Cass. civ. Sez. II, Sent., 27-02-2012, n. 2971 Esecuzione specifica dell’obbligo di concludere il contratto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 13-9-1985 L.M. D., D.M., D.A. e D’.Ma. convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Messina D.C. e D’.Co. chiedendo che venisse riconosciuta e dichiarata la validità ed efficacia giuridica della scrittura privata intervenuta tra le parti il 16-6- 1984 e delle planimetrie redatte per l’occasione dal geometra Co.Sa. ad essa allegate e l’esecuzione della stessa, che venisse disposta ai sensi dell’art. 2931 c.c. e segg. la divisione e l’attribuzione immobiliare per quote del fabbricato sito in (OMISSIS), che venisse assegnata al condividente D’.Ma. la quota contraddistinta dalla lettera C della menzionata planimetria Co., ai condividenti germani D.L.M., D.A. e D.M. la quota contraddistinta con la lettera B con l’area soprastante, alle condividenti D.C. e D’.Co. congiuntamente o alla prima di esse la quota contrassegnata con la lettera A con la relativa area soprastante, che venisse disposto ogni provvedimento consequenziale per l’attribuzione delle quote, e che venisse ripartito in parti uguali tra le quote A e B il tratto di terreno antistante il fabbricato compreso tra questo a la S.S. (OMISSIS); in subordine, qualora si fosse rivelata impossibile la divisione in quattro quote di quel tratto di terreno, chiedevano che esso venisse attribuito agli attori dietro pagamento del controvalore relativo alle quote agli altri spettanti.

All’udienza del 16-3-1992 si costituiva in giudizio D. C. chiedendo dichiararsi l’invalidità della scrittura privata del 16-8-1984 per la mancata partecipazione ad essa di tutti i condividenti e per la mancanza del presupposto condizionante il negozio; chiedeva disporsi la divisione del cespite o, se impossibile, l’assegnazione di esso in proprio favore in quanto titolare della quota maggiore, e condannarsi gli attori al rendiconto per il godimento del bene e dei frutti.

Successivamente al presente venivano riuniti altri due procedimenti rispettivamente proposti da D.L.M. e D. M. e da D.A., D.L. e T. V. nei confronti delle due suddette convenute per l’esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c. della richiamata scrittura privata e di altra successiva scrittura privata di transazione del 15- 4-1986.

All’udienza del 3-4-1995 si costituiva in giudizio M. G. quale procuratrice speciale di D.C..

Il Tribunale adito con sentenza del 4-8-2003 attribuiva la piena proprietà dell’immobile per cui è causa a D.L.M., D.M. ed D.A. condannandoli in solido al pagamento in favore della M. nella predetta qualità della somma di Euro 43.623,00 oltre interessi dal 1-1-2003 a titolo di conguaglio.

Proposto gravame da parte della M. quale erede di D.C. resistevano in giudizio L.M. D., D.M. e D.L. introducendo altresì un appello incidentale; si costituiva in giudizio anche C.A. quale avente causa di C. D. eccependo la sua estraneità al giudizio in quanto la propria madre in data 19-4-1985 aveva ceduto la propria quota indivisa alla sorella D.C..

La Corte di Appello di Messina con sentenza del 12-3-2010 ha dichiarato valide ed efficaci le scritture private di divisione stipulate tra le parti il 16-8-1984 ed il 15-4-1986 ed autentiche le sottoscrizioni apposte dalle parti in calce alle predette scritture private ed alle allegate planimetrie del geometra Co., previo frazionamento catastale ha ordinato al Conservatore dei Registri Immobiliari di trascrivere le suddette scritture private, ha in parte rigettato ed in parte dichiarato assorbite tutte le altre domande proposte dalle parti, ed ha compensato le spese di entrambi i gradi di giudizio per la metà, condannando la M. al pagamento dell’altra metà di esse in favore degli appellati.

Avverso tale sentenza la M. quale erede di C. D. ha proposto un ricorso articolato in cinque motivi illustrato successivamente da una memoria cui D.A., D.M. e D.L.M. da un lato e A. C. dall’altro hanno resistito con controricorso;

quest’ultimo ha introdotto anche un ricorso incidentale affidato ad un solo motivo cui D.A., D.M. e D.L.M. hanno resistito con controricorso; L. D. e T.V. non hanno svolto attività difensiva in questa sede.

Motivi della decisione

Preliminarmente deve procedersi alla riunione dei ricorsi in quanto proposti contro la medesima sentenza.

Venendo quindi all’esame del ricorso principale, si rileva che con il primo motivo la M., deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 112-216 c.p.c., dell’art. 2932 c.c. e dell’art. 2652 c.c., n. 3 nonchè omessa motivazione, assume che il giudice di appello, dichiarando valide ed efficaci le scritture private del 16-8-1984 e del 15-4-1986, ed ordinando al Conservatore dei Registri Immobiliari di trascrivere dette scritture private, previo frazionamento catastale, ha violato il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, posto che le controparti non avevano mai formulato domande volte a far accertare e dichiarare l’autenticità delle sottoscrizioni apposte alle suddette scritture ai sensi dell’art. 216 c.p.c., comma 2, nè tantomeno ad ottenere la trascrizione delle scritture o il frazionamento delle unità immobiliari, avendo invece richiesto ai sensi dell’art. 2932 c.c. l’emissione di una sentenza che producesse gli effetti delle menzionate scritture private.

La censura è infondata.

Premesso come dato pacifico che D.L.M., D.M. ed D.A. avevano introdotto nel giudizio di primo grado una domanda di declaratoria di validità ed efficacia della scrittura privata del 16-6-1984, estesa poi alla successiva scrittura privata del 15-4-1986 intervenuta in pendenza di giudizio, ne consegue che, una volta accolta tale domanda, l’accertamento in ordine alle autenticità delle relative sottoscrizioni, anche se non richiesto, costituisce una statuizione implicita al riguardo, posto che la sentenza che accoglie la domanda;

diretta ad accertare l’avvenuto trasferimento della proprietà di un immobile a mezzo scrittura privata con firma non autenticata presuppone logicamente l’accertamento, con efficacia di giudicato, della autenticità della sottoscrizione di tale scrittura (Cass. 25-9- 2002 n. 13924; Cass. 22-6-2011 n. 13695); d’altra parte nella specie non risulta che sia stata mai in contestazione l’autenticità delle suddette sottoscrizioni.

Con riferimento poi alla statuizione relativa alla trascrizione delle suddette scritture private previo frazionamento catastale, si tratta pur sempre di una pronuncia consequenziale all’accertamento della autenticità delle sottoscrizioni di tali scritture ai sensi dell’art. 2657 c.c. al fine di rendere opponibile ai terzi l’acquisto degli immobili di cui alle scritture private stesse.

Con il secondo motivo la ricorrente principale, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 1350 c.c., n. 11 – dell’art. 1418 c.c., comma 2, degli artt. 1421 e 713 c.c. – dell’art. 2657 c.c., comma 1 e dell’art. 216 c.p.c. nonchè omessa ed insufficiente motivazione, censura la sentenza impugnata per aver del tutto ignorato le specifiche eccezioni sollevate da D.C. con la comparsa di costituzione e risposta del 13-3-1992, ovvero che la scrittura del 16-8-1984 non era mai stata sottoscritta dalle coeredi M.E. e D’.Co., non potendo per quest’ultima avere alcun valore la sottoscrizione apposta dal figlio C.A., e che la firma rinvenibile in calce alla scrittura del 15-4-1986, apparentemente riferibile a D’.Co., rimasta contumace in primo grado, era stata espressamente disconosciuta dal C.A. con la comparsa di costituzione in appello del 3-12-2004, avendo dichiarato che tale scrittura non era mai stata firmata dalla propria madre.

La censura è inammissibile.

Sotto un primo profilo, relativo alla mancata sottoscrizione della scrittura privata del 16-8-1984 da parte di M.E. e D’.Co., si osserva che, poichè la questione prospettata, che implica un accertamento di fatto, non risulta trattata dalla sentenza impugnata, la ricorrente, al fine di evitare una sanzione di inammissibilità per novità della censura, aveva l’onere – in realtà non assolto – non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di appello, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo avesse fatto, per dar modo a questa Corte di controllare "ex octis" la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa;

è quindi irrilevante al riguardo l’avvenuta proposizione della questione nel giudizio di primo grado con la comparsa di costituzione e risposta del 13-3-1992, se la questione stessa non è stata poi riproposta al giudice di appello.

Quanto poi alla eccezione sollevata dal C.A. nel giudizio di secondo grado, il motivo è privo di autosufficienza, non essendo stata trascritta la deduzione in proposito contenuta nell’atto di costituzione in appello del 3-12-1984 del C.A. stesso e non essendo quindi possibile verificare il contenuto effettivo di tale eccezione; invero ai sensi dell’art. 214 c.p.c. il disconoscimento di scrittura privata, pur non richiedendo l’uso di formule sacramentali, postula che la parte contro la quale la scrittura è prodotta in giudizio impugni chiaramente l’autenticità della stessa, nella sua interezza o limitatamente alla sottoscrizione, contestando formalmente tale autenticità, ove egli sia l’autore apparente del documento prodotto, ovvero, nel caso di erede o avente causa dall’apparente sottoscrittore, dichiarando di non riconoscere la scrittura o la sottoscrizione di quest’ultimo (Cass. 1-7-2002 n. 9543).

Con il terzo motivo la M., denunciando violazione e falsa applicazione della L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 40, commi 2 e 3 – L.R. Sicilia n. 37 del 1985, art. 9 – degli artt. 1418 e 1421 c.c., sostiene che la Corte territoriale avrebbe dovuto dichiarare la nullità della scrittura del 15-4-1986, posto che non sussisteva negli atti di causa alcun atto notorio da cui fosse risultata la prescritta dichiarazione che il fabbricato per cui è causa era stato realizzato in data antecedente al 1967; la ricorrente principale inoltre fa presente che ai sensi dell’art. 9 della richiamata legge della Regione Sicilia la divisione di un unico immobile in due unità autonome ed indipendenti presupponeva la preventiva concessione edilizia e, pertanto, qualsiasi contratto traslativo o costitutivo di diritti reali, ivi compreso quello di divisione, avente ad oggetto un immobile abusivamente modificato, deve ritenersi nullo per contrarietà a norme imperative.

La censura è inammissibile.

Invero, poichè la questione giuridica prospettata, che implica un accertamento di fatto, non risulta trattata dalla sentenza impugnata, la ricorrente principale, al fine di evitare una sanzione di inammissibilità per novità della censura, aveva l’onere – in realtà non assolto – non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di appello, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente io avesse fatto, per dar modo a questa Corte di controllare "ex actis" la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa.

Con il quarto motivo la ricorrente principale, deducendo violazione degli artt. 1419-1421-1425-1362-1367 e 1375 c.c. nonchè contraddittorietà della motivazione, censura la sentenza impugnata per aver ritenuto che l’accertata irrealizzabilità della soletta in cemento armato nel tratto di terreno antistante tra il fabbricato e la S.S. (OMISSIS) non aveva alcun riflesso sulla validità della divisione del fabbricato stipulata e confermata in corso di causa; in proposito rileva che dall’esame delle due suddette scritture private emergeva che le parti avevano voluto procedere alla contestuale divisione di tutto l’immobile, comprendente sia la casa che il terreno antistante la S.S. (OMISSIS), ed a realizzare con la prevista soletta in cemento armato due accessi autonomi, nonchè altri due vani sottostanti; sotto tale profilo la seconda scrittura privata, lungi dal configurarsi come una mera riproduzione della prima, ad integrazione e modifica di quest’ultima prevedeva una diversa divisione del terreno antistante compreso tra il fabbricato e la S.S. (OMISSIS) e la realizzazione di una soletta in cemento armato a livello dell’attuale piano di calpestio; pertanto la previsione della realizzazione della suddetta soletta costituiva parte essenziale ed integrante del progetto di divisione, cosicchè la sua irrealizzabilità si riverberava sull’intero contratto modificandone i dati essenziali.

La censura è infondata.

Il giudice di appello ha affermato che il contratto di divisione del 16-8-1984 aveva come oggetto il fabbricato che venne ritenuto divisibile secondo porzioni assegnate con il sorteggio, e che detta divisione era stata confermata con la successiva scrittura del 15-4- 1986 intervenuta in pendenza di giudizio, con la quale erano stati stabiliti ulteriori atti riguardanti la divisione del terreno antistante tra gli assegnatari della quota A e quelli della quota B e la previsione della costruzione di una soletta in cemento armato, ferma restando la divisione del fabbricato secondo le modalità di cui alla prima scrittura; la Corte territoriale ha ritenuto a tal punto che il fatto che la soletta prevista tra il fabbricato e la strada non si sarebbe potuta realizzare non aveva alcun riflesso sulla divisione, in quanto la eventuale nullità di tale clausola non poteva incidere sulla validità della divisione del fabbricato stipulata e confermata anche in corso di causa; considerato infatti che in forza del principio di conservazione del contratto ai sensi dell’art. 1419 c.c. la nullità di una singola clausola può comportare la nullità dell’intero contratto soltanto se risulti che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto colpito da nullità, ha rilevato che nè dall’interpretazione degli atti nè dagli elementi probatori acquisiti era risultato che i condividenti non avrebbero concluso la divisione se avessero conosciuto che la soletta in cemento armato non poteva essere costruita, tanto più che in corso di causa essi avevano confermato la divisione del fabbricato con la seconda scrittura.

Orbene, in presenza di tale convincimento frutto di un accertamento di fatto sorretto da congrua e logica motivazione, la M. si limita a prospettare una diversa interpretazione degli atti senza comunque censurare specificatamente l’affermazione della sentenza impugnata secondo cui non era emerso dagli atti e dall’istruttoria svolta che la validità degli atti stipulati fosse condizionata alla edificazione di altra struttura; in proposito deve osservarsi che ai sensi dell’art. 1419 c.c. la nullità parziale di un contratto o la nullità di singole clausole importa la nullità dell’intero contratto se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità, e che la norma costituisce applicazione del principio di conservazione del contratto, e trova la sua "ratio" nella propensione dell’ordinamento a consentire che il contratto produca effetti tra i contraenti per la parte non colpita da nullità, a meno che non risulti che, senza quella parte, essi non lo avrebbero concluso; la regola è dunque che la nullità parziale non si estende all’intero contenuto della disciplina negoziale se permane l’utilità del contratto in relazione agli interessi con esso perseguiti, secondo quanto emerge dall’attività ermeneutica svolta dal giudice; per converso l’estensione all’intero negozio degli effetti della nullità parziale costituisce l’eccezione, da provarsi dalla parte interessata (Cass. 21-5-2007 n. 11673; Cass. 30-9-2009 n. 20948), mentre nella specie, come si è osservato, tale onere probatorio non è stato assolto.

Con il quinto motivo la M., deducendo violazione dell’art. 1362 c.c. e segg.- degli artt. 2730-1175 e 1375 c.c. nonchè omessa ed apparente motivazione, sostiene che erroneamente la sentenza impugnata ha ritenuto che non era risultato dall’istruttoria svolta che la validità degli atti stipulati fosse stata condizionata alla sopraelevazione del fabbricato; in realtà la divisione oggetto della scrittura privata del 16-6-1984 era stata stipulata nella concordata previsione della sopraelevazione del fabbricato, come del resto espressamente ammesso dalle controparti negli atti di citazione del 5- 8-1985 e del 28-11-1992 da esse sottoscritti, laddove si era dedotta la presupposta sopraelevazione del fabbricato; contrariamente poi a quanto affermato dal giudice di appello, l’impossibilità giuridica di sopraelevare il fabbricato non si era verificata successivamente alla sottoscrizione della prima scrittura, posto che dalla relazione del CTU ingegner ca. del 29-9-1997 era emerso che in base alle norme vigenti relative alle costruzioni di fabbricati in zona sismica, e precisamente al D.M. 16 gennaio 1996, si doveva concludere che "oggi, viste le attuali caratteristiche costruttive del fabbricato oggetto di causa, non è possibile sopraelevare il fabbricato in quanto strutturalmente non conforme alla normativa antisismica vigente".

La ricorrente principale poi evidenzia che la Corte territoriale non ha esaminato un documento decisivo, ovvero le norme di attuazione del PRG del Comune di Taormina, secondo cui nella zona urbana da ristrutturare (nella quale era compreso il fabbricato per cui è causa) era consentita soltanto la mera demolizione e ricostruzione dei volumi edilizi e dei manufatti esistenti, con esclusione, quindi, di ulteriori sopraelevazioni ed ampliamenti.

La M. pertanto conclude che le suddette scritture private di divisione erano basate sull’erroneo presupposto comune a tutti i contraenti della possibilità giuridica di sopraelevare il fabbricato, nonchè dell’edificabilità del tratto di terreno adiacente la S.S. (OMISSIS), circostanze che giustificavano la maggiore superficie concessa a D’.Ma..

Tale assunto veniva avvalorato dal rilievo che, in mancanza della presupposta sopraelevazione, la quota attribuita alla dante causa dell’esponente si sarebbe concretizzata in appena mq. 25,80, ossia in una metratura inferiore agli stessi limiti di legge.

La censura è infondata.

La Corte territoriale ha escluso che dall’interpretazione delle due menzionate scritture private fosse configurabile una presupposizione concernente la sopraelevazione del fabbricato, ricorrendo tale istituto soltanto quando dal contenuto del contratto risulti che le parti abbiano inteso concluderlo soltanto subordinatamente all’esistenza di una situazione di fatto che assurga a presupposto della volontà negoziale e la cui mancanza comporti la caducazione del contratto stesso; ha poi aggiunto che, risultando dalle scritture difensive che la situazione presupposto sarebbe venuta meno successivamente alla stipula della prima scrittura, detta ipotesi avrebbe potuto condurre non già alla nullità della divisione, bensì alla sua risoluzione.

Sotto un primo profilo deve rilevarsi che, affinchè sia configurabile una presupposizione (o condizione inespressa), è necessario che dal contenuto del contratto si evinca l’esistenza di una situazione di fatto considerata, ma non espressamente enunciata dalle parti in sede di stipulazione del medesimo, quale presupposto imprescindibile della volontà negoziale, il cui successivo verificarsi o venire meno dipenda da circostanze non imputabili alle parti stesse; orbene tale accertamento, esaurendosi sul piano propriamente interpretativo del contratto, costituisce una valutazione di fatto, riservata, come tale, al giudice del merito ed incensurabile in sede di legittimità se immune da vizi logici o giuridici (Cass. 18-2-2009 n. 20245), come appunto nella fattispecie.

Inoltre, in riferimento al rilievo della Corte territoriale secondo cui la situazione presupposto, ovvero l’impossibilità della sopraelevazione del fabbricato, si sarebbe verificata dopo la stipula della prima scrittura, si osserva che la trascrizione nel ricorso principale di parte della relazione del CTU ingegner ca. non sembra avvalorare l’assunto della M., sia perchè in essa non si escludeva in via assoluta la possibilità di "edificare una ulteriore elevazione, (totale o parziale)" purchè "preceduta da un adeguato intervento di consolidamento ed adeguamento alle prescrizioni di cui al suddetto D.M. 16 gennaio 1996", sia perchè comunque l’impossibilità della suddetta sopraelevazione è collegata al suddetto D.M. 16 gennaio 1996 recante norme relative alle costruzioni di fabbricati in zona sismica, dunque successivo alla stipula dei suddetti atti di divisione, con conseguente applicazione dell’orientamento giurisprudenziale secondo il quale, ove la situazione presupposta venga successivamente meno nella fase esecutiva del contratto concluso, si verifica una risolvibilità del medesimo per fatto non imputabile alle parti (Cass. 11-8-1990 n. 8200; Cass. 8-8-1995 n. 8689), mentre nella specie, come rilevato dal giudice di appello, la domanda di risoluzione non era stata proposta.

Il ricorso principale deve quindi essere rigettato.

Venendo quindi all’esame del ricorso incidentale, si rileva che con l’unico motivo formulato il C.A., deducendo violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., censura la sentenza impugnata per non aver condannato D.L.M. e consorte al pagamento delle spese di entrambe i gradi di giudizio nonostante che la loro domanda di risarcimento danni per inadempimento ed ex art. 96 c.p.c. proposta anche nei confronti dell’esponente quale erede di Co.

D. era stata rigettata; d’altra parte, anche qualora la Corte territoriale avesse voluto compensare dette spese, dovendosi escludere la reciproca soccombenza, avrebbe dovuto indicare esplicitamente le ragioni di tale compensazione.

Il C.A. aggiunge che avrebbe dovuto essere pronunciata la condanna al pagamento delle spese del secondo grado di giudizio in proprio favore anche nei confronti della M., essendo quest’ultima ben consapevole che sua madre D.C. aveva acquistato dalla sorella D’.Co. in data 19-4- 1985 la sua quota di comproprietà del fabbricato comune; in ogni caso le controparti avrebbero dovuto essere condannate al pagamento delle spese di giudizio perchè non avevano consentito (la M.) o si erano opposte (i D.) all’estromissione dal giudizio dell’esponente.

La censura è infondata.

Premesso che la sentenza impugnata ha compensato le spese di entrambi i gradi di giudizio attesa la reciproca soccombenza per alcune domande, deve rilevarsi anzitutto che correttamente la dante causa del C.A. D’.Co. era stata convenuta nel giudizio di primo grado, trattandosi di un giudizio di divisione nel quale tutti i condividenti sono litisconsorti necessari, e considerato che la suddetta scrittura privata del 19-4-1985 con cui D’.Co. aveva venduto la sua quota ereditaria a D.C., priva del requisito dell’autenticità, non era opponibile agli altri coeredi; inoltre deve aggiungersi che il C.A. nel giudizio di appello, come si è visto, pur non essendovi prova che avesse disconosciuto ai sensi dell’art. 214 c.p.c. la scrittura privata del 15-4-1986, aveva comunque dedotto che tale scrittura non era mai stata firmata dalla madre, così opponendosi alla declaratoria di validità ed efficacia della stessa, e restando poi soccombente al riguardo.

Pertanto in proposito la statuizione del giudice di appello, esplicazione del potere del giudice di merito di compensare in tutto o in parte le spese di giudizio, è immune dai profili di censura sollevati dal C.A..

Anche il ricorso incidentale deve quindi essere rigettato.

La M. soccombente nei confronti di D.A., D.M. e D.L.M. deve essere condannata al pagamento in favore di costoro delle spese del presente giudizio liquidate come in dispositivo; ricorrono giusti motivi per compensare interamente le spese tra il C.A. e tutte le altre parti, considerata la natura peculiare della decisione riguardo al rapporto processuale intercorrente tra il primo da un lato e la M. e i D. dall’altro.

P.Q.M.

LA CORTE Riunisce i ricorsi, li rigetta entrambi, condanna la M. al pagamento in favore di D.A., D.M. e D.L.M. di Euro 200,00 per spese e di Euro 3500,00 per onorari di avvocato, e compensa interamente le spese di giudizio tra il C. e tutte le altre parti.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *