Cass. civ. Sez. V, Sent., 24-02-2012, n. 2819 Imposta reddito persone giuridiche

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La s. coop. a r.l. Trasporti Roma in liquidazione propone ricorso per cassazione nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio che, rigettandone l’appello, ha confermato, per quanto ancora rileva, la legittimità dell’avviso di accertamento ai fini dell’IRPEG e dell’ILOR per l’anno 1993, con il quale venivano contestati omessi ricavi in relazione a fatture riferite ad operazioni considerate inesistenti.

Il giudice d’appello ha anzitutto ritenuto motivato l’atto impositivo, contenendo esso "gli elementi sufficienti e necessari per definire l’oggetto della controversia e porre il contribuente in condizione di difendersi, a nulla rilevando che l’Ufficio abbia fatto proprie le risultanze degli accertamenti della Guardia di finanza, atteso che sarebbe ovviamente superfluo motivare in modo specifico l’adesione a dette risultanze".

Quanto al merito dell’accertamento, ha rilevato come "l’inesistenza delle operazioni appare desumibile da presunzioni gravi, precise e concordanti, quali: a) la descrizione estremamente generica, nelle fatture delle operazioni compiute, per quanto riguarda natura, qualità e quantità dei servizi resi; b) l’assenza, nelle fatture, di richiami a contratti o ordini ricevuti dalle imprese committenti;

c) la mancanza, anche per operazioni di notevole consistenza, di una documentazione che dia ragione delle persone che avrebbero prestato la propria opera e delle circostanze in cui i servizi sarebbero stati resi".

L’Agenzia delle entrate non ha svolto attività nella presente sede, limitandosi a partecipare alla discussione.

Motivi della decisione

Con il primo motivo la società contribuente, denunciando "violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 42, della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, e degli artt. 2697, 2700 e 2729 cod. civ. Insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia ( art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5)", censura la sentenza per aver ritenuto motivato l’avviso laddove il rinvio da questo operato al verbale di constatazione redatto nei confronti della contribuente non sarebbe univoco, ma articolato su un duplice livello, perchè a sua volta il verbale di constatazione rinvierebbe all’esito dei controlli incrociati eseguiti nei confronti di presunti clienti, alla documentazione derivante da altra attività ispettiva non portante alcuna presunzione certa, sicchè l’avviso sarebbe motivato con una sorta di doppio rinvio per relationem.

Con il secondo motivo, denunciando "violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 42, e degli artt. 2697, 2700 e 2729 cod. civ.. Insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia ( art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5)", lamenta che la ricostruzione compiuta nel verbale di constatazione sia "entrata nel merito della questione, nella parte in diritto della vicenda, formulando ragioni e valutazioni giuridiche non consentite", e che "i verificatori siano giunti a conclusioni esorbitanti dalle finalità specifiche dei poteri ispettivi". Le "valutazioni" dei verbalizzanti non potrebbero ritenersi coperte dall’efficacia probatoria privilegiata ex art. 2700 cod. civ., sicchè l’ufficio non avrebbe potuto recepire acriticamente una serie di elementi all’evidenza puramente indiziar, rendendo incomprensibili le ragioni che hanno portato i giudici di secondo grado a ravvisare in tali elementi la base incontestabile onde legittimare gli avvisi.

Con il terzo motivo, denunciando "violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 41, comma 2, e dell’art. 2729 cod. civ.. Omessa pronuncia su un punto decisivo della controversia ( art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5)", censura come gravemente erronea la sentenza per aver legittimato i recuperi a tassazione sulla base di una generica doppia percentuale di redditività del 10% e del 15%, laddove non sarebbe possibile prendere una semplice media e traslarla acriticamente nell’ambito di una singola impresa senza il preventivo confronto con dati oggettivi, pena l’inattendibilità della media stessa. L’amministrazione sarebbe tenuta ad avvalorare la propria pretesa mediante riscontri precisi e dettagliati.

I primi due motivi, che vanno esaminati congiuntamente in quanto connessi, sono infondati.

Nell’atto amministrativo finale di imposizione tributaria, infatti, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, la motivazione "per relationem", con rinvio anche pedissequo alle conclusioni contenute in un atto istruttorio, nella specie il verbale di constatazione della Guardia di Finanza, non è illegittima, per mancanza di autonoma valutazione da parte dell’Ufficio degli elementi da quella acquisiti, significando semplicemente che l’Ufficio stesso, condividendone le conclusioni, ha inteso realizzare una economia di scrittura che, avuto riguardo alla circostanza che si tratta di elementi già noti al contribuente, non arreca alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio (Cass. n. 21119 del 2011, n. 2907 del 2010, n. 10205 del 2003); il semplice richiamo agli elementi risultanti dai verbali della polizia tributaria, in particolare, non può considerarsi privo della necessaria autonoma valutazione di tali elementi da parte dell’Ufficio, dovendosi piuttosto ritenere implicitamente condivisa la valutazione di rilevanza espressa nei verbali richiamati (Cass. n. 8183 del 2011).

Nell’adempimento dei suoi compiti, in forza del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, l’amministrazione può invitare "ogni altro soggetto ad esibire o trasmettere, anche in copia fotostatica atti o documenti fiscalmente rilevanti concernenti specifici rapporti intrattenuti con il contribuente e a fornire i chiarimenti relativi".

Ma la società ricorrente neppure indica nella specie gli "altri atti", da essa non conosciuti, che sarebbero stati richiamati e la cui allegazione sarebbe stata necessaria ad integrare la motivazione dell’atto di accertamento (cfr., nel vigore del più rigoroso regime introdotto dalla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, non applicabile alla specie razione terrporis, Cass. n. 26683 del 2009).

Il terzo motivo è inammissibile.

Per quel che attiene, infatti, alla lamentata violazione o falsa applicazione delle norme contenute nel D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41, comma 2, la censura non coglie nel segno, in quanto la sentenza impugnata non tocca affatto il punto costituito dalla determinazione complessiva del reddito del contribuente da parte dell’ufficio, sicchè non incorre nel vizio denunciato.

Segnatamente, poi, la decisione non tocca il tema della percentuale dì redditività, sicchè la censura di omessa pronuncia non è idoneamente formulata, atteso che non vengono indicati e riportati i rilievi sul punto, formulati nei gradi di merito, che si assume essere stati illegittimamente ignorati dal giudice d’appello.

Il ricorso va pertanto rigettato.

Si ravvisano giusti motivi per compensare fra le parti le spese del giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Dichiara interamente compensate fra le parti le spese del giudizio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *