Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 15-06-2011) 03-10-2011, n. 35806

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

– 1 – B.P., medico in servizio presso il pronto soccorso dell’ospedale di (OMISSIS), è stato tratto a giudizio per rispondere del delitto di omicidio colposo in pregiudizio del paziente G. A..

Secondo l’accusa, il B. – avendo trascurato di valutare adeguatamente le segnalazioni anamnestiche, la sintomatologia ed i segni clinici che presentava il G., che avrebbero dovuto indirizzare la diagnosi verso un disturbo di natura addominale, da verificare ed approfondire con ulteriori accertamenti strumentali, essendosi limitato a somministrare un farmaco antispastico e non avendo disposto il ricovero del paziente presso la divisione chirurgica, ove si sarebbe potuto intervenire chirurgicamente prima che sopraggiungesse la perforazione anteriore del sigma retto, con conseguente peritonite stercoracea – ha causato la morte del G. per scompenso cardiaco determinato dalle predette complicazioni.

-2- Con sentenza del 25 giugno 2007, il Tribunale di Rimini ha assolto l’imputato perchè il fatto non sussiste.

Quanto all’accusa di non avere valorizzato la sintomatologia del paziente e di non avere disposto gli esami clinici diretti a verificare le condizioni dell’addome, il giudice di primo grado, richiamando le osservazioni svolte dai periti d’ufficio, chiamati ad accertare le cause della morte del paziente, ha rilevato come mai si fosse presentata la necessità di eseguire detti esami, anche perchè il G. non aveva manifestato la sintomatologia caratteristica dell’addome cd. "acuto", cioè di addome che richiedeva un intervento chirurgico. In particolare, il paziente non presentava dolori addominali, vomito e febbre, indicativi di una patologia addominale, mentre il dolore che il paziente aveva iniziato a manifestare verso le ore 18 e che gli ostacolava la respirazione, ben poteva essere collegato alla patologia cardiaca di cui lo stesso soffriva, e che è stata poi la causa del decesso, ovvero anche all’assunzione di farmaci prescritti per l’esecuzione di una colon scopia, che provocano, quale effetto collaterale, dolori addominali.

In definitiva, secondo i periti, ai cui giudizi si è uniformato il primo giudice, nessun addebito di colpa poteva esser mosso all’imputato, essendo stata la sua condotta professionale conforme ai dettami della scienza medica.

In ogni caso, ha ancora osservato il primo giudice, ove anche nel lasso di tempo in cui il G. è rimasto al pronto soccorso affidato alle cure del B. – tra le ore 15,56, ora del trasporto in ospedale, e le ore 20 circa, ora in cui l’imputato ha completato il proprio turno di servizio- fossero stati eseguiti gli esami addominali (radiologici, ecografici), questi non avrebbero offerto sicuri elementi di valutazione, tali da indurre il sanitario ad ipotizzare una patologia addominale ed il ricorso all’intervento chirurgico.

-3- Su appello proposto dalle parti civili G.D., G.M. e G.A., la Corte d’Appello di Bologna, con sentenza del 20 aprile 2010, ha confermato la decisione assolutoria.

La corte territoriale, se da un lato è andata in contrario avviso rispetto al giudice di primo grado, nel senso che ha ritenuto la sussistenza, in capo al B. di una condotta omissiva colposa nella gestione del paziente affidato alle sue cure, dall’altro ha escluso di potere ravvisare in detta condotta gli estremi della fattispecie delittuosa contestata per assenza del nesso di causalità tra la stessa condotta e l’evento determinatosi.

La corte territoriale, dopo avere respinto l’eccezione di inutilizzabilità della perizia per violazione del diritto di difesa delle stesse parti civili, in relazione alla mancata partecipazione alle relative operazioni del consulente di parte, prof. D.G., ha rilevato come nella condotta del sanitario dovesse certamente riscontrarsi un evidente errore di diagnosi, avendo egli del tutto trascurato i segnali che autorizzavano il sospetto della esistenza di una patologia addominale e che imponevano il ricorso ad esami clinici che, se tempestivamente eseguiti, avrebbero potuto evidenziare la presenza della perforazione e della peritonite e suggerire il ricorso all’intervento chirurgico.

In particolare, il giudice del gravame ha contestato l’assunto secondo cui non sussistevano nel paziente i sintomi della patologia addominale (dolori, vomito, febbre); in realtà, hanno sostenuto gli stessi giudici, l’intervento del 118 era stato richiesto proprio perchè il G. era afflitto da forti dolori addominali con conati di vomito, come registrato nella scheda del servizio 118 e nel verbale di ricovero presso il pronto soccorso; dolori, peraltro, riscontrati all’esame obiettivo del paziente effettuato proprio dal dott. B.. Di guisa che del tutto incomprensibile è stata giudicata dallo stesso giudice l’affermazione dei periti secondo cui il quadro clinico del paziente non presentava, alle ore 15,56, sintomi di impegno addominale, laddove, peraltro, anche nelle ore successive il paziente aveva continuato a lamentare dolori addominali, segnalati dalla figlia del G. e registrati a più riprese nella stessa cartella clinica e persino dal dott. B. che, alle ore 19,30, nell’inviare il paziente al reparto osservazione breve, ha segnalato la presenza di "dolori addominali dopo assunzione di lassativi in preparazione di rectumcolonscopia".

In realtà, ha sostenuto la corte territoriale, fin dal suo ingresso in ospedale il paziente aveva manifestato sintomi che avrebbero dovuto indurre il B. ad ipotizzare una patologia addominale e a disporre i necessari approfondimenti attraverso semplici esami di routine, quali una radiografia ed un’ecografia, che avrebbero chiarito la condizione clinica del paziente; nulla rilevando, peraltro, che la sintomatologia dallo stesso manifestata potesse avallare altre ipotesi diagnostiche, posto che, in ogni caso, una regola prudenziale avrebbe dovuto imporgli di considerare ogni possibile ipotesi, e dunque anche quella della compromissione intestinale che, se non tempestivamente diagnosticata e trattata, avrebbe comportato conseguenze molto gravi.

Il dott. B., in sostanza, male interpretando la natura e l’origine dei dolori addominali, attribuiti al lassativo assunto, ha colposamente omesso, di fronte alla sintomatologia accusata dal paziente, di disporre i necessari approfondimenti che avrebbero consentito di pervenire ad una diagnosi, pur generica, di addome acuto che avrebbe determinato il ricorso all’intervento chirurgico.

Tuttavia, pur avendo concluso per la sussistenza di una condotta colposa omissiva in capo al B., la corte territoriale, come già accennato, non ha ritenuto che tale condotta fosse riconducibile alla fattispecie delittuosa contestata per carenza del nesso di causalità.

A tale proposito, la stessa corte ha rilevato che, ove anche fossero stati disposti ed eseguiti gli accertamenti omessi, questi non con la necessaria certezza avrebbero evidenziato lo stato flogistico, dovuto a perforazione ed a conseguente fuoriuscita di liquidi dal lume intestinale, causa delle successive complicanze cardiache che hanno provocato la morte del G., e dunque la necessità di ricorrere all’intervento chirurgico risolutore. A tale conclusione, la medesima corte è pervenuta segnalando che gli esami e gli approfondimenti -che avrebbero dovuto essere disposti dal medico del pronto soccorso- successivamente eseguiti, hanno dato esito negativo;

in particolare la "manovra di Blumberg", cioè la palpazione dell’addome del paziente, eseguita alle ore 22,40, l’ecografia addominale, eseguita alle ore 3,24, che non ha rilevato segni di versamento libero in cavo peritoneale, il contestuale consulto specialistico chirurgico, che ha escluso, sulla base di detto accertamento, segni di interesse chirurgico.

Particolare significato, in termini di esclusione del nesso causale, è stato attribuito all’esito negativo dell’accertamento ecografico circa la presenza di segnali di peritonite in un momento in cui detta patologia aveva raggiunto tale gravità da rendere irreversibile il processo flogistico; esito dal quale i giudici del gravame hanno ritenuto di trarre seri dubbi in ordine alla idoneità dell’accertamento diagnostico, pur tempestivo, a fornire indicazioni circa la necessità di un immediato intervento operatorio.

Conclusione alla quale quei giudici sono pervenuti, pur avendo ammesso che la negatività dell’esame in questione potesse esser dipesa anche dall’impossibilità, date le condizioni ormai critiche del paziente, di esplorare adeguatamente ogni settore dell’addome, come segnalato dai medici nel relativo referto. Di qui la decisione di conferma della sentenza assolutoria di primo grado.

-4- Avverso tale decisione propongono ricorso le parti civili G.D., G.A. e G.M., che deducono:

A) Nullità delle sentenze di merito per violazione dei diritti di difesa delle parti civili, non avendo esse partecipato alle operazioni peritali, il tutto in contrasto con l’art. 191 c.p., comma 1, lett. c), e quindi violazione dell’art. 178, lett. c). Sostengono le P.C. ricorrenti che il loro consulente avrebbe dovuto esser posto in grado di esplicare il suo intervento non successivamente, bensì prima che fosse depositato l’elaborato peritale;

B) Vizio di motivazione della sentenza impugnata, sotto il profilo della contraddittorietà, con riguardo alla ritenuta insussistenza del nesso di causalità. Contraddittorio sarebbe, si sostiene nel ricorso, ammettere che l’infezione intestinale del G. era con molta probabilità esistente già prima degli accertamenti eseguiti dopo le ore 22,30 per poi concludere che la condotta del sanitario – che tra le ore 15,56 e le ore 20 era preposto alla cura del paziente e che non ha disposto i necessari approfondimenti- non è in rapporto causale con la morte del paziente stesso. Contraddittorio, ancora, sarebbe l’esclusione del nesso causale sulla base di accertamenti diagnostici dei quali si è denunciata la sostanziale inattendibilità, mentre aprioristica sarebbe l’esclusione dell’ipotesi di cui all’art. 41 cod. pen. e dunque di ritenere la condotta del B. almeno concorrente nella causazione dell’evento;

e) Mancanza di motivazione in relazione alla richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale al fine di procedere a nuova perizia medico legale diretta ad accertare le cause della morte.

Motivi della decisione

– 1 – Il ricorso è fondato nei termini di seguito esposti.

A) Certamente infondati sono il primo ed il terzo dei motivi proposti. a) Con riguardo al primo motivo, rileva la Corte che, come ha già esattamente osservato la corte territoriale, in relazione alle modalità di espletamento della perizia, nessuna lesione del diritto di difesa può ipotizzarsi in danno delle parti civili. Costoro, invero, sono state ritualmente avvertite dell’inizio delle operazioni peritali ed alla data di avvio delle stesse – 10 aprile 2006 – erano rappresentate dal loro consulente, prof. D.G.. Ha altresì precisato la stessa corte che detto consulente, preventivamente invitato a far pervenire eventuali considerazioni sul caso clinico del G., in quella stessa sede, ha depositato e messo a disposizione dei periti le proprie "considerazioni preliminari"; ed ancora, che lo stesso consulente ha svolto, dopo il deposito della relazione peritale, le proprie deduzioni scritte, depositate ed acquisite agli atti all’udienza dibattimentale del 16.3.07, seguite da un acceso contraddittorio fra tutti i periti ed i consulenti di parte durante il quale il prof. D.G. ha ampiamente contestato i giudizi espressi dai periti.

A fronte di tali non contestate considerazioni, le PC ricorrenti si dolgono del fatto che i periti non abbiano avviato le operazioni peritali nella stessa data del 10.4.06, senza tuttavia precisare di quali operazioni si sarebbe trattato, considerato anche che, come hanno precisato i giudici del gravame, la perizia non ha comportato lo svolgimento di attività cliniche, bensì solo l’esame e la valutazione della documentazione in atti. Quanto alla possibilità delle parti civili, invocata nel ricorso, di potere influire sulle decisioni dei periti prima che gli stessi esprimessero i propri giudizi, rileva la Corte che tale possibilità è stata concretamente ed esaustivamente esercitata proprio attraverso le "considerazioni preliminari" consegnate il 10.4.06, ad avvio delle operazioni. b) Quanto al vizio di motivazione, dedotto in relazione all’omessa indicazione, da parte del giudice del gravame, dei motivi di rigetto della richiesta di rinnovazione parziale del dibattimento, finalizzata all’espletamento di perizia medico-legale, occorre rilevare che, secondo la condivisa giurisprudenza di questa Corte, l’obbligo di specifica motivazione, in vista della eccezionalità dell’istituto in questione, incombe sul giudice del gravame solo nel caso in cui decida di accedere alla relativa richiesta, non anche allorchè ritenga di respingerla sul presupposto dell’esistenza in atti degli elementi necessari per decidere, implicitamente deducibile dal contesto motivazionale. Come può ritenersi nel caso di specie, in cui lo stesso giudice si è a lungo soffermato sugli elementi probatori acquisiti che ha evidentemente ritenuto, a prescindere dalla coerenza interna del giudizio finale, sufficienti ai fini della decisione.

B) Fondato è, viceversa, il secondo motivo di ricorso, essendo certamente ravvisagli i dedotti vizi di motivazione.

Come già sopra esposto, la corte territoriale ha ritenuto di dover riscontrare precisi profili di colpa nella condotta del dott. B. nella negligente ed imperita gestione del paziente affidato alle sue cure, avendo egli colposamente omesso di approfondire le cause dei forti dolori addominali che costui accusava, avendoli erroneamente attribuiti all’assunzione di un lassativo.

Nel giungere a tale conclusione, la stessa Corte ha rilevato, censurando i diversi giudizi espressi dal primo giudice: a) che i violenti dolori addominali accusati dal G. erano comparsi ben prima dell’ingresso dello stesso nei locali del pronto soccorso, intorno alle ore 15,56; ciò anche perchè l’intervento del 118 era stato richiesto proprio perchè il paziente accusava quei dolori che, ha aggiunto il giudice del gravame, hanno accompagnato il G. per tutto l’arco temporale in cui egli è stato in carico al dott. B. (che ha terminato il proprio turno di servizio alle ore 20) ed anche in seguito; 2) che l’esistenza, la persistenza e l’intensità dei dolori (quest’ultima dedotta anche dal fatto che essi erano giunti ad interferire con la respirazione) avrebbero dovuto indirizzare il medico quantomeno a sospettare l’esistenza di una patologia addominale, che rendeva indispensabile il ricorso agli accertamenti di routine previsti in casi del genere (radiografia, ecografia, manovra di Blumberg); manovra mai eseguita ed accertamenti mai disposti dal dott. B.; 3) che se tali approfondimenti diagnostici e strumentali fossero stati tempestivamente disposti, il quadro clinico si sarebbe chiarito, e sarebbe stato possibile, si legge nella sentenza impugnata, "pervenire ad una diagnosi, sia pure generica, di addome acuto il che avrebbe consentito di portare il paziente sul tavolo operatorio".

Argomentazioni e considerazioni con le quali, dunque, la corte territoriale ha, non solo individuato, negli stessi termini indicati nel capo d’imputazione, nella gestione del paziente da parte del B. una condotta omissiva colposa, per non avere lo stesso approfondito il quadro clinico che quello presentava, attraverso il ricorso ai predetti accertamenti clinici, ma ha altresì attribuito il decesso, sotto il profilo causale, a tale colpevole condotta, laddove ha sostenuto che, se gli accertamenti fossero stati eseguiti, il quadro clinico si sarebbe chiarito e si sarebbe potuto intervenire chirurgicamente. La radiografia, l’ecografia, la manovra di Blumberg, dunque, se tempestivamente disposte ed eseguite dal B., avrebbero permesso di accertare lo stato flogistico che ha causato le successive complicanze che hanno provocato l’arresto cardiaco ed il decesso.

Ed allora, contraddittoria si presenta la successiva conclusione, alla quale i giudici del merito sono poco dopo pervenuti, laddove, in punto di nesso causale, essi hanno sostenuto che "univoci e plurimi segnali" ponevano in dubbio la possibilità che "qualora fossero stati eseguiti gli esami richiesti dal caso (rx all’addome o ecografia), si sarebbe evidenziato quello stato flogistico dovuto a perforazione e a conseguente fuoriuscita di liquidi dal lume intestinale, causa delle successive complicanze che portarono a morte il G., tali da consigliare l’immediato intervento chirurgico".

Incoerente, poi, si presenta la indicazione dei "plurimi segnali" che hanno fatto insorgere negli stessi giudici quei dubbi, e che sono stati indicati nell’esito negativo che avevano dato la manovra di Blumberg, eseguita alle ore 22,40 da altro sanitario dell’ospedale, l’ecografia, eseguita alle ore 3,24, che non aveva evidenziato segni di versamento libero in cavo peritoneale, ed il contestuale consulto specialistico chirurgico.

In realtà, sono gli stessi giudici a precisare, quanto alla manovra di Blumberg, che essa era stata eseguita "molto tardi -dopo le ore 22,30- dalla dott.ssa F., in un momento in cui le condizioni generali del G. erano talmente scadute che ben difficilmente detta manovra poteva portare ad un risultato significativo, tanto è vero che meno di un’ora dopo il G. andrà in arresto cardiaco, arresto dovuto non a patologia cardiaca primaria ma alla grave affezione in atto"; ed ancora, quanto all’ecografia, che l’esito negativo della stessa poteva esser dipesa da vari fattori, tra cui l’impossibilità, date le condizioni critiche del paziente, di esplorare bene ogni settore dell’addome, come risultava segnalato nel relativo referto in parte riportato nella sentenza; mentre nessuna indicazione precisa avrebbe potuto desumersi dall’esito negativo del consulto chirurgico che, come ha precisato lo stesso giudice del gravame, si fondava esclusivamente sui dati dell’ecografia.

Incoerente, cioè, sembra la valorizzazione, da parte di quei giudici, per escludere il nesso di causa, di quei "segnali" da essi stessi in sostanza ritenuti inattendibili, essendo stata la loro negatività attribuita all’estremo ritardo con cui quegli approfondimenti sono stati eseguiti.

– 2 – Deve, quindi, convenirsi, con le parti civili ricorrenti, che la sentenza impugnata presenta evidenti contraddizioni ed illogicità motivazionali che ne impongono l’annullamento ai fini civili, ex art. 622 cod. proc. pen., con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello, cui rimette anche ogni decisione in ordine al governo, tra le parti private, delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello, cui demanda anche il regolamento delle spese fra le parti per questo giudizio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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