Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 09-06-2011) 03-10-2011, n. 35831

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

T.F. propone ricorso, per il tramite del difensore, avverso l’ordinanza della Corte d’Appello di Palermo, del 20 luglio 2010, che ha respinto la richiesta, dallo stesso avanzata, di riparazione per l’ingiusta detenzione sofferta, dal 7 marzo 2006 al 2 luglio 2009, in conseguenza di provvedimento restrittivo emesso a suo carico per i delitti di partecipazione ad associazione mafiosa e di tentata estorsione aggravata; delitti dai quali è stato successivamente assolto.

I giudici della riparazione hanno ritenuto di individuare, sia pure solo con riferimento al delitto di tentata estorsione, nelle visite eseguite dal T., accompagnato da tale C., presso l’azienda facente capo alla "Piombino e Palumbo srl", alla quale erano state rivolte richieste estorsive, una condotta gravemente colposa, nei termini indicati dall’art. 314 cod. proc. pen., ostativa al riconoscimento del diritto all’equo indennizzo.

Avverso tale decisione viene proposto, dunque, ricorso, ove si deduce violazione di legge e vizio di motivazione dell’ordinanza impugnata, avendo la corte territoriale, a giudizio del ricorrente, attribuito valenza ostativa all’accoglimento dell’istanza a condotte del tutto irrilevanti o erroneamente interpretate.

Con memoria pervenuta presso la cancelleria di questa Corte, il difensore del T. ribadisce le censure proposte nell’atto di ricorso e ne chiede l’accoglimento.

Motivi della decisione

Il ricorso è fondato.

Secondo l’insegnamento di questa Corte, in tema di riparazione per ingiusta detenzione, la condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo, rappresentata dall’avere il richiedente dato o concorso a dar causa, per dolo o colpa grave, all’adozione del provvedimento restrittivo, deve manifestarsi con comportamenti concreti, precisamente individuati, che il giudice di merito è tenuto ad apprezzare, in modo autonomo e completo, al fine di stabilire, con valutazione "ex ante", non se essi abbiano rilevanza penale, bensì solo se si siano posti come fattore condizionante rispetto all’emissione del provvedimento di custodia cautelare.

A tal fine egli deve prendere in esame tutti gli elementi probatori disponibili, relativi alla condotta del soggetto, sia precedente che successiva alla perdita della libertà, al fine di stabilire se tale condotta abbia, o meno, determinato, ovvero anche contribuito alla formazione di un quadro indiziario che ha provocato l’adozione o la conferma del provvedimento restrittivo. Di guisa che non ha diritto all’equa riparazione per la custodia cautelare sofferta chi, con il proprio comportamento, anteriore o successivo alla privazione della libertà personale (o, in generale, a quello della legale conoscenza di un procedimento penale a suo carico), abbia dato o concorso a darvi causa per dolo o colpa grave. Viceversa, l’indennizzo deve essere accordato a chi, ingiustamente sottoposto a provvedimento restrittivo, non sia stato colto in comportamenti di tal genere.

Ovviamente, nell’un caso e nell’altro, il giudice deve valutare attentamente la condotta del soggetto, indicare i comportamenti esaminati e dare congrua e coerente, sotto il profilo logico, motivazione delle ragioni per le quali egli ha ritenuto che essi debbano, ovvero non debbano, ritenersi come fattori condizionanti e sinergici rispetto all’adozione del provvedimento restrittivo.

Condotte di tal genere possono essere di tipo extra processuale (grave leggerezza o trascuratezza tale da avere determinato l’adozione del provvedimento restrittivo) o di tipo processuale (autoincolpazione, silenzio consapevole sull’esistenza di un alibi) che non siano state escluse dal giudice della cognizione.

Orbene, nel caso di specie la corte distrettuale non si è attenuta a tali principi, avendo, con motivazione inadeguata e logicamente censurabile, individuato la colpa grave del ricorrente, ostativa all’accoglimento dell’istanza di indennizzo, in comportamenti che tuttavia, nei termini in cui sono stati illustrati, non si presentano significativi.

In realtà, la corte della riparazione, dopo avere ripercorso le vicende che hanno preceduto l’intervento restrittivo, ha indicato quali manifestazioni di condotte gravemente colpose le visite effettuate dal T. all’azienda Piombino, peraltro dallo stesso ammesse, ma non ha specificato perchè ed in che termini esse sono state ritenute addebitabili all’odierno ricorrente a titolo di dolo o colpa grave, nel senso indicato dall’art. 314 cod. proc. pen., sì da essersi poste quali cause incidenti sull’applicazione della misura cautelare. Alla predetta conclusione, peraltro, essendo la stessa corte pervenuta senza neanche avere preso in esame le giustificazioni fornite dall’istante circa le ragioni di quelle visite e senza argomentare in punto di sussistenza del nesso di causalità tra la condotta ritenuta gravemente colpevole e l’adozione dell’ingiusto provvedimento restrittivo; nesso la cui presenza rappresenta requisito indispensabile ai fini del diniego dell’istanza riparatoria.

L’ordinanza impugnata, dunque, presenta una motivazione illogica e non in linea con i principi di diritto elaborati da questa Corte, di guisa che essa deve essere annullata, con rinvio, per nuovo esame, alla Corte d’Appello di Palermo.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Palermo.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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