applicazione della circostanza aggravante di cui all’art. 80, D.P.R. cit., fondata solo su mere presunzioni.

5.1. – I motivi con cui il ricorrente contesta la ritenuta affermazione di responsabilità in ordine al reato associativo sono infondati.

Risulta dalla sentenza che l’imputato – come da lui stesso ammesso – ha svolto un ruolo ben preciso nell’ambito dell’associazione, quello cioè di "portare" il denaro necessario per acquistare lo stupefacente in Brasile: si è trattato di un incarico di estrema fiducia, che gli veniva affidato dal Ma., intraneo all’associazione, e che il B. ha portato a termine con successo più volte in un periodo di tempo di circa nove mesi. I giudici hanno ritenuto la sua partecipazione all’associazione sulla base di una serie di elementi, tra cui in particolare il ruolo di rilievo ricoperto dall’imputato ("corriere del denaro") e le reiterate modalità della condotta, sempre concordate preventivamente con il Ma. o con il F., la sua conoscenza con U., anch’egli al vertice dell’organizzazione.

Inoltre, la sentenza, a sostegno della sua intraneità all’associazione, ha messo in rilievo due conversazioni, intercettate il 16.12.2005 e il 14.2.2006: nella prima il Ma. chiede informazioni su Fu., che era stato arrestato il mese precedente, ricevendo dal B. assicurazioni che questi "non sta parlando"; nella seconda il Ma. telefona al B. per comunicargli che il T. era stato arrestato. Si tratta di elementi di prova giustamente valorizzati dai giudici di merito, perchè dimostrano il pieno coinvolgimento del B. nell’organizzazione criminosa dedita al traffico di stupefacenti. In questo modo, la sentenza ha coerentemente dimostrato come l’imputato non fosse un "corriere all’oscuro della vita dell’associazione", ma fosse in realtà ben inserito in essa, svolgendo una funzione essenziale per l’acquisto della droga da importare.

5.2. – Per queste stesse ragioni deve ritenersi infondato anche il motivo con cui il ricorrente assume che le condotte contestategli in relazione ai diversi episodi di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 andavano inquadrate nel reato di favoreggiamento ovvero di riciclaggio. Correttamente la sentenza ha rilevato come l’attività del B. sia stata realizzata all’interno e in funzione dell’associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, circostanza questa sufficiente per escludere i due reati ipotizzati, dovendo riconoscersi il concorso del B. nei reati di acquisto e importazione di droga, cioè dei reati scopo dell’organizzazione criminale.

5.3. – Infondato è anche il motivo con cui si lamenta della mancata applicazione delle attenuanti di cui all’art. 73, comma 7 e art. 74, comma 7, D.P.R. cit.. La sentenza ha chiarito, con una motivazione del tutto coerente, le ragioni del mancato riconoscimento di tali attenuanti, rilevando che il B. non ha offerto alcun consistente contributo nè ad interrompere l’associazione criminale, nè a conseguire utili risultati investigativi, essendosi limitato a confermare quanto già risultava agli investigatori e alle indagini fino a quel momento espletate.

5.4. – Invece, deve essere accolto il motivo relativo al riconoscimento dell’aggravante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80.

Sul punto la motivazione appare carente, in quanto ritiene l’aggravante sulla base di un ragionamento presuntivo che non appare sorretto da indizi gravi, precisi e concordanti: infatti, l’ingente quantità delle singole importazioni viene desunta in base alle dichiarazioni del F., che parla di quantitativi di circa kg.

10, presumendo così che tutte le importazioni avessero ad oggetto quantitativi analoghi. E’ evidente che la presunzione, così come formulata, non possiede i caratteri richiesti dall’art. 192 c.p.p., in quanto la chiamata in correità del F. non può ritenersi riscontrata, nemmeno dalle somme di denaro di cui l’imputato è stato trovato in possesso, mancando ogni elemento certo in ordine al tipo e alla natura della droga acquistata e, conseguentemente, al quantitativo.

In conclusione, la sentenza deve essere annullata con riferimento alla ritenuta aggravante di cui all’art. 80 D.P.R. cit..

6. – R.S. è stato riconosciuto colpevole in ordine ad alcuni episodi in cui si sarebbe occupato di "commercializzare" la sostanza stupefacente importata dall’Olanda (capi 15, 18 e 20) e condannato alla pena di anni 3 di reclusione ed Euro 6.000 di multa.

Nel suo ricorso l’imputato assume che la sentenza impugnata non abbia dimostrato il concorso nei reati contestati. In particolare, il ricorrente censura il riconoscimento della sussistenza dell’aggravante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80 perchè fondato unicamente sulle chiamate in correità non riscontrate sul punto del F..

Con un ulteriore motivo si critica la sentenza per avere, in maniera contraddittoria, dato credito alle dichiarazioni di F. in ordine al dato quantitativo della droga oggetto di acquisto, laddove l’attendibilità viene meno quando il collaboratore esclude che il R. abbia concorso nella commercializzazione dello stupefacente.

6.1. – I motivi con cui il ricorrente contesta la sentenza per averlo ritenuto responsabile di concorso nella vendita e commercializzazione della sostanza stupefacente importata (capi 15, 18 e 20) sono del tutto infondati. La decisione impugnata ha indicato gli elementi di prova a carico dell’imputato, costituiti dalle conversazioni intercettate nei giorni successivi all’arrivo in Italia della droga oggetto dell’importazione: i giudici hanno preso in attento esame il contenuto delle conversazioni intercettate, ricavando da esse l’univoco significato che il R. si accordava con Mo. e con F. circa le modalità di cessione dello stupefacente, dallo stesso trasportate all’interno della sua autovettura. Si tratta di una motivazione che appare coerente, fondata su una logica interpretazione dei discorsi oggetto di captazione, e che, in quanto tale, non può essere oggetto di censura in sede di legittimità. 6.2. – Devono, invece, essere accolti i motivi con cui si censura la sentenza per avere ritenuto sussistente la circostanza aggravante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80. Infatti, i giudici hanno applicato l’aggravante dell’ingente quantità tenendo conto della sostanza stupefacente importata, ma senza offrire alcuna prova certa che quello stesso quantitativo sarebbe stato affidato interamente al R. per la successiva commercializzazione. Nessun sequestro di droga è stato operato nei confronti del ricorrente e la chiamata in correità del F., circa il quantitativo di stupefacente importato, è rimasta priva di riscontri sul punto.

Pertanto, la sentenza deve essere annullata in relazione alla ritenuta sussistenza dell’aggravante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80. 7. – G.R. avrebbe fatto parte di entrambe le associazioni, offrendo la disponibilità della propria abitazione come nascondiglio dello stupefacente importato; inoltre è stato ritenuto responsabile per una serie di reati fine e condannato alla pena di anni 8, mesi 7, giorni 10 di reclusione ed Euro 55.332 di multa.

Nel suo ricorso l’imputato deduce la violazione dell’art. 192 c.p.p., comma 3 in relazione a cinque episodi contestati ai capi 27, 28, 31, 33 e 34, rilevando che l’unica prova è costituita dalle dichiarazioni accusatorie di F. che però non sono riscontrate.

Con il secondo motivo censura la sentenza per avere ritenuto provata l’esistenza di due distinte associazioni con a capo la stessa persona; in ogni caso si sostiene che non vi siano elementi idonei a dimostrare la partecipazione consapevole del G. a tali associazioni, sottolineando la totale assenza di motivazione della sentenza in ordine all’elemento soggettivo.

Con l’ultimo motivo il ricorrente lamenta la mancata applicazione della circostanza attenuante speciale di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 7. 7.1. – Con riferimento al secondo motivo, deve rilevarsi come le due sentenze di merito abbiano offerto una completa ed esauriente motivazione in ordine alla sussistenza delle due associazioni per delinquere, evidenziando come il G. facesse parte di entrambe le organizzazioni, svolgendo il ruolo di assiduo e fidato collaboratore del F.. Del resto, nella sentenza di primo grado, richiamata nella decisione d’appello, si da atto delle dichiarazioni confessorie dell’imputato, il quale ha ammesso di avere preso parte all’attività di importazione di cocaina dal Sud-America e successivamente ha anche precisato di essersi occupato anche del traffico con l’Olanda, recuperando diversi quantitativi di droga su incarico del F., mettendo a disposizione la sua abitazione in Vellezzo Bellini, in questo modo offrendo un apporto organizzativo di rilievo per associazioni criminali che operavano nell’importazione della droga. Sulla base di questi dati oggettivi i giudici di merito hanno ritenuto dimostrato implicitamente l’accordo associativo, confermato dai reati fine posti in essere dall’imputato nell’interesse delle associazioni per delinquere, il cui punto di riferimento era il F..

7.2. – Riguardo ai reati contestati ai capi 27 e 33 si rileva che, contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso, la prova del coinvolgimento del G. è costituita dalle intercettazioni del 10.5.2006 e del 15.5.2006 tra F., M. e V., sicchè non si pone il problema di individuare un riscontro alle dichiarazioni accusatorie del F.; lo stesso vale per l’importazione di cui al capo 34, in cui il coinvolgimento del G. si basa su due intercettazioni ambientali, avvenute il 23.10.2006 all’interno dell’autovettura Mercedes del F.. In tutte queste conversazioni oggetto di intercettazioni vi è sempre un continuo riferimento al contributo offerto dal G. nei vari episodi di importazione e su di esse i giudici di merito hanno affermato il pieno coinvolgimento dell’imputato nei reati contestatigli.

Deve invece riconoscersi, in accoglimento dei motivi del ricorso, che negli episodi di cui ai capi 28 e 31, così come riportati nelle sentenze di merito, non si rinviene alcun riferimento esplicito al G. nel corso delle conversazioni oggetto di intercettazione, sicchè l’affermata responsabilità nei due reati indicati risulta priva di giustificazione. Pertanto, limitatamente ai capi 28 e 31 la sentenza impugnata deve essere annullata.

8. – M.S. è stato ritenuto responsabile per il reato associativo di cui al capo 2), nonchè per una serie di reati fine collegati al traffico di stupefacenti e condannato alla pena di anni 8 e mesi 2 di reclusione e al pagamento di Euro 57.133 di multa.

Nel ricorso per cassazione, presentato personalmente, il M. ha innanzitutto dedotto l’inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni per violazione dell’art. 268 c.p.p., comma 3 con riferimento ai reati indicati nei capi 13, 14, 17 e 19. In particolare, si contestano le giustificazioni offerta dalla Corte d’appello in ordine al decreto con cui il p.m. avrebbe autorizzato l’uso di impianti di intercettazioni esterni e si sostiene che la motivazione della sentenza sarebbe priva di riferimenti oggettivi e frutto di mere congetture, soprattutto là dove afferma che la certificazione relativa alla situazione degli impianti interni sarebbe stata riferita per errore ad alcune intercettazioni anzichè ad altre.

Con un altro motivo viene eccepita l’inutilizzabilità delle intercettazioni eseguite su utenza mobile estera senza una specifica autorizzazione del giudice per ricorrere alla speciale tecnica dell’instradamento dei flussi. Sotto altro profilo il ricorrente sostiene che nel caso in cui l’intercettazione con tecnica dell’instradamento riguardi due utenze mobili straniere, come nella specie, sarebbe stato necessario ricorrere all’istituto delle rogatorie di intercettazioni. Lamenta, quindi, che su tali punti la sentenza impugnata non abbia dato alcuna risposta.

Con il terzo motivo, collegato al precedente, si deduce l’inosservanza dell’art. 266 c.p.p. in quanto le intercettazioni sulle utenze straniere sarebbero state disposte senza l’autorizzazione per carenza di giurisdizione.

Con il quarto motivo il ricorrente denuncia un’altra violazione di legge con conseguente inutilizzabilità dei risultati di quelle intercettazioni le cui operazioni di ascolto e di stesura dei brogliacci sono avvenute negli uffici della Guardia di finanza, anzichè nei locali della Procura così come disposto nel provvedimento di autorizzazione.

Il quinto motivo attiene alla omessa motivazione in merito all’individuazione del M. come uno degli interlocutori nelle conversazioni intercettate, peraltro su utenze non intestate allo stesso.

Con il sesto motivo si censura la sentenza per avere dato rilievo alle dichiarazioni di F., senza considerare la loro inconsistenza e soprattutto l’insussistenza dei riscontri obiettivi.

Un ulteriore vizio di motivazione viene denunciato con il settimo motivo in cui si censura la sentenza per avere ritenuto provato il coinvolgimento dell’imputato nel reati di cui ai capi 18, 19, 23, 24, 30, 31, 32, 33 e 34 relativi a presunte importazioni di droga in assenza di prove specifiche, ma richiamando semplicemente analoghi episodi per i quali vi sarebbero stati sicuri elementi di prova (prova cd. "complessiva"). Peraltro, si sottolinea che dei 21 episodi di importazione solo in 5 casi è stato possibile individuare la natura e la tipologia dello stupefacente trasportato. Si chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza in ordine ai capi 13, 14, 15, 17, 18, 20, 22, 24, 25, 26, 27, 28, 31, 33 e 34 per la mancanza di prova in relazione alla responsabilità dell’imputato.

Analoga richiesta viene fatta anche in ordine alla partecipazione nell’associazione di cui al capo 2.

Per quanto riguarda il reato di cui al capo 32, relativo all’episodio di importazione che avrebbe poi condotto al sequestro di kg. 91,871 di hashish, si rileva l’assenza di ogni elemento di prova circa il coinvolgimento del M.. Peraltro, si rileva come, una volta escluso il reato di cui al capo 32, per i restanti episodi di importazione dovrebbe trovare applicazione la disciplina sanzionatoria anteriore alla riforma di cui alla L. n. 46 del 2006, con conseguente rideterminazione della pena.

Con il nono motivo si lamenta l’eccessività della pena in rapporto al reato di cui al capo 32, evidenziando come altri coimputati abbiano avuto un diverso e più favorevole trattamento sanzionatorio.

Con l’ultimo motivo si censura la sentenza per avere giudicato equivalenti le riconosciute circostanze attenuanti con le aggravanti contestate; in particolare, si evidenzia che il giudizio di equivalenza è stato giustificato per la sussistenza di due aggravanti, quella della ingente quantità dello stupefacente e quella del numero della persone ( D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, n. 3), senza che quest’ultima fosse stata contestata all’imputato.

8.1. – Ha presentato un distinto ricorso anche il difensore di fiducia del M., avvocato Enzo Di Carlo.

Con il primo motivo si deduce il vizio di motivazione in relazione alle dichiarazioni di F., sulla base delle quali i giudici di merito hanno affermato la responsabilità del M. per tutti gli episodi contestati, utilizzando il criterio della cd. prova complessiva, per cui dimostrata la colpevolezza in merito ad un episodio lo si è ritenuto responsabile anche per gli altri.

Con il successivo motivo si denuncia l’omessa motivazione in ordine alle contestazioni dedotte in appello circa la disposta confisca dei beni del M..

In data 21 giugno 2011 il difensore ha depositato una serie di documenti riguardanti le intercettazioni.

8.2. – I motivi aventi ad oggetto questioni processuali sono tutti infondati.

8.2.1. – Per quanto riguarda l’eccepita inutilizzabilità delle intercettazioni per la violazione dell’art. 268 c.p.p., comma 3 la Corte d’appello ha già chiarito che con riferimento ai decreti di autorizzazione n. 2162/05, n. 3762/05, n. 4644/05, n. 1717/05 e n. 3948/05 sono in atti le attestazioni che certificano l’indisponibilità presso la procura della Repubblica di Milano degli impianti e delle apparecchiature per 1′ esecuzione delle operazioni, sicchè deve riconoscersi la piena legittimità dell’uso di impianti in dotazione della polizia giudiziaria, avendo il provvedimento autorizzatorio fatto riferimento ad una situazione obiettiva di indisponibilità materiale.

Il ricorrente insiste nel sostenere che mancherebbe la certificazione in ordine al decreto n. 2162/05, ma sul punto i giudici, oltre a chiarire che vi è stato un errore materiale, essendo stata riportata una diversa cifra del numero identificativo dell’intercettazione (2169 anzichè 2162), hanno giustamente sottolineato l’irrilevanza di tale eccezione, dal momento che l’attestazione dimostra comunque che alla data in cui venne disposta l’intercettazione non vi erano impianti disponibili presso la procura milanese.

8.2.2. – Manifestamente infondati sono i motivi con cui si deduce l’inutilizzabilità, sotto diversi profili, delle intercettazioni realizzate attraverso la tecnica del cd. istradamento dei flussi.

La giurisprudenza di questa Corte ha da sempre ritenuto che in tema di intercettazione di comunicazioni o conversazioni, è pienamente legittima l’utilizzazione della tecnica del cosiddetto instradamento, che comporta il convogliamento attraverso un gestore nazionale delle telefonate provenienti dall’estero e dirette ad una utenza italiana, ovvero in partenza da quest’ultima e dirette verso utenze estere, escludendo che sia necessario promuovere una apposita rogatoria internazionale, posto che l’intera attività di captazione e registrazione si svolge sul territorio dello Stato (tra le tante v., Sez. 1, 4 marzo 2009, n. 13972, barbaro; Sez. 4, 28 febbraio 2008, n. 13206, Volante; Sez. 6, 3 dicembre 2007, n. 10051, Ortiz).

Nello stesso tempo si è pure affermato che l’intercettazione che utilizzi la tecnica dell’instradamento non necessita di una particolare autorizzazione da parte del giudice, in quanto riguarda unicamente le modalità tecnico operative della captazione, con la conseguenza che il provvedimento autorizzativo viene necessariamente e implicitamente a investire tutte le utenze (ovviamente non individuate e non individuabili) strumentalmente intercettate. Di conseguenza, seppure strumentali e finalizzate a intercettare l’utenza estera mirata, tali intercettazioni "debbono ritenersi formalmente assistite e legittimate dall’autorizzazione giudiziale, con la conseguente piena utilizzabilità dei relativi risultati" (Sez. 4, 13 giugno 2003, n. 37751, P.M. in proc. Lungu).

Del resto la sentenza impugnata ha bene evidenziato come nella specie il gestore delle utenze mobili su cui sono state autorizzate le intercettazioni è italiano e, quindi, tutta l’attività di captazione è avvenuta sul territorio italiano, sia delle telefonate in partenza dall’Italia, sia di quelle in entrata dall’estero.

Per queste ragioni anche l’eccezione di carenza di giurisdizione deve ritenersi manifestamente infondata. Peraltro, con riferimento alle tre utenze estere indicate nel ricorso, la Corte d’appello le ha ritenute del tutto irrilevanti in rapporto alla responsabilità del M., sottolineando come lo stesso ricorrente non abbia indicato alcuna specifica conversazione incidente sulla sua posizione, il che rende il motivo generico.

8.2.3. – Del tutto infondato è, infine, anche il motivo con cui il ricorrente deduce l’inutilizzabilità delle intercettazioni eseguite presso la procura di Milano, il cui ascolto sarebbe avvenuto presso gli uffici della Guardia di Finanza, dove sarebbero stati redatti sia i brogliacci che i verbali.

Si tratta della modalità di intercettazione cd. remotizzata, sulla quale sono intervenute le Sezioni unite di questa Corte, la cui sentenza è stata puntualmente citata dal ricorrente, che però ne ha completamente equivocato il contenuto. Infatti, secondo questa decisione "condizione necessaria per l’utilizzabilità delle intercettazioni è che l’attività di registrazione – che, sulla base delle tecnologie attualmente in uso, consiste nella immissione dei dati captati in una memoria informatica centralizzata – avvenga nei locali della Procura della Repubblica mediante l’utilizzo di impianti ivi esistenti, mentre non rileva che negli stessi locali vengano successivamente svolte anche le ulteriori attività di ascolto, verbalizzazione ed eventuale riproduzione dei dati così registrati, che possono dunque essere eseguite in remoto presso gli uffici della polizia giudiziaria" (Sez. un., 26 giugno 2008, n. 36359, Carli). La decisione ha precisato che l’attività di riproduzione, consistente nel trasferimento su supporti informatici di quanto registrato mediante gli impianti presenti nell’ufficio giudiziario, è operazione estranea alla nozione di registrazione, la cui "remotizzazione" non pregiudica le garanzie della difesa, alla quale è sempre consentito l’accesso alle registrazioni originali.

8.3. – Passando ad esaminare i motivi attinenti al merito della responsabilità del M., si osserva, innanzitutto, come la sentenza, a differenza di quanto sostenuto nel ricorso, abbia offerto una appagante e ragionevole motivazione sulla identificazione dell’imputato. In particolare, i giudici hanno ritenuto che il coinvolgimento del M. nei fatti contestati trovi la sua fonte principale nelle dichiarazioni accusatorie del F., riscontrate con quelle del V. e con gli stessi risultati delle intercettazioni, nonchè con le stesse ammissioni dell’imputato, il quale ha riferito di avere messo in contatto F. con alcuni clienti di locali pubblici per acquistare modesti quantitativi di hashish. Pertanto, la questione dell’identificazione del M., sulla quale si insiste nel ricorso sottolineando che nessuna delle utenze intercettate è risultata a lui intestata – ad eccezione di quella della Piccola Pizzeria di Oss -, viene risolta nella sentenza impugnata basandosi proprio sulle chiamate in correità di F. e di V., ritenute pienamente attendibili, rispetto alle quali le conversazioni intercettate fungono prevalentemente da riscontri.

Sicchè, dimostrato il suo pieno coinvolgimento nei traffici di droga, resta da verificare la sussistenza dei riscontri in relazione ai diversi episodi contestati.

8.3.1. – Con riferimento agli episodi contestati i motivi dedotti appaiono fondati per sette di essi.

In particolare, riguardo ai capi 18, 23, 24, 30, 31, 33 e 34 è la stessa sentenza a riconoscere che mancano i necessari riscontri, in quanto non vi sono telefonate che coinvolgono direttamente il M.; tuttavia, la responsabilità dell’imputato viene affermata su base presuntiva, ritenendo che la prova della complessiva e continuata attività criminosa possa desumersi dai riscontri alle chiamate in correità relative agli altri episodi. I giudici si sono richiamati a quell’indirizzo giurisprudenziale secondo cui in tema di valutazione della prova, allorchè il chiamante in correità rende dichiarazioni che concernono una pluralità di fatti-reato commessi dallo stesso soggetto e ripetuti nel tempo, "l’elemento esterno di riscontro in ordine ad alcuni di essi fornisce sul piano logico la necessaria integrazione probatoria a conforto della chiamata anche in ordine agli altri, purchè sussistano ragioni idonee a suffragare un tale giudizio e ad imporre una valutazione unitaria delle dichiarazioni accusatorie, quali l’identica natura dei fatti in questione, l’identità dei protagonisti o di alcuni di loro, l’inserirsi dei fatti in un rapporto intersoggettivo unico e continuativo" (Sez. 6, 2 novembre 1998, n. 1472, Archesso ed altri, Sez. 4, 24 maggio 2000, n. 7430, Curinga). Tuttavia, questo tipo di approccio interpretativo, applicabile alla valutazione della chiamata in correità, si giustifica non solo quando vi è una continuità cronologica e in presenza di fatti e di modalità di esecuzione identiche, ma soprattutto quando i soggetti implicati siano gli stessi. Solo qualora tutti gli elementi sopra descritti siano presenti nella fattispecie può giustificarsi una verifica del riscontro in via presuntiva. Ma nel caso di specie l’affermazione del riscontro presuntivo non è stata preceduta dalla verifica di tutti gli elementi sopra indicati, dal momento che la stessa sentenza riconosce che ad occuparsi dell’importazione della droga dall’Olanda non era sempre il M., sicchè la motivazione con cui si è pervenuti ad affermare la sua responsabilità anche per gli episodi privi di riscontri si rivela contraddittoria, non potendo escludersi che l’imputato non abbia partecipato ad alcune spedizioni.

Ne consegue che, con riferimento ai capi 18, 23, 24, 30, 31, 33 e 34, la sentenza deve essere annullata.

8.3.2. – Per quanto riguarda la ritenuta responsabilità per i capi 19 e 32, per i quali il ricorrente ha pure chiesto l’annullamento, si rileva che in entrambi i casi le dichiarazioni accusatorie di F. sono riscontrate dalle intercettazioni da cui risulta il coinvolgimento del M., come risulta evidente dalla sentenza di primo grado, che integra quella d’appello (v. telefonata del 18.9.2005 tra M. e F. e quella del 4.8.2006 tra F. e M.).

Riscontri della medesima natura alle accuse di F. e di V. si rinvengono negli altri capi oggetto di contestazione.

Per quanto attiene alla partecipazione dell’imputato all’associazione, la sentenza utilizza correttamente le chiamate in correità del F., coincidenti con quelle del V., riscontrate, ancora una volta, da una serie di intercettazioni da cui i giudici hanno tratto la convinzione, giustificata con una motivazione logica e coerente, del pieno inserimento del M. nell’organizzazione che gestiva il traffico dall’Olanda.

8.4. – Inammissibili sono i motivi con cui il ricorrente censura il trattamento sanzionatorio. Corretta appare la determinazione della pena base in rapporto al reato più grave (capo 32); motivato è il rifiuto di dare prevalenza alle circostanze attenuanti generiche, giustificato sostanzialmente con la gravità dei fatti posti in essere (l’erroneo richiamo all’aggravante del numero delle persone non incide sulla correttezza della motivazione).

8.5. – Inammissibile è, infine, il motivo con cui si lamenta la mancata restituzione dei beni oggetto di confisca. La Corte d’appello ha messo in giusto rilievo la carenza di interesse del M. ad ottenere la revoca del provvedimento di confisca, avendo egli stesso riconosciuto di non essere il legittimo proprietario dei beni oggetto di ablazione.

9. – In conclusione, alla dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi del F. e del P., consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

La sentenza impugnata deve essere annullata nei confronti del T., del B. e del R. limitatamente all’aggravante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Milano per la sola rideterminazione della pena; anche per il G. l’annullamento, limitato ai capi 28 e 31, va disposto con rinvio per la rideterminazione della pena;

mentre nei confronti del M. l’annullamento con rinvio, limitatamente alle imputazioni di cui ai n. 18, 23, 24, 30, 31, 33 e 34, deve essere disposto per nuovo giudizio in ordine a detti capi, che tenga conto di quanto rilevato in ordine ai limiti della valutazione presuntiva dei riscontri alla chiamata in correità. Nel resto i ricorsi devono essere rigettati.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata nei confronti del G. limitatamente ai capi 28 e 31; nei confronti del M. limitatamente ai capi 18, 23, 24, 30, 31, 33 e 34; nei confronti del T., del B. e del R. limitatamente all’aggravante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80 e rinvia per nuovo giudizio in ordine a detti capi e punti ad altra sezione della Corte d’appello di Milano; rigetta nel resto i ricorsi.

Dichiara inammissibili i ricorsi del F. e del P. e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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