Cass. civ. Sez. II, Sent., 27-02-2012, n. 2981 Garanzia per i vizi della cosa venduta

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Il 21 novembre 1996 la s.r.l. Finco (di seguito anche FINCO) e la s.r.l. Sviluppo Immobiliare Corio (di seguito anche SIC o CORIO) stipularono un contratto di compravendita relativo all’area complessiva di mq. 92.885 sita in (OMISSIS), censita nel catasto terreni del Comune di Milano alla partita 336281 – foglio 64, mappali 6, 26, 94, 95, 96, 97, determinandone il prezzo in L. 17 miliardi, oltre IVA. Tale terreno era inserito in un più ampio comparto interessato da un programma di riqualificazione urbana (PRU), al fine di realizzarvi un edificio multisala, due edifici adibiti ad uso industriale e zone di verde attrezzato.

2. – Con atto di citazione notificato in data 18 novembre 1997, la FINCO convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Milano la SIC, lamentando di avere scoperto, nel corso di lavori prospettici effettuati nell’autunno 1997, la presenza, nel sottosuolo del terreno de quo (ad una profondità media di circa 7 metri), di materiali anomali ascrivibili alla categoria dei rifiuti speciali (tossico- nocivi e comunque pericolosi).

L’attrice dedusse che la presenza del terreno dei suddetti rifiuti costituiva vizio della cosa venduta che la rendeva inidonea all’uso cui era destinata e comunque ne diminuiva il valore, e conseguentemente chiese la condanna della SIC alla restituzione di parte del prezzo già integralmente pagato e al risarcimento del danno da inadempimento contrattuale.

La SIC, in un primo tempo contumace, si costituì all’udienza del 6 giugno 2001, contestando la fondatezza della domanda avversaria.

Acquisita la documentazione prodotta dall’attrice ed esperita c.t.u., il Tribunale di Milano, con sentenza in data 15 dicembre 2005, condannò la SIC a pagare alla FINCO l’importo complessivo di Euro 2.813.099,02, oltre rivalutazione, a titolo di rimborso delle spese sostenute dalla FINCO per la bonifica del terreno (quantificate in Euro 1.633.533,10) e per lo smaltimento di melme acide (quantificate in Euro 620.000,00), nonchè a titolo di risarcimento degli ulteriori danni subiti dalla FINCO (per i maggiori oneri di progettazione dovuti alla presenza dei rifiuti e per il ritardo nella realizzazione del programma edificatorio).

3. – Con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 28 settembre 2009, la Corte d’appello di Milano ha accolto il gravame della SIC e, per l’effetto, ha rigettato le domande proposte dalla FINCO, condannandola a restituire alla SIC quanto da essa ricevuto per effetto della provvisoria esecutorietà della decisione di primo grado, oltre interessi, ed ha compensato tra le parti le spese del doppio grado.

3.1. – Muovendo dalla sottolineatura delle caratteristiche dell’area al momento della conclusione del contratto e della storia della sua utilizzazione nel corso degli anni, la Corte territoriale ha evidenziato che il terreno de quo era stato sfruttato come cava e che versava in situazione di abbandono, tanto da essere stato utilizzato da estranei – anche in epoca antecedente all’emanazione del D.P.R. 10 settembre 1982, n. 915 (Attuazione delle direttive CEE n. 75/442 relativa ai rifiuti, n. 76/403 relativa allo smaltimento dei policlorodifenili e policlorotrifenili e n. 78/319 relativa ai rifiuti tossici e nocivi) – per il deposito di materiali di varia natura rinvenuti in quantità copiosa sulla intera estensione superficiale.

Premesso che l’assenza di disposizioni della legge speciale prima della adozione del D.P.R. n. 915 del 1982 non consentiva di contrastare in modo efficace il fenomeno diffuso dell’abbandono di materiale di risulta e di scarto delle lavorazioni industriali, la Corte di Milano ha sottolineato che "il riempimento dello spazio oggetto della pregressa coltivazione mineraria tramite la discarica di materiali di incerta tipologia era avvenuto mercè l’ammasso a strati via via sovrapposti, dal piano di fondo della cava sino a quello di campagna, con la conseguenza della percezione sia da parte dell’uomo medio, e ancor più dell’operatore economico, del fatto che l’eventuale contaminazione ambientale sarebbe potuto avvenire in uno qualsiasi (se non in tutti) i livelli di profondità e che la mancata individuazione di materiali inquinanti nella parte superficiale, prossima o superiore al detto piano di campagna, non escludeva il rischio di un dissesto ambientale nelle porzioni più profonde di quel comparto territoriale".

Secondo la Corte territoriale, l’accertamento visivo della condizione superficiale del bene non esauriva l’indagine sulla sua condizione complessiva e non necessariamente il venditore di tale porzione era a conoscenza della reale naturale del materiale depositato.

Piuttosto – ha precisato il giudice a quo – la disciplina dettata dal legislatore in tema di vizi della cosa e in tema di esclusione della garanzia, con particolare riferimento al requisito della facile riconoscibilità, deve essere rapportata alla natura ed alla consistenza del bene compravenduto, il che comporta "un grado di vigilanza a carico del compratore rapportato a detti parametri", essendo "evidente che le caratteristiche del bene non sono necessariamente uniformi in tutte le sezioni di esso e che l’assenza di particolari indicatori di inquinamento nella fascia alta non esclude la possibilità di contaminazione nelle fasce degradanti".

Secondo la Corte del gravame, nella specie "l’evidenza relativa alla destinazione a cava dell’area e quella riguardante il successivo riempimento dell’intero spazio profondo ponevano a carico dell’acquirente un onere di accertamento commisurato alla dimensione economica del contratto ed alla consistenza dei futuri investimenti, al fine di escludere la presenza di contaminazione che avrebbero impedito la edificazione dell’area senza il necessario intervento di bonifica previsto dalla legislazione regionale".

La Corte d’appello ha altresì ritenuto indispensabili al procedimento decisionale tre documenti prodotti in appello dalla CORIO: la scrittura privata di accordo di comparto sottoscritta il 21 dicembre 1992 tra la CORIO e la Contrada del (OMISSIS), la Delib.

Consiglio comunale di Milano 7 marzo 1996, n. 1013 di adozione del PRU e il contratto preliminare di compravendita del terreno de quo concluso tra la FINCO, la CORIO e Esselunga il 20 settembre 1996. Da tali documenti la Corte di Milano ha desunto che la FINCO ha avuto alla data dell’acquisto adeguata consapevolezza della necessità di un intervento di bonifica sul terreno acquistato, assumendo a proprio carico l’obbligo di provvedere alla suddetta bonifica.

4. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello ha proposto ricorso la LEPANTO s.r.l. (succeduta per incorporazione alla società FINCO), sulla base di otto motivi.

La CORIO ha resistito con controricorso.

In prossimità dell’udienza entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.

Motivi della decisione

1. – Con il primo mezzo, la ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, l’omessa pronuncia con riferimento alla domanda di risarcimento dei danni fondata sul documento n. 2 prodotto dalla FINCO in primo grado, stante l’impegno di bonifica della CORIO manifestato in detto documento, unitamente alla presa d’atto circa la conoscenza sopravvenuta da parte della FINCO della necessità della bonifica.

1.1. – Il motivo è infondato.

L’impegno del venditore di eliminare i vizi che rendano la cosa inidonea all’uso cui è destinata (ovvero ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore economico) di per sè non da vita ad una nuova obbligazione estintiva o estintiva dell’originaria obbligazione di garanzia (Cass., Sez. Un., 21 giugno 2005, n. 13294), sicchè deve escludersi che la Corte d’appello (che ha pronunciato sul merito della garanzia per i vizi) sia incorsa nel vizio di omessa pronuncia per non avere esaminato la domanda da inadempimento dell’obbligazione discendente dalla novazione oggettiva.

Tra l’altro detta domanda non risulta dal testo delle conclusioni rassegnate in primo grado dalla FINCO, e riportate nell’epigrafe della sentenza del Tribunale, ove non consta la deduzione di un impegno della CORIO in termini modificativi dell’azione edilizia promossa e coltivata in corso di causa, essendo il riferimento all’art. 1453 cod. civ. relativo all’accertamento dell’aliud pro alio, e non ad un impegno a bonificare assunto dalla CORIO e desumibile dal predetto documento.

A ciò aggiungasi che non integra il vizio di omessa pronuncia ex art. 112 cod. proc. civ. il mancato esame, da parte del giudice del merito, di un documento decisivo, perchè detto vizio è configurabile, non in relazione allo scrutinio delle prove e delle risultanze o istanze istruttorie, ma esclusivamente con riferimento a domande o eccezioni che richiedano una statuizione di accoglimento o di rigetto, sicchè l’omessa pronuncia in tanto sussiste in quanto sia mancato, da parte del giudice, il provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto (Cass., Sez. Un., 18 dicembre 2001, n. 15982; Cass., Sez. 3^, 11 febbraio 2009, n. 3357).

2. – Con il secondo motivo (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5), la ricorrente censura la sentenza impugnata per omessa motivazione su un fatto decisivo e controverso del giudizio, ossia la comunicazione della CORIO in data 8 gennaio 1998, contenente l’impegno assunto dalla stessa CORIO di provvedere alla bonifica dei vizi del terreno venduto alla FINCO e il riconoscimento della conoscenza sopravvenuta da parte della FINCO dei suddetti vizi e della necessità di una bonifica.

2.1. – Il motivo è fondato.

Con la raccomandata in data 8 gennaio 1998, inviata dalla CORIO alla FINCO e ritualmente agli atti del fascicolo di primo grado, la venditrice prendeva atto che, nel corso di prove geognostiche effettuate dall’acquirente in attuazione del programma di riqualificazione urbana, erano state rinvenuti, nel punto indicato con il n. 104 e negli immediati dintorni, rifiuti ascrivibili alla categoria tossico-nocivi, e si impegnava ad eseguire la bonifica di tale zona con asportazione dei materiali e smaltimento in discarica a norma di legge a totale sua cura e spese.

La sentenza impugnata non ha preso in considerazione detto documento.

Poichè l’impegno in esso contenuto – sebbene riferito soltanto ad una porzione del terreno oggetto del contratto di compravendita e non all’intera estensione del fondo – è significativo di un riconoscimento (sia pure oggettivamente delimitato) della posizione debitoria della società venditrice e non avrebbe avuto ragione di essere manifestato ove il vizio, discendente dalla presenza nel terreno di rifiuti tossico-nocivi, fosse stato facilmente riconoscibile, sussiste il lamentato omesso esame di un fatto decisivo, avendo la Corte territoriale trascurato la circostanza obiettiva acquisita alla causa tramite prova scritta.

3. – L’accoglimento del secondo mezzo determina l’assorbimento del terzo motivo, con cui la ricorrente, sempre richiamando il contenuto della comunicazione dell’8 gennaio 1998 della SIC, lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c. e segg., dell’art. 1230 c.c. e segg. e dell’art. 1491 cod. civ. 4. – Con il quarto mezzo (violazione e falsa applicazione dell’art. 1491 cod. civ. sulla facile riconoscibilità dei vizi, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3) si addebita alla sentenza impugnata di non avere rilevato che, come accertato dal c.t.u. e come confermato dalla documentazione in atti, per l’individuazione dei vizi del terreno, rappresentati dalla presenza di rifiuti tossico-nocivi sotterranei, erano stati necessari ripetuti accertamenti, esami e mezzi tecnici altamente specialistici; sicchè il giudice del merito avrebbe disatteso il principio per cui, da un lato, la facile riconoscibilità dei vizi ricorre solo quando il vizio sia palese, ossia individuabile al semplice esame della cosa venduta che il compratore possa compiere da se stesso, e, dall’altro, l’onere di diligenza richiesto al compratore è di grado minimo e non postula una particolare competenza tecnica, nè il ricorso all’ausilio di esperti e mezzi tecnici.

Il quinto motivo denuncia insufficiente ed illogica motivazione sulla facile riconoscibilità dei vizi (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5). La Corte d’appello non avrebbe tenuto conto del fatto che i rifiuti tossico-nocivi erano situati in profondità nel sottosuolo del terreno ed individuabili solo mediante accertamenti, esami e mezzi tecnici altamente specialistici e complessi. La conoscenza delle pregressa utilizzazione del terreno ed il suo stato superficiale di abbandono, ad avviso del ricorrente, non sarebbero di per sè sufficienti per considerare facilmente riconoscibile l’esistenza di rifiuti tossico-nocivi sotterranei. La Corte d’appello, inoltre, non avrebbe dato peso alla presenza nel contratto di compravendita di una clausola espressa di garanzia per i vizi, avendo la CORIO assunto le garanzie di legge, nè avrebbe spiegato i motivi per cui non ha ritenuto rilevante la circostanza che dopo la cessazione dell’attività di estrazione, ossia dal 1965 in poi, il terreno de quo risultava essere stato utilizzato come discarica di materiali inerti, tra i quali non poteva certamente desumersi la presenza di rifiuti speciali tossico-nocivi.

Il sesto mezzo denuncia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5, , la contraddittorietà della motivazione sulla facile riconoscibilità dei vizi, sul rilievo che la Corte d’appello, pur riconoscendo che dall’esame delle caratteristiche esteriori del terreno de quo non si evinceva alcun elemento idoneo a far presumere l’esistenza di rifiuti tossico-nocivi sotterranei, sarebbe poi giunta – appunto contraddittoriamente – ad affermare che l’esame di quelle stesse caratteristiche del terreno, unitamente alla conoscenza della sua utilizzazione, sarebbe stato idoneo ad ingenerare nella FINCO la percezione del fatto che l’eventuale contaminazione ambientale sarebbe potuta avvenire in uno qualsiasi dei livelli di profondità. 4.1. – Il quarto, il quinto ed il sesto motivo – i quali, stante la loro connessione, possono essere esaminati congiuntamente – sono fondati, nei termini di seguito precisati.

L’esclusione della garanzia nel caso di facile riconoscibilità dei vizi della cosa venduta, ai sensi dell’art. 1491 cod. civ., è applicazione del principio di autoresponsabilità e consegue all’inosservanza di un onere di diligenza del compratore in ordine alla rilevazione dei vizi che si presentino di semplice percezione.

Sebbene il grado di detta diligenza non possa essere predicato in astratto ma debba essere apprezzato in relazione al caso concreto, avendo riguardo alle particolari circostanze della vendita, alla natura della cosa ed alla qualità dell’acquirente, è da escludere che l’onere di diligenza del compratore si spinga fino al punto di postulare il ricorso all’opera di esperti o l’effettuazione di indagini penetranti ad opera di tecnici del settore (Cass., Sez. 3^, 28 giugno 1969, n. 2361; Cass., Sez. 1^, 30 luglio 1974, n. 2321;

Cass., Sez. 2^, 6 gennaio 1979, n. 38; Cass., Sez. 2^, 26 novembre 1996, n. 10498; Cass., Sez. 2^, 2 aprile 1997, n. 2862; Cass., Sez. 2^, 18 dicembre 1999, n. 14277).

Ora, la sentenza della Corte d’appello – quantunque prenda le mosse da una corretta premessa in diritto (là dove afferma che "l’art. 1491 cod. civ. non richiede il requisito dell’apparenza, ma quello della facile riconoscibilità, sicchè l’onere del compratore non postula una particolare competenza tecnica nè il ricorso all’opera di esperti, ma è circoscritto alla diligenza occorrente per rilevare i difetti di facile percezione") – ha finito, nell’applicazione concreta, con il discostarsi dalla regula iuris enunciata.

Infatti, pur sottolineando che nella parte superficiale del terreno mancavano particolari indicatori di inquinamento, la Corte territoriale è pervenuta a ritenere il vizio facilmente riconoscibile perchè "l’accertamento visivo della condizione superficiale del bene non esauriva l’indagine sulla sua condizione complessiva", e ha così posto "a carico dell’acquirente un onere di accertamento commisurato alla dimensione economica del contratto ed alla consistenza dei futuri investimenti", attesa "l’evidenza relativa alla destinazione a cava dell’area e quella riguardante il successivo riempimento dell’intero spazio profondo".

Ma, cosi decidendo, poichè nella specie la contaminazione dovuta a rifiuti speciali e tossico-nocivi, assente nella fascia superficiale del terreno, si estendeva per gran parte in profondità ed è stata riscontrata solo all’esito di indagini tecniche mirate e specialistiche, la Corte del merito ha finito, sostanzialmente, con l’ampliare la nozione di facile riconoscibilità, includendovi altresì il vizio non individuabile, anche per un operatore economico, ad un esame superficiale della cosa, e ricomprendendo nella diligenza l’onere di farsi assistere da persona particolarmente esperta, in grado di accertare la natura e la consistenza del bene compravenduto con l’impiego di conoscenze e mezzi tecnici.

Nè la facile riconoscibilità del vizio può dirsi desumibile dalla "evidenza relativa alla destinazione a cava dell’area", giacchè – contrariamente a quanto ritenuto dalla sentenza impugnata – quella destinazione, anche nel periodo anteriore all’entrata in vigore della disciplina di tutela dell’ambiente recata dal D.P.R. 10 settembre 1992, n. 915, non avrebbe potuto logicamente indurre nell’acquirente il ragionevole sospetto che il riempimento della zona originariamente soggetta ad escavazione fosse avvenuto con il deposito incontrollato di rifiuti tossico-nocivi, non dipendenti dall’attività di cava.

5. – Con il settimo motivo (insufficiente ed illogica motivazione sulle produzione documentali della CORIO in appello) si censura che la Corte d’appello abbia ritenuto che la facile riconoscibilità dei vizi del terreno si evincerebbe dai documenti prodotti dall’appellante, senza considerare che gli oneri di demolizione e di bonifica cui essi si riferiscono non comprendono i rifiuti tossici e nocivi sotterranei scoperti solo un anno dopo l’acquisto del terreno e quattro anni dopo la stipula dell’accordo.

L’ottavo motivo denuncia nullità del procedimento per violazione di norme procedurali (artt. 180, 183, 184 e 345 cod. proc. civ.), in relazione alla inammissibilità, per tardività, delle produzioni documentali in appello. La Corte d’appello non avrebbe considerato che non si trattava di documenti nuovi, perchè la loro ammissione era già stata chiesta in primo grado, ma respinta, avendo il Tribunale rilevato che la CORIO era incorsa nella preclusione in ordine alle deduzioni istruttorie, essendosi costituita all’udienza fissata per la discussione sui mezzi di prova.

5.1. – L’ottavo motivo è fondato.

Risulta per tabulas dagli atti del giudizio (in particolare del testo della sentenza di primo grado, cui è possibile accedere attesa la natura del vizio denunciato) che la CORIO incorse, nel giudizio svoltosi dinanzi al Tribunale, nella preclusione in ordine alle deduzioni istruttorie, essendosi costituita soltanto all’udienza fissata per la discussione sui mezzi di prova e dopo che era stato già concesso (alla sola parte costituita, l’attrice) il termine di cui all’art. 184 cod. proc. civ.; conseguentemente, i mezzi di prova riproposti dalla stessa CORIO anche in sede di precisazione delle conclusioni sono stati dichiarati inammissibili dal Tribunale.

Tra la deduzioni istruttorie ritenute precluse alla CORIO vi era – evidentemente (si confronti il testo della motivazione della sentenza del Tribunale con l’epigrafe della stessa, recante il verbale di precisazione delle conclusioni) – l’acquisizione, ex artt. 210 e 213 cod. proc. civ., della scrittura privata di comparto sottoscritta il 21 dicembre 1992 tra la SIC e le società concorrenti alla lottizzazione prevista dal programma di riqualificazione urbana; vi era anche l’acquisizione della "documentazione necessaria volta ad accertare in via esclusiva alla sola FINCO s.r.l. ogni obbligo di messa in sicurezza delle aree de qua, cosi come richiamata nel preliminare di compravendita sottoscritto il 29 settembre 1996 – già allegato alla consulenza di parte convenuta -".

E’ poi la stessa CORIO, nell’atto di appello, a richiedere alla Corte del gravame "di ammettere nel procedimento alcuni atti la cui acquisizione d’ufficio è stata inutilmente richiesta al Giudice di prime cure fino al termine del processo di primo grado" (pag. 34 del libello introduttivo del giudizio di secondo grado): la scrittura privata di accordo di comparto (pag. 35); la Delib. Consiglio comunale di Milano 7 marzo 1996, n. 1013 di adozione del PRU (pag.

37); il contratto preliminare di acquisto sottoscritto da FINCO, SIC e Esselunga il 20 settembre 1996 (pag. 38).

La Corte d’appello ha fondato il proprio convincimento sulla facile riconoscibilità del vizio anche su questi documenti, offerti in produzione dalla società appellante, in quanto ritenuti indispensabili al procedimento decisionale e, quindi, acquisibili al processo.

Sennonchè, per costante giurisprudenza di questa Corte, nel giudizio di appello, l’eventuale indispensabilità dei documenti, in tanto può essere valutata dal giudice, in quanto si tratti di documenti nuovi, nel senso che la loro ammissione non sia stata richiesta in precedenza, e che comunque non si sia verificata la decadenza di cui all’art. 184 cod. proc. civ., la quale è rilevabile d’ufficio, in quanto sottratta alla disponibilità delle parti (v. – sulla scia di Cass. , Sez. Un., 20 aprile 2005, n. 8203 – Cass., Sez. 5^, 20 novembre 2006, n. 24606, e Cass., Sez. 1^, 12 febbraio 2010, n. 3319).

Alla stregua del principio sopra enunciato, la Corte d’appello non avrebbe potuto ammettere la produzione dei detti documenti – e fondare su di essi la decisione -, perchè essi non costituivano "nuovi mezzi di prova", avendone la CORIO già chiesto in primo grado la produzione a preclusioni istruttorie già maturate.

5.2. – L’accoglimento dell’ottavo motivo determina l’assorbimento dell’esame del settimo mezzo.

6. – Il ricorso è accolto, nei termini di cui in motivazione.

La sentenza impugnata è cassata, in relazione alle censure accolte.

La causa deve essere rinviata ad altra sezione della Corte d’appello di Milano.

Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, ad altra sezione della Corte d’appello di Milano.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 7 febbraio 2012.

Depositato in Cancelleria il 27 febbraio 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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