Cass. civ. Sez. II, Sent., 27-02-2012, n. 2962 Cessione di alloggio popolare ed economico in proprietà

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

B.A.R. agiva in giudizio innanzi al Tribunale di S. Angelo dei Lombardi affinchè fosse accertato in proprio favore l’acquisto della proprietà per usucapione di due immobili, posseduti da lei e, prima, dai suoi genitori, B.G. e R. P., cui li aveva assegnati il comune di Lacedonia in seguito agli eventi sismici del 27.7.1930.

Il comune di Lacedonia resisteva alla domanda deducendo che detti immobili non erano suscettibili di usucapione, essendo beni del patrimonio indisponibile.

Disposta la chiamata in causa iussu iudicis dell’Istituo Autonomo Case popolari – IACP della Provincia di Avellino, il Tribunale rigettava la domanda.

Tale sentenza, gravata dall’attrice, era confermata dalla Corte d’appello di Napoli con sentenza pubblicata il 28.3.2006. Osservava la Corte partenopea, in ciò condividendo esattamente la decisione di primo grado, che – assente, come pacifico, una declassificazione espressa dei beni in oggetto – doveva escludersene anche una implicita ai sensi della L. n. 225 del 1965, invocata a tal fine dalla parte appellante. Infatti, la possibilità di cessione dei beni immobili antisimici assegnati a seguito del terremoto del 1930 attraverso procedure normativamente ben delineate doveva ritenersi contemplata solo con riferimento agli originari assegnatari ovvero agli occupanti degli alloggi, e non già in favore della generalità dei privati. Ciò implicava che la natura del bene e il suo immanente collegamento con il pubblico interesse non poteva considerarsi venuto meno, perchè dalla normativa della L. n. 225 del 1965 non poteva evincersi la volontà del legislatore di trasformare le case da assegnare in beni liberamente commerciabili da immettere sul mercato, offrendoli in vendita a soggetti diversi non necessariamente coincidenti con gli originari assegnatari o attuali occupanti.

Inoltre, sia le modalità che il prezzo di cessione apparivano determinati da una finalità pubblicistica.

Per la cassazione di detta sentenza ricorre B.A.R., con due motivi d’annullamento.

Resiste con controricorso il comune di Lacedonia.

L’IACP della Provincia di Avellino non ha svolto attività difensiva.

Motivi della decisione

1. – Parte ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 828 e 2697 c.c. e artt. 99, 112, 115 e 116 c.p.c., anche con riferimento all’arti della L. 30 marzo 1965, n. 225, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4 c.p.c., nonchè l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo per il giudizio.

Sostiene che ai sensi dell’arti della L. n. 225 del 1965 la cessione in proprietà degli immobili antisismici già assegnati a seguito del terremoto del 1930, è disposta in favore di coloro che abitano tali alloggi, indipendentemente dal titolo o dal possesso di un titolo attributivo il godimento del bene. Ciò dimostra che la norma non ha istituito alcun collegamento con l’originaria assegnazione, e nel sanare tutte le situazioni di fatto irregolari si è proposta, attraverso la procedura di assegnazione in proprietà, l’obiettivo di evitare che il prolungato possesso conducesse all’usucapione della proprietà dell’alloggio.

Propone, pertanto il seguente quesito di diritto: "ha la L. 30 marzo 1965, n. 225 (art. 1) declassificato autonomamente a beni patrimoniali disponibili le casette antisismiche costruite ed assegnate a seguito del terremoto del 1930?". 1.1. – In ogni caso, sostiene, la sentenza è censurabile per aver escluso la declassificazione tacita in virtù di comportamenti univoci e concludenti del comune di Lacedonia, incompatibili con la volontà di conservarne la destinazione pubblica, omettendo di esaminare i documenti prodotti a tal fine.

Propone, quindi, il seguente quesito: "ha violato nella specie la Corte il principio dispositivo e quello di valutazione delle prove, nonchè l’art. 828 c.c. non prendendo in esame i documenti esibiti, atti a dimostrare l’avvenuta declassificazione tacita dei beni in disputa?".

Richiama, quindi, la giurisprudenza sia amministrativa, sia civile, secondo cui affinchè un bene permanga tra quelli del patrimonio indisponibile occorre non soltanto che esso sia destinato ad un pubblico servizio, ma anche che tale destinazione sia effettiva ed attuale, potendo venir meno in maniera implicita, attraverso atti e comportamenti univoci e concludenti della pubblica amministrazione, che siano incompatibili con la volontà di destinazione del bene all’uso pubblico.

Nello specifico, prosegue, la prova della declassificazione tacita si ricava da tre atti, non valutati dalla Corte territoriale. Il primo è costituito dalla Delib. 2 marzo 1970, n. 18 con la quale il consiglio comunale di Lacedonia accolse la domanda di un terzo intesa ad acquistare due casette antisismiche e un terreno, cui seguì la vendita con rogito notarile del 7.4.1984. Il secondo dalla Delib. medesimo consiglio comunale 13 novembre 1987, n. 245 con la quale il comune inserì nell’elenco dei proprietari degli immobili gli assegnati e gli occupanti che avevano avanzato richiesta di contributo ex L. n. 219 del 1981, avendo tali casette subito gravi danni a causa degli eventi sismici del 1980. Il terzo è rappresentato dalla Delib. 29 luglio 1997, n. 293 con la quale il comune di Lacedonia diede corso all’espropriazione per pubblica utilità di alloggi realizzati a seguito del terremoto del 1930, nei confronti dei relativi occupanti, in tal modo riconoscendo implicitamente in loro favore l’intervenuto acquisto della proprietà degli immobili per usucapione.

Tali atti, posti in essere a distanza di tempo fra loro, evidenziano, secondo parte ricorrente, il comportamento costante, univoco e concludente del comune di Lacedonia, incompatibile con la volontà di ritenere ancora vigente la destinazione all’uso pubblico delle casette antisismiche assegnate a seguito del terremoto del 1930. 2. – Il ricorso è infondato.

2.1. – In base alla L. n. 225 del 1965, art. 1 gli alloggi costruiti a carico dello Stato in conseguenza di terremoti, ultimati alla data del 31 dicembre 1945 e da chiunque gestiti, sono ceduti in proprietà a coloro che ne facciano richiesta e che li abitino alla data di entrata in vigore di detta legge indipendentemente dalla procedura e dal possesso dei requisiti previsti dal R.D. 28 aprile 1938, n. 1165, art. 28 e segg..

La finalità della norma, secondo la già formatasi giurisprudenza di questa Corte, non corrisponde a quella propria dell’edilizia residenziale generalizzata, volta a regolare le condizioni per le future assegnazioni e cessioni di alloggi popolari a determinate categorie di soggetti, ma risiede nel soddisfare le esigenze abitative delle popolazioni colpite da eventi sismici, mediante la cessione in proprietà in favore di chi alla data di entrata in vigore della legge si trovasse di fatto nel godimento dell’alloggio in base ad una relazione stabile e continuativa, e quindi mira a sanare le situazioni eventualmente irregolari per difetto del procedimento di assegnazione o per mancato riscontro dei requisiti soggettivi fissati in via generale in materia di edilizia economica e popolare (Cass. nn. 13748/05 e S.U. 321/83, che esclude dalla protezione le sole occupazioni abusive). Tale essendo la ratio legis, ed esclusa ad evidenza una declassilicazione espressa, dall’esegesi della disposizione non è deducibile alcuna implicazione normativa nè risalente nè susseguente. Non la prima, perchè il procedimento di assegnazione non presuppone altra premessa giuridica che l’esistenza stessa di un alloggio costruito in conseguenza di un terremoto con contributi a carico dello Stato, e dunque da un dato conferma la natura patrimoniale indisponibile del bene; non la seconda, ove si consideri che in assenza di riscatto in favore di privati occupanti, gli immobili sono assegnati in proprietà all’istituto autonomo per le case popolari competente per territorio, permanendone così la destinazione pubblica ex lege.

Tra i due estremi della vicenda, il procedimento di attribuzione dell’immobile, delineato dalla L. n. 225 del 1965, artt. 2, 4 e 7 e connotato da evidenza pubblica (presentazione della domanda di assegnazione al Genio civile, determinazione del prezzo da parte dell’ingegnere capo di tale ufficio e, soprattutto, approvazione del contratto di vendita da parte del competente provveditorato alle opere pubbliche), sarebbe privo di giustificazione se gli alloggi fossero stati automaticamente declassificati per il solo fatto di essere cedibili agli occupanti, entro il termine fissato dall’art. 2 della cit. legge. La tesi del ricorrente, per cui l’assegnazione medesima sarebbe stata prevista per evitare l’usucapione degli alloggi da parte dei soggetti che ne godevano, non pare sostenibile in quanto intrinsecamente contraddittoria. Ed infatti, (1) se acquisiti al patrimonio disponibile, gli alloggi sarebbero stati liberamente negoziabili con soggetti terzi, individuati non in virtù di una preesistente relazione col bene, ma attraverso le consuete forme stabilite dalle norme di contabilità pubblica per la selezione del contraente privato; (2) la sanatoria di situazioni irregolari o di puro fatto (ratio su cui conviene la stessa parte ricorrente) predica la tutela dei soggetti occupanti degli alloggi, e dunque la cura di un interesse pubblico specifico e dedicato, discordante rispetto all’interesse pubblico generico e autoreferenziale che caratterizza, invece, la gestione dei beni del patrimonio disponibile; (3) la possessio ad usucapionem può essere altrettanto agevolmente impedita ai sensi dell’art. 1165 c.c.; e, da ultimo, (4) è del tutto illogico supporre che il legislatore per neutralizzare l’usucapione di beni di proprietà pubblica si sia rimesso, per di più limitandola nel tempo, all’iniziativa del medesimo soggetto in grado di sfruttare il possesso dell’immobile a proprio vantaggio.

Deve, pertanto, concludersi nel senso che l’arti della L. n. 225 del 1965 non declassifica in maniera automatica, nè espressamente, nè implicitamente, gli alloggi costruiti con il contributo dello Stato per far fronte alle esigenze delle popolazioni colpite da eventi sismici, ma si limita a disciplinarne l’assegnazione ai privati, la quale soltanto determina, in una con l’effetto traslativo, la perdita della qualità pubblica di detti beni. Ne consegue che questi ultimi, restando soggetti al regime del patrimonio indisponibile fino alla conclusione del procedimento di assegnazione, non sono suscettibili di formare oggetto di usucapione della proprietà da parte dei soggetti occupanti.

2.3. – Senz’altro esclusa la violazione degli artt. 99, 112, 115 e 116 c.p.c., denunciabile solo per il vulnus arrecato alle corrispondenti regole di giudizio, non anche per il caso in cui, come nella specie, il ricorrente prospetti un vizio motivazionale, va osservato – e si passa ad esaminare il secondo motivo – che è del tutto fermo l’indirizzo di questa Corte secondo cui qualora una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata nè indicata nelle conclusioni ivi epigrafate, il ricorrente che riproponga la questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità, per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale scritto difensivo o atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (e pluribus, v. Cass. nn. 5070/09 e 25546/05).

Per contro, la sola produzione in giudizio di un documento non importa ipso iure la deduzione del fatto storico in esso rappresentato, sia perchè l’allegazione è attività assertiva e riguarda, come tale, i fatti principali, mentre la produzione attiene all’attività istruttoria e concerne i fatti secondari, questi essendo dedotti in funzione probatoria di quelli; sia in quanto un medesimo documento può avere una molteplice potenzialità rappresentativa, ed è onere della parte, in base al principio dispositivo della domanda e della prova, specificare sia pure implicitamente quale fatto storico intende provare mediante la produzione di esso.

Nello specifico, la questione relativa alla declassificazione tacita, per fatto del comune di Lacedonia, dell’alloggio occupato dalla ricorrente non risulta trattata nella sentenza impugnata, nè dedotta all’interno di uno dei motivi d’appello, nè si desume dalle conclusioni precisate all’esito del giudizio di secondo grado, sicchè la sua introduzione in questa sede di legittimità deve ritenersi inammissibile, ancorchè basata su documenti la cui regolare produzione in giudizio non è in contestazione.

2.3.1. – Non solo, ma va ulteriormente osservato che per i beni patrimoniali indisponibili la cui destinazione all’uso pubblico derivi da una determinazione legislativa, la declassificazione deve avvenire in virtù di un atto di pari rango, e dunque non può trarsi da una condotta concludente dell’ente proprietario; e che la cessazione tacita della patrimonialità indisponibile, così come della demanialità, postula in ogni caso che il bene abbia subito un’immutazione irreversibile tale da non essere più idoneo all’uso della collettività, ed a tal fine non è sufficiente la semplice circostanza obbiettiva che questo sia stato sospeso per lunghissimo tempo (v. Cons. Stato n. 30/91).

Nello specifico, premesso che l’inclusione nell’ambito dei beni del patrimonio indisponibile degli alloggi costruiti con il contributo dello Stato per far fronte alle necessità delle popolazioni colpite da eventi sismici si ricava dal T.U. delle disposizioni sull’edilizia popolare ed economica che ne contempla costruzione e gestione (artt. 252-255), deve escludersi la stessa ipotetica configurabilità di una declassificazione tacita per effetto dell’attività concludente posta in essere dall’ente proprietario, e la possibilità che questa abbia anche soltanto innescato la sospensione dell’uso pubblico.

3. – In conclusione il ricorso va respinto.

4. – Le spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza della ricorrente nei confronti della parte controricorrente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 3.200,00, di cui 200,00 per esborsi, oltre spese generali di studio, IVA e CPA come per legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 2 dicembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 febbraio 2012

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