Cass. civ. Sez. II, Sent., 27-02-2012, n. 2978 Servitù coattive di passaggio

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto notificato il 13.2.96 C.A., proprietaria in (OMISSIS) di un appartamento sito al piano terra di un fabbricato e della metà del sottotetto, comune ed indiviso con G.U., proprietario del sovrastante appartamento, citò quest’ultimo al giudizio del locale tribunale al fine di sentir costituire ex art. 1051 c.c. una servitù di passaggio, previa determinazione dell’adeguata indennità, per accedere alla soffitta.

Deduceva l’attrice l’assoluta interclusione, in considerazione della situazione dei luoghi, tale da consentire l’accesso al sottotetto soltanto attraverso le rampe di scale interne, accorpate all’unità immobiliare del convenuto, ed all’appartamento del medesimo, tenuto conto che la possibilità, pur prevista nell’atto dell’assegnazione dei rispettivi alloggi in cooperativa, di realizzare una scala esternale era stata negata dal Comune, respingendo la relativa domanda di autorizzazione; la C. chiese, inoltre, il risarcimento dei danni, conseguenti al mancato uso del bene comune, in precedenza esercitato fino al 1977 e da tale anno impeditole dalla chiusura della scala interna da parte del convenuto.

Costituitosi quest’ultimo, contestò sotto vari profili (segnatamente per contrasto con l’art. 1051 c.c., comma 4, per abuso di diritto, per la prevista possibilità di costruzione di una scala esternarla domanda, chiedendone il conseguente rigetto.

All’esito della disposta consulenza tecnica, il Tribunale di Pesaro, con sentenza del 9.5.02, accolse la domanda, ad eccezione del capo risarcitorio, prevedendo che la costituita servitù venisse esercitata con cadenze almeno quindicinali, senza diritto al possesso di chiavi, previo CONGRUO preavviso e preventivo accordo sul relativo orario, determinando l’indennità in Euro 4000,00 e compensando interamente le spese del giudizio.

A seguito dell’appello del G., resistito dalla C., con sentenza dell’8.9.09 la Corte di Ancona, accogliendo solo parzialmente il gravame, elevò l’indennità ad Euro 15.000,00, confermò nel resto la sentenza impugnata e compensò anche le spese del secondo grado. Tali le essenziali ragioni della suddetta decisione:

a) lo stato di interclusione assoluta era risultato provato dalla consulenza tecnica;

b) allo stesso non avrebbe potuto ovviarsi con la costruzione della scala esterna, essendo stato anche provato il relativo diniego di autorizzazione da parte dell’amministrazione comunale;

c) l’esenzione di cui all’art. 1051 c.c., u.c. avendo carattere relativo, non poteva essere nella specie invocata, attese la natura assoluta dell’accertata interclusione e l’impossibilità di alternative soluzioni;

d) non erano configurabili gli estremi dell’abuso del diritto, nè poteva al riguardo rilevare la circostanza che l’attrice non avesse per anni esercitato lo stesso, essendo il relativo impedimento dipeso dal comportamento del convenuto;

e) il pregiudizio"enorme", in termini di disagi e conseguente deprezzamento dell’immobile servente, pur non potendosi ritenere incidente nella misura del 60% del valore, comportava tuttavia l’adeguato aumento dell’indennità all’importo di Euro 15.000,00.

Avverso tale sentenza il G. ha proposto ricorso per cassazione contenente otto motivi, ilustrati con successive memorie.

Ha resistito la C. con controricorso.

Motivi della decisione

Con i primi quattro motivi di ricorso, strettamente connessi e pertanto da esaminare congiuntamente, vengono dedotte omessa pronunzia (in violazione dell’art. 112 in rel. Art. 360 c.p.c., n. 4) su fatto controverso e decisivo, costituito dall’intervenuta modifica del P.R.G. del Comune di Pesaro, le cui nuove disposizioni avrebbero consentito la realizzazione della scala esterna, in subordine ex art. 360 c.p.c., n. 5, omessa motivazione su tale circostanza dedotta dall’appellante, omessa valutazione del documento, costituito dalla copia delle "norme tecniche di attuazione del PRG. 2000, al riguardo depositato ed "omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione" in ordine alla richiesta di rinnovazione della consulenza tecnica di ufficio, dall’appellante proposta allo specifico fine di accertare la sopravvenuta possibilità di costruzione.

Le censure, pur infondate nella parte deducente il vizio di omessa pronunzia dacchè una risposta, seppur non appagante, alla richiesta dell’appellante vi è stata da parte della corte di merito, vanno invece accolte nel resto.

Premesso che la sentenza di primo grado era stata pronunziata nel maggio del 2002, ritenendo che in base alle norme edilizie vigenti non fosse possibile alcun intervento al fine di realizzare la pur prevista scala esterna, per accedere alla soffitta ineterclusa e che le nuove norme tecniche di attuazione invocate dall’appellante a sostegno del rinnovo dell’indagine tecnica, pur attenendo ad uno strumento urbanistico approvato nel 2000, erano tuttavia intervenute, secondo tale deduzione, nel 2004, la richiesta era ammissibile ex art. 345 c.p.c., in quanto allegante un fatto nuovo, sopravvenuto alla decisione di primo grado, potenzialmente idoneo a determinare la cessazione dello stato di interclusione che, ai sensi dell’art. 1051 c.c. esige non solo la sussistenza di uno stato di fatto tale che non consenta al proprietario di un fondo di accedere all’altro, ma anche l’impossibilità di procuraselo senza eccessivo dispendio o disagio.

Essendo stato nella specie dedotto che tale impossibilità dipendeva essenzialmente da motivi legali, sarebbe stato compito da parte del giudice di appello, a fronte della precisa deduzione di un sopravvenuto mutamento del quadro normativo, rilevante ai fini dell’essenziale sopra indicata condizione dell’azione (che deve sussistere e persistere all’atto della decisione finale di merito), accertare se ed in quali limiti, alla luce delle nuove norme tecniche di attuazione dei PRG fossero possibili interventi edilizi additivi atti realizzare l’accesso in questione. Ma a tal riguardo la risposta della corte di merito risulta del tutto insoddisfacente, limitandosi ad una laconica affermazione, secondo cui una "nota a firma dell’ing. P." (vale a dire del consulente di parte appellata) sarebbe stata "del tutto coerente con l’ordinanza del 6.3.07" e che pertanto non sussistevano "motivi per disporre l’espletamento di nuova C.T.U., stanti le chiare risultanze degli accertamenti tecnici svolti e l’inutilità di ulteriori indagini tecniche". Detta motivazione, già di per sè censurabile perchè si limita all’adesione acritica ad uno scritto defensionale di parte, lo è ancor più perchè non esplicita, in concreto, le specifiche ragioni, di ordine tecnico o normativo, contenute nello scritto richiamato, asseritamente ostative alla richiesta di controparte.

Nè può valere, a colmare l’evidenziata lacuna argomentativa, il richiamo per relationem alla propria ordinanza interlocutoria citata che, come risulta dalla narrativa esposta dalla stessa corte (v. pag.

7 u.p.), non aveva motivatamente respinto l’istanza di rinnovo dell’indagine tecnica, bensì ritenuto di riservarne l’esame insieme alla "decisione di merito", lasciando così "impregiudicata la decisione sulla richiesta di C.T.U.".

Altrettanto inadeguato a dar conto delle ragioni della reiezione in questione risulta il successivo richiamo alle risultanze degli accertamenti tecnici già in atti, atteso che questi si erano svolti in primo grado, tenendo conto delle norme regolamentari locali all’epoca in vigore. Il ricorso va pertanto accolto nei termini sopra esposti, con conseguente assorbimento dei rimanenti e subordinati motivi (ribadenti censure connesse alla concreta applicabilità alla fattispecie dell’art. 1051 c.c., all’abuso di diritto ed ipotizzanti profili di incostituzionalità della norma, ove ritenuta applicabile).

La sentenza impugnata va conclusivamente cassata con rinvio, per nuova indagine in ordine alla praticabilità, legale e tecnica, dell’intervento in questione, atto ad eliminare lo stato d’interclusione, alla luce delle vigenti norme edilizie locali, ad altra Corte d’Appello, che si designa in quella di Bologna, cui va rimesso anche il regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, nei termini di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte d’Appello di Bologna.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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