Cass. civ. Sez. II, Sent., 27-02-2012, n. 2975 Parti comuni dell’edificio

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto notificato il 15.9.93,facente seguito ad un procedimento cautelare conclusosi con la revoca del concesso sequestro conservativo, V.A., proprietaria di un appartamento sito nel blocco A di un complesso condominiale in (OMISSIS), citò al giudizio del Tribunale di Treviso il condomino D.B.F., proprietario di un locale adibito ad autofficina ubicato nel blocco B,lamentando che le attività svolte nell’immobile, come già accertato in un precedente giudizio instaurato da altri condomini davanti al locale Pretore e proseguito in appello innanzi al suddetto Tribunale, compromettevano, per sovraccarico, le strutture comuni del fabbricato; conseguentemente l’attrice chiese la condanna del convenuto all’esecuzione dei lavori di consolidamento, oltre al risarcimento dei danni.

Si costituiva il D.B., contestando il fondamento della domanda, evidenziando in particolare la diversa ubicazione degli immobili di proprietà esclusiva delle parti in due distinti corpi di fabbrica.

Espletata consulenza tecnica e respinta la nuova richiesta di sequestro dell’attrice, con sentenza dell’11.2,03 l’adito Tribunale rigettò la domanda, escludendo la sussistenza di danni all’immobile di esclusiva proprietà, attesa l’accertata insussistenza di lesioni al corpo di fabbrica A derivanti dal sovraccarico in quello B, e rilevando, per il resto, il difetto di legittimazione della medesima ad agire a tutela delle parti comuni, competendo la relativa azione ex art. 1131 cod. civ. al solo amministratore del condominio.

A seguito dell’appello della V., cui aveva resistito l’appellato, con sentenza del 7/10/08-6/7/09, la Corte di Venezia respingeva il gravame, ponendo le relative spese a carico dell’appellante, sugli essenziali rilievi: a) quanto ai pretesi danni al blocco A, dell’assenza di alcun pregiudizio o pericolo, in considerazione dell’accertata autonomia strutturale dei due corpi di fabbricarle da escludere ogni possibilità di propagazione degli effetti del, pur accertato, sovraccarico alle fondazioni del blocco B; b) quanto a quest’ultimo, la mancanza di "legittimazione" dell’attrice, derivante dall’assenza di titolarità del diritto azionato, non potendosi la V. considerare comproprietaria delle strutture condominiali di un fabbricato del tutto distinto da quello nel quale era posto l’immobile di sua esclusiva proprietà; c) che l’eccezione di non condominialità dell’edificio B e di supercondominialità del complesso non poteva considerarsi nuova, essendo stata fin dall’inizio dedotta dal convenuto la totale autonomia dei due edifici e, comunque, non integrava un’eccezione in senso tecnico, bensì una semplice difesa contro le avverse argomentazioni.

Avverso tale sentenza la soccombente ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui ha resistito l’intimato con controricorso.

E’stata infine depositata una memoria illustrativa per la ricorrente.

Motivi della decisione

Va anzitutto ritenuta l’ammissibilità del ricorso, così disattendendosi il preliminare rilievo del P.G., per rispondenza al requisito di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, non essendo censurabile la tecnica narrativa consistente nel trascrivere, integralmente o parzialmente, gli atti delle parti e ed i provvedimenti intervenuti nei gradi di merito, in mancanza di alcuna disposizione che lo vieti e purchè l’esposizione dei fatti controversi e delle vicende processuali risulti, come nella specie lo è, sufficiente a far comprendere gli elementi salienti,di fatto e di diritto, connotanti la lite, in funzione dell’esame dei dedotti motivi di censura.

Con il primo motivo di ricorso viene dedotta violazione dell’art. 2909 c.c., con riferimento al "giudicato interno" che si sarebbe verificato in relazione alla titolarità in capo all’attrice dei diritti condominiali anche con riferimento alle strutture comuni del blocco B; ciò in quanto il primo giudice non aveva disatteso la domanda sotto il profilo sostanziale della non appartenenza di tali diritti alla V., bensì sul piano processuale della legittimazione a proporre la relativa domanda, ritenendo la stessa spettante al solo amministratore.

In tale contesto, si soggiungevi convenuto avrebbe dovuto svolgere appello incidentale nei termini di rito, il che non era avvenuto, essendosi il medesimo costituito tardivamente, proponendo soltanto una eccezione in senso proprio, relativa alla questione della titolarità condominiale sulle fondamenta anche del blocco B, erroneamente accolta dal giudice di appello. La censura è priva di fondamento, considerato che la negazione, da parte del tribunale, della "legittimazione" dell’attrice ad agire a tutela delle strutture condominiali del blocco B, non implicava necessariamente l’affermazione della qualità di condomina di tale corpo di fabbrica addotta dalla V., atteso che il primo giudice si era limitato ad affermare che la medesima aveva agito a tutela di diritti azionabili soltanto dall’amministratore, così disattendendone preliminarmente, senza scendere all’esame del merito, l’azione, sulla base di un’affermazione di principio (se corretta o meno non rileva più in questa sede) radicale ed assorbente, alla stregua della quale non era richiesta alcuna indagine sulla concreta appartenenza all’istante dei diritti condominiali sul fabbricato.

Nessun "giudicato" dunque avrebbe potuto formarsi su tale questione, non costituendo la stessa un antecedente logico – giuridico necessario rispetto al decisum suddetto; tanto a prescindere dalla deducibilità della stessa in grado di appello da parte del D. B., che peraltro correttamente la corte ha ritenuto, considerandola (e senza comunque tener conto dell’applicabilità, ratione temporis nella specie, dell’art. 345 c.p.c. nel testo previgente all’entrata in vigore delle modifiche apportate dalla L. n. 353 del 1990) una mera argomentazione difensiva.

Con il secondo motivo si deduce, in subordine, violazione degli artt. 115, 116 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., nonchè motivazione insufficiente su punto decisivo.

Pur ammettendosi che la causa era di "vecchio rito", comportante l’applicabilità dell’art. 345 c.p.c. nel testo previgente a quello modificato dalla citata "novella" del 1990, entrata in vigore nel 1995, si confuta tuttavia l’assunto della corte di merito secondo cui la deduzione di non contitolarità di cui al precedente motivo costituisse mera difesa; si sostiene che contrariamente a quanto pur ritenuto dalla corte, la condotta processuale del convenutole mai in primo grado aveva posto un’eccezione di indipendenza strutturale dei due blocchi, avrebbe dovuto indurre a ritenere incontroversa la contitolarità in questione, così conseguentemente esonerando l’attrice dal relativo onere probatorio. Anche tale motivo deve essere respinto.

La contestazione della titolarità dei diritti condominiali vantati dall’atrice, non risolvendosi nella deduzione di una circostanza impeditiva, modificativa o estintiva della situazione soggettiva ex adverso addotta, bensì costituendo la semplice negazione della relativa sussistenza, non integrava gli estremi dell’eccezione in senso proprio; sicchè, come già si è avuto modo di osservare esaminando il precedente motivo, nessun problema di deducibilità ex art. 345 c.p.c. sussisteva ed il giudice avrebbe comunque dovuto, a fronte della radicale contestazione di fondatezza della domanda, esaminare quella che si poneva quale essenziale condizione dell’azione proposta dall’assunta condomina, vale a dire l’appartenenza anche alla medesima dei diritti sulle parti comuni del blocco B. Il mero silenzio (e non anche l’impostazione della propria difesa su elementi incompatibili con i fatti ex adverso dedotti), che in primo grado avrebbe serbato la parte convenuta sulla relativa circo stanza, in un contesto processuale non ancora caratterizzato dal c.d.

"principio di non contestazione" e, soprattutto, ancora ammissivo della possibilità di sollevare nuove eccezioni in appello, non poteva a fortiori, tradursi in una preclusione a sollecitare, da parte del secondo giudice, il riesame funditus, e dunque anche sotto il profilo della titolarità del diritto azionato, dell’avversa pretesa.

Per il resto il mezzo d’impugnazione, nella parte in cui insiste nell’affermare, al riguardo invocando quale improprio elemento di prova non di fatti, bensì di una questione richiedente accertamenti di natura tecnica, l’assunta iniziale "non contestazione" da parte dell’avversario, si risolve nella proposizione di censure di puro fatto, come tale inammissibili, in quanto dirette ad accreditare una diversa valutazione delle risultanze di causa, senza evidenziare alcuna lacuna o illogicità nell’insindacabile accertamento compiuto dalla corte di merito, sulla scorta degli elaborati peritali acquisiti, che non risultano essere stati oggetto di specifici rilievi tecnici. Il ricorso va conclusivamente respinto. Le spese, infine, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese processuali al resistente, in misura di complessivi Euro 2.200,00, di cui 200,00 per esborsi.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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