Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 27-02-2012, n. 2958 Licenziamento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 4 – 30.3.2010 la Corte d’Appello di Palermo rigettò il gravame proposto dalla Confcommercio – Federazione Provinciale del Commercio, de Turismo, dei Servizi e della P.M.I. con sede in (OMISSIS) (qui di seguito, per brevità, indicata anche come Confcommercio), nei confronti di C.A. avverso la pronuncia del primo Giudice, che, per quanto qui ancora rileva, aveva dichiarato nullo il licenziamento impugnato dal C. e condannato la Confcommercio alla reintegrazione del dipendente e al risarcimento dei danni patrimoniali e alla salute.

A sostegno del decisum la Corte territoriale evidenziò quanto segue:

– destinatario del licenziamento in contestazione era stato un soggetto che, all’epoca, rivestiva la doppia veste di Direttore Provinciale della Confcommercio e di consigliere di amministrazione di una società partecipata da quest’ultima, la Promopalermo; la tesi sostenuta dal lavoratore era di essere stato licenziato per volontà de Presidente della Confcommercio, in ritorsione al proprio rifiuto di sottoscrivere il bilancio 2001 della Promopalermo ed al dissenso espresso in ordine al distacco di alcuni dipendenti della Federazione presso la società controllata, distacco nel quale aveva ravvisato un’ipotesi di somministrazione di manodopera vietata;

– l’assunto difensivo del C. risultava "adeguatamente provato: da un lato, avuto riguardo ai plurimi indici della rappresaglia, in cui sono integrati i requisiti di gravità, precisione e concordanza delle presunzioni giuridicamente valide;

dall’altro, atteso il mancato riscontro fattuale del motivo economico assunto da parte datoriale a giustificazione del provvedimento espulsivo";

– rilevava innanzitutto l’esito della consulenza grafica sui documenti relativi al distacco dei dipendenti, la quale aveva dimostrato che le firme del C. erano apocrife e che trovava una spiegazione logica solo se l’operazione avesse realmente incontrato il dissenso del Direttore, non vedendosi altrimenti per quale motivo si sarebbe reso necessario falsificarne la firma;

– risultava inoltre provato che l’approvazione del bilancio 2001 della Promopalermo, a cui il C., secondo il suo assunto, si era opposto, era avvenuta solo nell’assemblea dell’8.7.2002, alla quale lo stesso C., già licenziato, non aveva partecipato, ed era essenziale rilevare che il bilancio asseritamente in contestazione era stato approvato proprio in un momento in cui, per effetto dell’intervenuto licenziamento, l’appellato non era più rappresentativo della Federazione nella società di cui formalmente rimaneva consigliere di amministrazione;

– rilevava ancora che, mentre la competenza statutaria in materia di assunzioni e licenziamenti spettava alla Giunta, su proposta del Direttore Generale, il licenziamento era stato intimato direttamente dal Presidente e ratificato solo successivamente dall’organo collegiale; dal che discendeva una violazione della procedura che, nella sostanza, implicava l’ascrivibilità della decisione proprio all’organo con cui il C. aveva avuto i lamentati contrasti e, sotto altro aspetto, che, se effettivamente vi fosse stata una ragione di carattere economico alla base della decisione, sarebbe stato naturale un contraddittorio con gli organi sociali;

– tanto bastava per ravvisare nel complesso degli elementi acquisiti un quadro indiziario grave, dal quale l’intento punitivo era desumibile con ragionevole certezza probabilistica;

– tale presunzione risultava "ulteriormente" avvalorata dalla mancata osservanza dell’ordine di esibizione dei documenti richiesti dal C., al chiaro fine di offrire la prova rappresentativa – in aggiunta a quella logica – dei contrasti intercorsi con il Presidente e a sconfessare le ragioni esposte nel provvedimento di recesso, dovendosi considerare che i documenti non depositati "erano accessibili dalla Federazione (in considerazione del pieno controllo esercitato sulla Promopalermo)", motivo per il quale non aveva senso lamentare che l’ordine di esibizione sarebbe stato erroneamente indirizzato;

– quanto al motivo addotto a fondamento del licenziamento, lo stesso era stato individuato nella necessità di ridurre i costi attraverso la risoluzione di un rapporto divenuto eccessivamente oneroso, ma, all’esito dell’istruttoria, l’assunto di parte datoriale non risultava provvisto del necessario supporto probatorio;

non solo, come già osservato, era infatti mancato il naturale coinvolgimento dell’organo collegiale nella valutazione della ragione economica con cui si era inteso giustificare il recesso, ma doveva altresì rilevarsi che i bilanci relativi agli anni precedenti al licenziamento non erano agli atti del processo e che era stato prodotto unicamente un documento, di incerta provenienza, dal quale emergevano risultati finali di esercizio progressivamente sempre meno negativi dal 1997 in poi;

inoltre il licenziamento non era stato motivato con la soppressione del posto di lavoro, con la conseguenza che risultava priva di rilevanza la circostanza che nessun altro dipendente fosse stato assunto in sostituzione del lavoratore licenziato;

– la carenza di prova circa la sussistenza dei giustificato motivo oggettivo posto a base del recesso, nella coesistenza dei plurimi indici che deponevano per la tesi del licenziamento ritorsivo, portava a concludere che l’intento punitivo per l’attività svolta aveva avuto efficacia determinativa esclusiva della volontà del datore di lavoro;

– per quel che atteneva al danno alla salute, doveva osservarsi che le controdeduzioni avverso la relazione di CTU esposte dall’appellante, secondo il quale la malattia non poteva essere messa in relazione con il licenziamento, non inficiavano la fondatezza delle conclusioni a cui era pervenuto l’ausiliario, "trattandosi di mere prospettazioni di parte non supportate da alcuna aderenza alla documentazione sanitaria e neppure da argomentati apprezzamenti di natura medico legale";

– anche sotto l’aspetto quantitativo le censure erano infondate, posto che la misura dell’indennità giornaliera per inabilità temporanea (con il parziale abbattimento applicato) era stata utilizzata solo come parametro oggettivo della liquidazione equitativa.

Avverso la suddetta sentenza della Corte territoriale, la Confcommercio ha proposto ricorso per cassazione fondato su otto motivi e illustrato con memoria.

L’intimato C.A. ha resistito con controricorso, illustrato con memoria.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia vizio di motivazione e violazione dell’art. 2729 c.c., assumendo che la Corte territoriale avrebbe omesso di considerare la circostanza secondo la quale le lettere di distacco del personale risalivano agli anni 1999 e 2000, mentre doveva ritenersi che "il comportamento ritorsivo segue di regola il fatto che lo innesca in uno spazio temporale ragionevolmente breve, essendo del tutto rara una cesura temporale di molti mesi, e addirittura di anni".

Con il secondo motivo la ricorrente denuncia i medesimi vizi in relazione al contrasto tra il Presidente e il C. circa la legittimità del bilancio della società controllata Promopalermo, assumendo che la sequenza temporale tra la data del licenziamento e la data dell’assemblea non poteva essere di per sè indicativa di tale contrasto; nè era stato considerato che il licenziamento non aveva privato il C. della carica di componente del consiglio di amministrazione della Promopalermo e, quindi, non gli avrebbe impedito di partecipare all’assemblea per contrastare l’approvazione del bilancio.

Con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione degli artt. 210 e 116 c.p.c., nonchè vizio di motivazione, deducendo, quanto alla rilevanza attribuita alla mancata esibizione "dei verbali delle sedute del Consiglio di amministrazione della Pronopalermo", la violazione del principio di diritto secondo cui l’ordine di esibizione è consentito solo nel caso in cui sia certa la materiale esistenza del documento e il suo possesso da parte del soggetto destinatario dell’ordine e l’indebita funzione suppletiva e sostitutiva dell’ordine di esibizione in relazione all’onere probatorio gravante sul lavoratore, che tali verbali, in quanto membro de Consiglio di amministrazione, avrebbe potuto direttamente richiedere in copia alla Pronopalermo e quindi produrre. Con il quarto motivo, denunciando il vizio di omesso esame di circostanze di fatto decisive, la ricorrente si duole, quanto alla valutazione della mancata prova del giustificato motivo di licenziamento, che la Corte territoriale non abbia tenuto conto della norma statutaria che attribuiva al Presidente il più ampio potere di gestione ordinaria della Federazione e quello di adottare tutti i provvedimenti necessari per il conseguimento dei fini sociali, dell’intervenuta ratifica da parte della Giunta, della circostanza che i risultati "sempre meno negativi" non escludeva la convenienza di un risparmio di spesa, del fatto che dopo il licenziamento del C. nessun altro lavoratore aveva assunto le funzioni di direttore.

Con il quinto motivo la ricorrente denuncia violazione del principio di libertà di forme degli atti negoziali e vizio di motivazione deducendo che la Corte territoriale aveva "indirettamente" ammesso che la soppressione del posto di lavoro avrebbe giustificato il licenziamento, sostenendo però che tale soppressione avrebbe dovuto essere formalmente ed esplicitamente dichiarata quale motivazione del licenziamento e, con ciò, non considerando che "la scelta di cancellare il costo della retribuzione di un direttore equivale a quella di soppressione del relativo posto".

Con il sesto motivo, la ricorrente denuncia vizio di motivazione e violazione dell’art. 2729 c.c., assumendo che la Corte territoriale aveva erroneamente valutato il provvedimento di licenziamento come "emesso al di fuori dei poteri propri del Presidente", nonostante nell’atto d’appello fosse stata specificamente indicata la norma statutaria che invece gli conferiva tale potere; sotto diverso profilo, ove le considerazioni della Corte fossero basate sul carattere inopportuno ed affrettato del provvedimento, l’argomento doveva ritenersi privo di una motivazione che ne evidenziasse con il necessario rigore la gravità ed univocità.

Con il settimo motivo la ricorrente denuncia violazione della L. n. 108 del 1990, art. 4, assumendone la rilevanza nel caso di cassazione con rinvio sulla presenza o meno de giustificato motivo oggettivo.

Con l’ottavo motivo la ricorrente denuncia "omesso esame di un punto decisivo della controversia", nonchè vizio di motivazione in ordine al riconoscimento del danno alla salute, deducendo che la Corte territoriale si era adeguata alle conclusioni del CTU senza tener conto delle critiche espresse dalla parte.

2. Secondo quanto reiteratamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, nella prova per presunzioni, ai sensi degli artt. 2727 e 2729 c.c., non occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, ma è sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo un criterio di normalità; infatti, è sufficiente che il rapporto di dipendenza logica tra il fatto noto e quello ignoto sia accertato alla stregua di canoni di probabilità, con riferimento ad una connessione possibile e verosimile di accadimenti, la cui sequenza e ricorrenza possono verificarsi secondo regole di esperienza; a tale riguardo, l’apprezzamento del giudice di merito circa l’esistenza degli elementi assunti a fonte della presunzione e circa la rispondenza di questi ai requisiti di idoneità, gravità e concordanza richiesti dalla legge, non è sindacabile in sede di legittimità, salvo che risulti viziato da illogicità o da errori nei criteri giuridici (cfr., ex plurimis, Cass., SU, n. 9961/1996; Cass., nn. 2700/1997;

26081/2005).

2.1 Alla stregua di tali principi si appalesano anzitutto infondati i primi due motivi di ricorso, posto che la motivazione addotta dalla Corte territoriale, nei termini diffusamente ricordati nello storico di lite, è del tutto priva di elementi di illogicità, traendo dai fatti noti considerati conseguenze del tutto ragionevolmente possibili secondo un criterio di normalità. 2.2 Considerazioni sostanzialmente analoghe valgono anche con riferimento al quarto motivo di ricorso, il quale presenta peraltro anche profili di inammissibilità per violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, non essendo stato ivi trascritto il contenuto della norma statutaria – solo riassuntivamente ricordata – su cui il motivo si fonda (e ciò fermo restando che non è stato oggetto di contestazione il rilievo della Corte territoriale secondo cui la competenza statutaria in materia di assunzioni e licenziamenti spetta alla Giunta).

2.3 Le medesime considerazioni, anche in relazione ai rilevati profili di inammissibilità, conducono alla valutazione di infondatezza del sesto motivo di ricorso.

2.4 Il terzo motivo è anzitutto inammissibile per violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione; non è stata infatti ivi riportata la specifica indicazione di quali documenti sono stati effettivamente oggetto della richiesta e del successivo ordine di esibizione e ciò rende impossibile a questa Corte apprezzare la decisività dei rilievi svolti, siccome relativi soltanto ai verbali delle sedute del Consiglio di amministrazione della Pronopalermo. Sotto concorrente profilo il motivo è altresì privo di decisività, avendo la Corte territoriale chiaramente enunciato che la mancata osservanza dell’ordine di esibizione avvalorava "ulteriormente" gli elementi di giudizio già in precedenza esaminati, dal complesso dei quali l’intento punitivo era desumibile con ragionevole certezza probabilistica". 2.5 Il quinto motivo è inammissibile perchè non coglie – e quindi non censura in modo pertinente – la portata delle affermazioni della Corte territoriale, che, come già ricordato, si è limitata a constatare la sostanziale irrilevanza della circostanza che nessun altro dipendente fosse stato assunto in sostituzione del lavoratore licenziato, posto che, come evidenziato nella motivazione già svolta, l’assunto di parte datoriale relativo alla necessità di ridurre i costì attraverso la risoluzione di un rapporto divenuto eccessivamente oneroso non era risultato provvisto del necessario supporto probatorio.

Sotto diverso profilo deve poi ritenersi inammissibile in questa sede di legittimità, siccome attinente alla giudizio sulla rilevanza e decisività delle emergenze probatorie, riservato al giudice del merito, a valorizzazione della evidenziata circostanza ai fini del riconoscimento della sussistenza del giustificato motivo di licenziamento.

3. Il settimo motivo risulta assorbito stante il mancato accoglimento dei precedenti.

4. In ordine all’ottavo motivo, rilevato che la Corte territoriale ha congruamente motivato la propria decisione su punto, spiegando le ragioni per le quali le censure svolte dall’appellante non inficiavano la fondatezza delle conclusioni a cui era pervenuto l’ausiliario, deve osservarsi che, secondo l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, allorquando il giudice del merito si sia basato sulle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, affinchè sia denunciabile in cassazione il vizio di omessa o insufficiente motivazione della sentenza è necessario che eventuali errori e lacune della consulenza, che si riverberano sulla sentenza, si sostanzino in una palese devianza dalle nozioni della scienza medica o in affermazioni illogiche o scientificamente errate, non già in semplici difformità tra la valutazione del consulente circa l’entità e l’incidenza del dato patologico e il valore diverso allo stesso attribuito dalla parte (cfr., ex plurimis, Cass., nn. 8654/2008; 17324/2005; 11054/2003; 10552/2003; 3519/2001).

Nel caso di specie le censure svolte nel ricorso d’appello, quali riportate nel contesto del motivo all’esame, si limitano ad esprimere un dissenso diagnostico sulle conclusioni a cui era pervenuto il CTU, senza tuttavia evidenziarne una qualche palese devianza dalle nozioni della scienza medica e, tanto meno, l’eventuale illogicità.

Anche il motivo all’esame va quindi disatteso.

5. In base alle considerazioni che precedono il ricorso va pertanto rigettato, con conseguente condanna della ricorrente alla rifusione delle spese, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese, che liquida complessivamente in Euro 50,00, oltre ad Euro 3.000,00 (tremila) per onorari, spese generali, I.V.A. e C.P.A. come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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