Cass. civ. Sez. II, Sent., 27-02-2012, n. 2982 Cosa gravata da garanzie reali o altri vincoli

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con atto di citazione notificato il 12 ottobre 2004, la s.r.l.

Varvarotto Gaetano convenne in giudizio, dinanzi al Tribunale di Tortona, B.P. e D.G.R., per sentire dichiarare la risoluzione, ai sensi dell’art. 1489 cod. civ., con il conseguente risarcimento del danno, o, in subordine, la nullità del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, ex art. 17 (Attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio), e della L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 18 (Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie), ora sostituito dal D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 30 (T.U. disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), dei contratti tra loro collegati ed aventi ad oggetto immobili siti in (OMISSIS), stipulati in data 4 febbraio 2003 a rogito notaio Ottavio Pilotti di Tortona, perchè gravati da oneri reali non apparenti che ne diminuivano il loro libero godimento.

Espose l’attrice che, nel corso dei lavori di ristrutturazione di detti immobili, avviati dopo l’8 aprile 2003, era stata trovata nel sottosuolo di uno di essi (un terreno) una discarica contenente del materiale nocivo, risalente a prima dell’acquisto del terreno, con la presenza di amianto e con rilevanti costi di bonifica, stimati in circa Euro 125.000.

Si costituirono i convenuti, resistendo.

Con sentenza n. 179 del 2006 il Tribunale di Tortona rigettò le domande, compensando tra le pari le spese di lite.

2. – La Corte d’appello di Torino, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 7 agosto 2009, ha rigettato il gravame principale della società Varvarotto Gaetano e, in accoglimento di quello incidentale della B. e del D. e in parziale riforma della pronuncia del Tribunale, ha condannato la società al pagamento delle spese del primo grado di giudizio; ha inoltre posto a carico della Varvarotto le spese del gravame sostenute dagli appellati e appellanti incidentali.

2.1. – A tale conclusione la Corte territoriale è pervenuta dopo avere rilevato:

– che i rifiuti erano stati rinvenuti solo su una piccola parte del terreno di cui al mappale 658 (il cui valore era indicato in appena Euro 18.352 su un totale complessivo della compravendita di oltre Euro 280.000);

– che la asserita discarica tale non era e, comunque, non incideva in modo apprezzabile sul godimento nè del complesso immobiliare, nè del terreno in cui i rifiuti erano stati trovati sepolti;

– che il certificato di destinazione urbanistica del terreno di cui al mappale 658, rilasciato dal Comune di Carbonara Serivia, allegato al rogito de quo, non reca alcun onere reale ai sensi del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 17, comma 10, e ciò in quanto l’autorità competente non era a conoscenza della presenza, nell’area in questione, di rifiuti da bonificare;

che non vi è prova che gli autori del preteso inquinamento siano gli appellati, nè che costoro fossero a conoscenza della presenza dei rifiuti in parte del sottosuolo del mappale 658, nè, infine, che avessero deliberatamente omesso di avvertire il compratore della presenza di tali rifiuti;

che il c.t.u. ha stimato il costo della bonifica in appena Euro 4.200 oltre IVA: il che dimostra anche che la presenza dei rifiuti non può neppure costituire quel vizio redibitorio tale da comportare la risoluzione del contratto, unica domanda proposta dall’appellante (che avrebbe potuto scegliere anche la riduzione del prezzo, ove avesse esercitato l’azione ex art. 1490 cod. civ., dimostrando che il vizio, tempestivamente denunciato, avesse diminuito in modo apprezzabile il valore della cosa compravenduta);

che la nullità del contratto consegue soltanto alla mancata allegazione del certificato di destinazione urbanistica, mentre detta sanzione non può discendere dalla mancata indicazione del preteso "onere reale", che nella specie neppure poteva essere menzionato prima della scoperta dei rifiuti e dell’intervento della P.A..

3. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello la società Varvarotto Gaetano ha proposto ricorso, con atto notificato il 12 marzo 2010, sulla base di undici motivi.

Gli intimati hanno resistito con controricorso.

In prossimità dell’udienza la ricorrente ha depositato una memoria illustrativa.

Motivi della decisione

1. – Con il primo motivo si deduce "insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo – art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5 – in relazione al primo motivo di appello". L’appellante aveva infatti dedotto l’esistenza di due contratti collegati, benchè contenuti in un unico documento, e che solo sotto il proprio terreno del mappale 658 era stato rinvenuto del materiale inquinante oltre i limiti prescritti dal D.M. 25 ottobre 1999, n. 471 (Regolamento recante criteri, procedure e modalità per la messa in sicurezza, la bonifica e il ripristino ambientale dei siti inquinati, ai sensi del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 17 e successive modificazioni e integrazioni). Detto superamento imponeva il risanamento del terreno con gli interventi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale del D.Lgs. n. 22 del 1997, ex art. 17, comma 10, i quali costituivano oneri reali gravanti su detta area. L’appellante ne deduceva che il contratto avente per oggetto detto terreno, stipulato con la sola B., fosse viziato ai sensi dell’art. 1489 cod. civ., e ne chiedeva la risoluzione, estendendo la medesima richiesta anche all’altro contratto in virtù del collegamento. Secondo la ricorrente, la Corte d’appello "non motiva affatto, nel senso che non spiega in alcun modo la ragione per la quale la fattispecie, a suo avviso, fosse ben chiara al primo giudice, talchè la sua affermazione risulta essere apodittica ed insufficiente ad illustrare il percorso logico attraverso il quale essa è giunta alla detta conclusione". 1.1. – IL motivo è infondato.

Contrariamente a quanto ritenuto dalla ricorrente, la Corte d’appello ha adeguatamente motivato la reiezione del primo motivo di gravame, spiegando che, secondo quanto esattamente deciso dal Tribunale, i rifiuti erano stati rinvenuti soltanto su una piccola parte del terreno di cui al mappale 653 (con un valore indicato in appena Euro 18.352 su un totale complessivo della compravendita di Euro 280.000) e che, nonostante l’accampato collegamento tra i contratti di compravendita, la presenza di rifiuti – non costituente una vera e propria discarica – non incideva in modo apprezzabile sul godimento nè del complesso immobiliare, nè del terreno nel quale erano stati trovati interrati.

2. – Con il secondo mezzo (omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio) la società ricorrente deduce che la sentenza impugnata, ritenendo che l’onere reale lamentato dall’appellante coincidesse con la presenza dei rifiuti rinvenuti nel sottosuolo del mappale 658 anzichè con gli interventi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale di cui al D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 17, comma 10, avrebbe travisato un fatto fondamentale per il giudizio.

2.1. – Il motivo è inammissibile, perchè la denuncia di un errore di fatto, consistente nell’inesatta percezione da parte del giudice di circostanze presupposte come sicura base del suo ragionamento, in contrasto con quanto risulta dagli atti del processo, non costituisce motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, ma di revocazione ai sensi dell’art. 395 cod. proc. civ., n. 4 (Cass., Sez. 3^, 16 maggio 2006, n. 11373; Cass., Sez. 1^, 3 agosto 2007, n. 17057; Cass., Sez. 3^, 19 febbraio 2009, n. 4056;

Cass., Sez. 3^, 27 aprile 2010, n. 10066; Cass., Sez 5^, 29 luglio 2011, n. 16659).

3. – Il terzo mezzo denuncia violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 17, comma 10, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 3. Con esso ci si duole che la Corte di Torino sia giunta alla conclusione che, in assenza di un provvedimento di tipo amministrativo che imponga al responsabile dell’inquinamento e, di riflesso, al proprietario dell’immobile, nel caso di mancata individuabilità del primo, di eseguire gli interventi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale, non sorgerebbe alcun onere reale. Ad avviso della società ricorrente, invece, detto onere preesiste all’emissione del provvedimento con cui la P.A. impone di procedere al risanamento dell’area. In ogni caso il provvedimento amministrativo nella specie sussisteva e sulla sua valutazione sarebbe stata omessa da parte del giudice di secondo grado ogni motivazione.

3.1. – Il motivo è infondato e, in parte, inammissibile.

Ai sensi del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 17, e del suo regolamento attuativo approvato con il D.M. 25 ottobre 1997, n. 471, recante criteri, procedure e modalità per la messa in sicurezza, la bonifica e il ripristino ambientale dei siti inquinati, il coinvolgimento del proprietario del terreno, pur non responsabile del riscontrato inquinamento, nelle spese di messa in sicurezza e di bonifica del sito, attraverso gli istituti dell’onere reale e del privilegio speciale immobiliare sulle aree, è volto a responsabilizzare, per effetto della "posizione" rivestita, il soggetto che ha un particolare legame, di tipo dominicale, con le aree, al fine di ottenere un’ulteriore posizione di garanzia (qualora il responsabile non provveda ovvero non sia individuabile), a salvaguardia del preminente interesse, di rilievo costituzionale, alla salubrità dell’ambiente. In questo sistema, l’operatività dell’onere reale è una conseguenza della necessità, individuata dall’autorità competente, di realizzare gli interventi di messa in sicurezza, di bonifica, di ripristino ambientale e di messa in sicurezza, presupponendo, a monte, un provvedimento amministrativo che prescriva detti interventi all’esito della approvazione di un progetto di bonifica; mentre è da escludere che l’imposizione del peso sul fondo – in assenza di una procedura amministrativa volta ad accertare la contaminazione del suolo e ad imporre l’adozione degli interventi necessari, onerando il proprietario del relativo costo – nasca dalla presenza del semplice accumulo, su detto terreno, di rifiuti interrati.

Per il resto il motivo, là dove deduce che "il provvedimento amministrativo … nel caso di specie sussisteva", è privo di autosufficienza, perchè, in violazione dell’art. 366 cod. proc. civ., n. 6, non reca la specifica indicazione dell’atto o del documento su cui il ricorso si fonda.

4. – Con il quarto motivo (violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 17, comma 10, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 3; erroneità della motivazione) si censura "l’erronea motivazione della sentenza in ordine all’inappropriato richiamo al certificato di destinazione urbanistica". Mai l’appellante avrebbe fatto riferimento a detto certificato come elemento determinante ai fini della declaratoria di risoluzione del contratto per inadempimento ai sensi dell’art. 1489 cod. civ.; di tale documento la s.r.l. Varvarotto avrebbe discusso esclusivamente nell’ambito della domanda di nullità del contratto di vendita stipulato con la sola B..

4.1. – La doglianza non coglie la ratio decidendi, la quale è puntualmente espressa a pag. 15 della sentenza, là dove si afferma:

"Per quanto riguarda poi la pretesa nullità della compravendita (nel suo complesso) per la mancata indicazione dell’onere reale, si è già detto che nel certificato di destinazione urbanistica tale onere non era indicato ma che il CDU era regolarmente allegato all’atto, cosi come richiesto dalla legge a pena di nullità, e non può estendersi – come vorrebbe l’appellante – detta sanzione, che nel sistema della legge consegue ad una mancata formalità (l’allegazione del CDU – contenente le prescrizioni urbanistiche riguardanti l’area interessata – al contratto di compravendita, v. D.P.R. n. 380 del 2001, art. 30, comma 2), ad una apparente omissione nel contenuto stesso del CDU, ove non compare il preteso onere reale, che però, nella specie, non poteva essere indicato prima dell’atto amministrativo (ovvero prima della sua scoperta e dell’intervento della P.A.)". 5. – Il quinto motivo censura "omessa motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio (la natura tossica dei rifiuti accertati dalla c.t.u.) in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 4". La Corte d’appello, pur facendo propria la relazione del c.t.u. nel suo complesso, avrebbe ignorato il dato della pericolosità di alcuni rifiuti.

5.1. – Il motivo è inammissibile. La complessiva doglianza – omettendo di riportare il contenuto delle risultanze peritali che il giudice del merito avrebbe male o insufficientemente valutato – non spiega da dove deriverebbe la sottovalutazione, da parte della Corte territoriale, del "dato della pericolosità di alcuni rifiuti". Al contrario di quanto prospettato dalla ricorrente, la Corte di Torino si è correttamente attenuta, dando logica ed adeguata motivazione, ai risultati della c.t.u.: e – escluso che possa definirsi discarica la presenza di appena 5-6 mc. di terreno misto a pezzetti di fibrocemento – è pervenuta alla conclusione che, dato il modesto costo necessario per il ripristino ambientale (appena 4.250 Euro), la presenza di rifiuti non può costituire un vizio redibitorio, tale da comportare la risoluzione del contratto, unica domanda proposta dalla società Varvarotto.

6. – Il sesto motivo lamenta violazione o falsa applicazione dell’art. 1489 cod. civ., del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 17, comma 10, del D.M. n. 471 del 1999, art. 3, comma 1 e relativo allegato e del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 17, comma 13 ter, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 3. La sentenza impugnata non avrebbe considerato che le specifiche procedure indicate dal c.t.u. per lo smaltimento dei rifiuti pericolosi (amianto), essendo obbligatorie ex lege, coincidono con quel vincolo giuridico che limita il godimento del diritto dell’acquirente, venendo a coincidere con l’onere di cui all’art. 1489 cod. civ..

6.1. – Il motivo è infondato.

Nella specie non è configurabile, per le ragioni esposte retro, sub 3.1., un onere reale, che sorge soltanto a seguito del provvedimento amministrativo prescrivente l’intervento di bonifica o di ripristino ambientale, perchè – prima della vendita – non è stata attivata nessuna procedura di bonifica a carico del proprietario del fondo, dante causa della Varvarotto; non vi è pertanto spazio per discorrere di un onere limitativo del godimento del bene, ossia di uno di quei vincoli che, nel concorso delle condizioni contemplate dall’art. 1489 cod. civ. (inclusa la non apparenza del vincolo stesso), abilitano il compratore alle azioni da tale norma previste.

7. – Il settimo motivo denuncia omessa motivazione in relazione al motivo d’appello concernente la violazione degli artt. 99 e 112 cod. proc. civ., con riguardo al vizio redibitorio. Nel caso di specie, la domanda svolta dall’attrice era quella di risoluzione ape indicis dei contratti in questione, sicchè il giudice avrebbe dovuto pronunciare "sull’applicabilità alla fattispecie sottoposta al suo esame della norma da lui individuata, atteso che tale pronuncia non avrebbe comportato alcuna violazione della causa petendi nè del petitum". 7.1. – Non sussiste il denunciato vizio di infrapetizione, perchè la Corte di Torino ha esaminato la domanda di risoluzione, e l’ha giudicata non fondata, escludendo che la presenza di rifiuti integrasse un vizio redibitorio o di non scarsa importanza (v. pag.

14 della sentenza impugnata).

Il motivo è, pertanto, infondato.

8. – Con l’ottavo motivo (violazione degli artt. 1455 e 1490 cod. civ. e del D.M. n. 471 del 1999, art. 3, comma 1, sotto il profilo dell’erronea motivazione) si rileva che, poichè nel caso di specie l’inadempimento è predeterminato per legge, coincidendo con la vendita del terreno inquinato oltre i limiti di accettabilità prescritti, il giudice non poteva valutarne l’importanza ai fini della risoluzione.

8.1. – La censura è priva di pertinenza, perchè non indica le prove – ignorate dal giudice del merito – dalle quali risulterebbe la vendita di un terreno con il superamento, alla data della stipula dell’atto, dei limiti di accettabilità della contaminazione.

9. – Con il nono mezzo (violazione e falsa applicazione dell’art. 12 preleggi, artt. 1362 e 1363 cod. civ., del D.P.R. n. 380 del 2001, 17, comma 10, del D.Lgs. n. 22 del 1997, e art. 1418 cod. civ., in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 3) si sostiene che "l’onere de qao deve essere contenuto nel certificato da allegare agli atti aventi ad oggetto il trasferimento di diritti immobiliari poichè la sua assenza determina … la nullità dell’atto". 9.1 – L’infondatezza del motivo deriva dal principio enunciato a proposito dell’esame del terzo motivo.

Non essendo nella specie configurabile, per quanto sopra detto, un onere reale, non essendo stata attivata – prima della vendita – nessuna procedura di bonifica a carico dell’alienante, precedente proprietario del fondo, mancano i presupposti per valutare se sia predicabile una nullità per la mancata completezza del certificato di destinazione urbanistica, regolarmente allegato al contratto di vendita del terreno de quo.

10. – Il decimo motivo lamenta violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. e dell’art. 115 cod. proc. civ. in relazione alle domande di risarcimento (art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 3). "Il giudice di secondo grado dimentica … che solo per il danno relativo al ritardato insediamento della sede secondaria della società ricorrente (ovvero per l’interesse positivo che guida il risarcimento del danno contrattuale) non è stato possibile per l’appellante provare i prescritti presupposti, poichè la medesima Corte non ha svolto l’istruttoria sul punto, ritenendo erroneamente, come già aveva fatto il Tribunale, la causa matura per la decisione, violando in tal modo l’art. 2697 cod. civ., nonchè il principio del dispositivo ex art. 115 cod. proc. civ.. La prova del danno relativo alle spese per il risanamento del terreno, invece, era stata fornita come evidenza il documento n. 3 allegato al fascicolo di parte di primo grado, laddove il perito di parte aveva stimato in Euro 125.131 …". 10.1 – Il motivo è inammissibile, perchè la sentenza impugnata ha fatto discendere l’esonero dall’esame della domanda di risarcimento dei pretesi danni, prima ancora che da un problema di prova, dal rigetto delle domande, di nullità o di risoluzione del contratto, proposte dalla società Varvarotto.

Su questa ratio decidendi non vi è censura specifica, tutta la doglianza ruotando intorno alla questione (logicamente successiva) della prova degli asseriti danni.

11. – L’undicesimo motivo denuncia contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio in ordine all’appello incidentale, sul rilievo che "la Corte …, modificando la statuizione sulle spese, sembra voler punire l’appellante per la scelta delle domande svolte, come se solo a causa di quest’ultime la controparte abbia dovuto difendersi, mentre cosi non sarebbe stato, secondo il ragionamento del secondo giudice, se l’attrice avesse scelto la riduzione del prezzo". 11.1 – La doglianza è infondata.

La Corte d’appello – accogliendo l’appello incidentale del D. e della B. – ha posto a carico della società Varvarotto le spese di primo grado facendo applicazione del principio della soccombenza.

Non sussiste, pertanto, il vizio denunciato, perchè, in tema di regolamento delle spese processuali, il sindacato della Corte di cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, esulando da tale sindacato, e rientrando nel potere discrezionale del giudice del merito, la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite.

12. – Il ricorso è rigettato.

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dai controricorrenti, che liquida in complessivi Euro 4.200,00, di cui Euro 4.000,00 per onorari, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 7 febbraio 2012.

Depositato in Cancelleria il 27 febbraio 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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