Cass. civ. Sez. II, Sent., 27-02-2012, n. 2969 Onorari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La società Famiglia Cooperativa Valsugana convenne dinanzi al Tribunale di Trento, Sezione distaccata di Borgo Valsugana, la società di costruzioni Pasquazzo e l’arch. T.A., lamentando, da parte dell’impresa, la cattiva esecuzione di opere edilizie appaltate e, da parte del professionista, una corresponsabilità per l’espletata attività di progettista e di direttore dei lavori. Le parti convenute si costituirono in giudizio contestando la domanda; in particolare, il T. negò ogni sua responsabilità, ottenne di chiamare in causa, a titolo di manleva, la propria impresa assicuratrice, la società Itas Mutua Assicurazioni e, in via riconvenzionale, chiese la condanna della società attrice al pagamento del saldo del proprio compenso professionale, che indicò nella somma di Euro 76.831,45.

Espletata l’istruttoria anche mediante consulenza tecnica d’ufficio, il Tribunale condannò i convenuti Impresa Pasquazzo e T. al risarcimento dei danni in favore dell’attrice, liquidati nella misura di Euro 19.515,88, con interessi e rivalutazione monetaria, la società Itas Mutua Assicurazioni a tenere indenne il T. dalla relativa condanna e parte attrice a pagare al T. le competenze professionali nella misura richiesta.

Interposto gravame in via principale dalla società Famiglia Cooperativa Valsugana e in via incidentale da parte dell’Impresa Pasquazzo e dal T., con sentenza n. 173 del 7 luglio 2009 la Corte di appello di Trento riformò la pronuncia di primo grado limitatamente alla quantificazione delle competenze spettanti al T., che ridusse all’importo di Euro 8.824,86, confermandola in relazione alle altre statuizioni. In particolare, per quanto qui ancora interessa, la Corte trentina affermò che erroneamente il Tribunale aveva ritenuto soggette ad autonomo compenso professionale tutte le attività indicate dal T. nel primo capitolo di prova, che era stato ammesso rispondente al vero dalla controparte, atteso che talune di esse erano da ricomprendersi nell’incarico di progettazione e direzione dei lavori ricevuto dal professionista e per il quale egli era già stato remunerato, sicchè il suo credito professionale doveva essere ridotto alle sole attività extra rispetto all’incarico originario, che quantificò nell’importo sopra indicato.

Per la cassazione di questa decisione, con atto notificato il 19 gennaio 2010, ricorre la società Famiglia Cooperativa Valsugana, affidandosi a tre motivi, illustrati da memoria.

T.A. resiste con contricorso e propone a sua volta ricorso incidentale, sulla base di tre motivi.

Le altre parti intimate non hanno svolto attività difensiva.

Motivi della decisione

Vanno esaminati per primi, per ragioni di priorità logica, il secondo motivo del ricorso principale e quindi il primo ed il secondo motivo del ricorso incidentale proposto dal T..

Il secondo motivo del ricorso avanzato dalla società Famiglia Valsugana, che denunzia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un fatto decisivo della controversia, investe il capo della decisione che ha liquidato in favore del T. la somma di Euro 8.824,86 per le attività espletate fuori contratto, consistenti, secondo il giudice di secondo grado, nella direzione dei lavori e dell’arredo del supermercato, nel recupero dell’anticipo al geom. B. e nel recupero di quanto versato all’avv. d.P. per un parere. Ad avviso del ricorso, la Corte distrettuale ha però omesso di considerare che la richiesta di parere al legale fu un’iniziativa del T., mai autorizzata dalla cliente, per di più richiesta prima che la causa relativa fosse iniziata e che, parimenti, con riferimento all’anticipo al geom. B., la relativa prestazione che sarebbe stata da questi espletata è rimasta del tutto indeterminata e di essa non è mai stata fornita la minima prova. La stessa attività di direzione dei lavori e dell’arredo del supermercato avrebbe dovuto essere inoltre compresa nell’incarico originario, visto il suo oggetto omnicomprensivo.

La Corte ha inoltre trascurato di rilevare che, posto che il compenso al T. per l’incarico professionale originario ammontava a L. 239.531.124, pari al 9% dell’importo complessivo dei lavori d’appalto, e che la Famiglia Valsugana aveva corrisposto al professionista la somma complessiva di L. 264.253,44, sicchè il debito relativo, come quantificato dal giudicante, era stato già pienamente adempiuto. Il mezzo è infondato.

Quanto alla prima censura, va premesso che la Corte di merito ha riconosciuto il diritto del T. ad ottenere la restituzione degli anticipi versati ad altri professionisti (geom. B. ed avv. d.P.) sulla base della considerazione che tali ulteriori incarichi erano stati autorizzati dal committente, risultando compresi nel capitolo di prova articolato dal convenuto e le cui circostanze erano state ammesse dall’attrice. Trattasi di accertamento di fatto adeguatamente motivato ed insuscettibile di sindacato in sede di legittimità. A ciò si aggiunga che la ricorrente non deduce di avere contestato nel pregresso giudizio di merito l’effettivo svolgimento di tali incarichi, sicchè il motivo appare, sotto tale profilo, anche inammissibile, in quanto introduce una eccezione nuova.

Priva di pregio appare anche l’altra censura, per non avere il giudice di merito tenuto conto del maggior importo versato dalla committente alla controparte, tenuto conto che, al di là della prova sul punto, dalla lettura del ricorso e della stessa sentenza impugnata emerge che la società attrice, nei pregressi giudizi di merito, si è sempre limitata a contestare la pretesa avanzata nei suoi confronti dal professionista, assumendo che le relative prestazioni erano comprese nell’incarico originario, senza mai formulare, in relazione a tale credito, alcuna eccezione di pagamento o di compensazione.

Il primo motivo del ricorso incidentale avanzato dal T. denunzia insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo della controversia, censurando la sentenza impugnata per avere affermato che non tutte le attività indicate nel capitolo di prova ammesso dalla controparte costituivano incarico aggiuntivo rispetto a quello originario. La Corte non ha poi considerato, a tal fine, il quadro di contabilità finale dei lavori eseguiti prodotto dalla controparte, che, alla voce "spese tecniche", contiene un riepilogo della competenze maturate dall’arch. T. per tutte le prestazioni eseguite, quantificate in L. 379.600.000, somma che detratta degli acconti pagati (L. 258.060.000) e maggiorata degli accessori, era pari all’importo di Euro 76.831,45 il cui pagamento era stato chiesto dal professionista con la domanda riconvenzionale proposta in primo grado. Il mezzo è infondato.

La prima doglianza, che attiene al rapporto tra l’incarico originario e le attività di cui al capitolo di prova ammesso dalla controparte, è inammissibile sia per genericità della relativa contestazione, che perchè, non riproducendo, per difetto di autosufficienza, l’esatto oggetto dell’incarico originario, rende impossibile verificare in questa sede il vizio di motivazione denunziato. La seconda censura è invece infondata in quanto il documento che sarebbe stato colpevolmente ignorato dal giudice distrettuale consiste in un riepilogo delle competenze spettanti al professionista che proviene dallo stesso T., sicchè esso non può costituire, all’evidenza, alcuna prova del fatto che le relative spettanze siano state riconosciute dalla controparte. Nè tale prova può essere tratta dalla mera presenza di tale documento nel fascicolo della preponente, non implicando la mera produzione in giudizio di un documento della controparte, nella specie contenente la richiesta di un compenso, riconoscimento implicito della relativa pretesa.

Il secondo motivo del ricorso incidentale denunzia insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo della controversia, lamentando che la Corte distrettuale, nell’adottare la propria decisione, non abbia considerato che la stessa controparte aveva affermato di avere versato al T. la somma di L. 264.253.440 (in relazione ad un importo imponibile di L. 258.060.000), somma superiore a quella originariamente pattuita nel 9% del valore delle opere ed ammontante all’importo imponibile di L. 239.513.124, così riconoscendo espressamente che il professionista aveva svolto attività ulteriori rispetto a quelle oggetto dell’incarico originario ed aveva

P.Q.M.

corrispondente. Il motivo è inammissibile.

Il ricorrente non precisa, come invece sarebbe stato suo onere per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di avere già svolto tale contestazione nel pregresso giudizio di merito, sicchè essa deve considerarsi nuova. In ogni caso l’argomentazione svolta introduce una valutazione di fatto, non consentita in sede di legittimità. La censura inoltre difetta anche del requisito di decisività, non potendo ritenersi che il versamento di una somma di denaro superiore al compenso dovuto, importi riconoscimento di spettanze ulteriori rispetto a quelle concordate, tanto più che nel caso di specie non sono indicati elementi di fatto per accertare che il compenso sia stato determinato in via definitiva prima del versamento dell’intero importo.

Passando ora all’esame del primo motivo del ricorso principale, con esso la società Famiglia Valsugana denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. ed omessa motivazione, lamentando che la Corte di appello, pur pervenendo alla conclusione di ridurre l’importo dovuto al professionista rispetto a quanto liquidato dal giudice di primo grado, non abbia esaminato nè si sia pronunciata sulla domanda avanzata dall’attuale ricorrente per la restituzione della maggior somma versata alla controparte in esecuzione della sentenza di prima grado. Il motivo è fondato.

Risulta dalla lettura della stessa sentenza impugnata che la società Famiglia Valsugana, appellante principale, aveva chiesto nel proprio atto di gravame la condanna della controparte alla restituzione degli importi versati in esecuzione della sentenza di primo grado, richiesta da considerarsi senz’altro ammissibile, ai sensi dell’art. 345 cod. proc. civ. ( Cass. n. 16152 del 2010; Cass. n. 11491 del 2006 ). Su questa domanda il giudice di appello, che pure aveva sensibilmente ridotto il compenso spettante al professionista, non si è invece pronunciato, incorrendo così nel vizio di omessa pronuncia. Nè può ravvisarsi nel caso di specie un’ipotesi di rigetto implicito, atteso che, come detto, la Corte ha accolto l’appello, sia pure in parte, della società e quindi modificato la sentenza impugnata proprio con riguardo al capo della decisione investito dalla domanda di restituzione.

Il terzo motivo del ricorso principale, che lamenta violazione degli artt. 90 e 91 cod. proc. civ, ed il terzo motivo del ricorso incidentale, che denunzia nullità della statuizione di condanna alle spese di giudizio per contrasto tra motivazione e dispositivo e violazione dell’art. 91 cod. proc. civ., si dichiarano assorbiti, investendo un capo della decisione che, in quanto accessorio alla pronuncia di merito, rimane travolto dall’esito del presente giudizio.

In conclusione, va accolto il solo primo motivo del ricorso principale, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio della causa ad altra Sezione della Corte di appello di Trento, che provvederà anche alla liquidazione delle spese.

P.Q.M. accoglie il primo motivo del ricorso principale, rigetta il secondo motivo del ricorso principale ed il primo ed il secondo motivo del ricorso incidentale, dichiara assorbiti gli altri; cassa, in relazione al motivo accolto, la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per la liquidazione delle spese, ad altra Sezione della Corte di appello di Trento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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