Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 27-02-2012, n. 2957 Pensioni, stipendi e salari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

1. La Corte d’Appello di Ancona, con la sentenza n. 286/2009, depositata il 18 agosto 2009, accoglieva in parte l’appello proposto dal Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti nei confronti di C.L., avverso la sentenza emessa dal Tribunale di Macerata il 25 febbraio 2009. 1.1. Il giudice di secondo grado riduceva la condanna del Ministero al pagamento delle differenze retributive nella misura complessiva di Euro 150.559,54, al lordo delle ritenute fiscali e previdenziali, e confermava nel resto la pronuncia del Tribunale di Macerata, anche con riguardo alla condanna del Ministero alle spese processuali del primo grado in tale sede determinata. Condannava il Ministero alla rifusione delle spese di giudizio del grado di appello.

2. Il C., quale dipendente inquadrato in posizione C3-S, aveva adito il Tribunale di Macerata al fine di ottenere il pagamento del trattamento economico retributivo dirigenziale, connesso allo svolgimento delle mansioni superiori svolte dal 1 gennaio 1986, presso l’Ufficio provinciale M.C.T.C. di Macerata, nonchè l’attribuzione della qualifica superiore. Successivamente, il medesimo ricorrente aveva limitato la domanda originaria alla condanna dell’amministrazione alle sole differenze retributive maturate per il periodo compreso dal 22 novembre 1998 e il 19 aprile 2005. 3. Il Tribunale accoglieva la domanda, come delimitata, e condannava il Ministero al pagamento dell’importo lordo di Euro 318.269,41, oltre interessi legali decorrenti dalla scadenza delle singole voci di credito e saldo, ed alle spese di lite.

4. Per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Ancona ricorre il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, prospettando sei motivi di impugnazione.

5. Resiste con controricorso il C., eccependo in via preliminare la tardi vita dell’impugnazione per essere stato notificato il ricorso per cassazione dopo la scadenza del termine breve di cui all’art. 326 c.p.c..

Motivi della decisione

1. In via preliminare deve essere esaminata l’eccezione di tardività proposta dal controricorrente.

La stessa non è fondata. La notificazione della sentenza della Corte d’Appello di Ancona, chiesta in data 21 ottobre 2009, interveniva in data 26 ottobre 2006 (data di ricezione dell’atto da parte del Ministero presso l’Avvocatura dello Stato). Ed è questa la data che occorre prendere in esame per il computo del decorso del termine breve per la proposizione del ricorso per cassazione da parte del Ministero destinatario della notifica della sentenza intervenuta in forma esecutiva presso il procuratore costituito (Cass. n. 8071 del 2009). Dunque, il termine breve finiva di decorrere il successivo 25 dicembre.

Il ricorso veniva notificato il lunedì 28 dicembre 2009. Ai sensi dell’art. 155 c.p.c., comma 4, se il giorno di scadenza del termine è festivo, la scadenza è prorogata di diritto al primo giorno seguente non festivo. Il venerdì 25, il sabato 26 e la domenica 27 dicembre 2009, danno luogo all’applicazione della suddetta disposizione in quanto festivi, oltre alla considerazione che ai sensi dell’art. 155 c.p.c., comma 5, aggiunto dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263, con effetto dal 1 marzo 2006, anche il sabato è equiparato ai giorni festivi, al suddetto fine.

Pertanto la notifica del ricorso per cassazione interveniva, tempestivamente, prima del decorso del termine di sessanta giorni.

2. Tanto premesso, occorre passare all’esame dei motivi di ricorso.

3. E’ opportuno ricapitolare, in breve, i passaggi della decisione della Corte d’Appello di Ancona.

A) Inammissibilità dei primi tre motivi di impugnazione, in quanto le censure relative alla natura dirigenziale dell’ufficio e alla effettiva direzione svolta dal C. nel periodo in esame, erano state dedotte in secondo grado in violazione del divieto di nuove eccezioni in appello. Fermo ciò, per mera completezza, la Corte d’Appello esponeva che, a differenza di quanto dedotto circa il non inserimento nel D.M. 2 agosto 2000 di Macerata fra le unità periferiche dirigenziali, detta sede era compresa, nella tabella allegata al D.M. Trasporti 12 agosto 2006 (allegato alle note autorizzate del 7 aprile 2006), fra le unità operative periferiche di livello dirigenziale.

B) Rigetto del quarto motivo d’impugnazione, non ritenendo il giudice di secondo grado riconducibile la fattispecie alla reggenza o alla sostituzione provvisoria del funzionario più elevato di grado.

La Corte richiama la disciplina della reggenza e la giurisprudenza in materia, ma ne esclude l’applicabilità sia per la protrazione dell’incarico per oltre 16 anni, in ragione della quale si doveva ritenere che le funzioni dirigenziali avessero assorbito, in modo prevalente, le incombenze decisionali, gestionali ed operative del C., sia in ragione di quanto previsto dal CCNL lavoro Ministeri, alla luce dell’interpretazione della giurisprudenza di legittimità (Cass., n. 5892 del 2005).

C) Rigetto del quinto motivo di ricorso in quanto, ai fini del riconoscimento in questione, non occorre che ci si muova nella stessa area di inquadramento in profilo appartenente alla posizione economica immediatamente superiore e nell’ambito della stessa carriera (Cass. 8529 del 2006).

D) Rigetto del sesto motivo in quanto, in ogni caso, è dovuta la retribuzione delle mansioni superiori ai sensi della modifica introdotta dal D.Lgs. n. 387 del 1998, art. 15 (C.d.S., Ad. Plen. n. 12 del 2000).

E) L’ultimo motivo di ricorso, relativo al quantum della condanna, veniva accolto e tale punto della sentenza non costituisce oggetto del presente giudizio.

4. Il Ministero deduce sei motivi di impugnazione.

5. Con il primo è prospettata la violazione degli artt. 112 e 345 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto nella memoria di costituzione nel giudizio di primo grado esso Ministero aveva contestato, anche se in modo non specifico, che il C. fosse adibito a svolgere mansioni di natura dirigenziale affermando: "è del tutto destituito di fondamento quanto ex adverso sostenuto circa il preteso svolgimento di mansioni superiori di livello dirigenziale".

Le deduzioni contenute nei motivi di impugnazione articolati dal Ministero in appello, non potevano qualificarsi come eccezioni di parte e costituivano mere difese nell’ambito della cognizione a cui era tenuto ex lege l’organo giudicante.

Spettava, dunque, al Tribunale accertare l’effettiva natura dirigenziale dell’Ufficio in questione.

5.1. Il motivo è inammissibile.

La Corte d’Appello nella sentenza ha affermato che nella memoria di costituzione nel giudizio di primo grado, il Ministero non effettuava alcuna contestazione della natura dirigenziale dell’ufficio e della effettiva direzione svolta dal C. nel periodo pluriennale indicato in ricorso, limitandosi a contestazioni di diritto circa i riferimenti normativi che, sarebbero risultati ostativi alla effettiva retribuibilità delle mansioni superiori, come tali non contestate sotto gli aspetti della obiettiva consistenza e durata.

Pertanto, le censure proposte in secondo grado, che evidenziavano una presa di posizione opposta rispetto a quella mantenuta in primo grado, erano inammissibili perchè dedotte in violazione del divieto di nuove eccezioni in appello.

Le affermazioni della Corte d’Appello, poste a fondamento della pronuncia di inammissibilità dei primi tre motivi d’appello, non sono state adeguatamente censurate nel ricorso per cassazione. Per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, non essendo questa Corte abilitata all’esame diretto degli atti delle cause di merito (salvo quanto enunciata dalla giurisprudenza per il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, cfr., Cass., S.U., sentenza n. 22726 del 2011), il ricorrente avrebbe dovuto trascrivere in ricorso (in modo completo o quantomeno nelle parti salienti) i motivi di impugnazione formulati nel giudizio di secondo grado, e dimostrare che negli stessi non era ravvisabile la novità rispetto alle difese formulate in primo grado, in riferimento alle argomentazioni del Tribunale riscontrate dal giudice del gravame (cfr., Cass., n. 11477 del 2010).

Il ricorrente nel primo motivo di ricorso ha tralasciato la trascrizione, anche parziale, dei suddetti motivi d’impugnazione in appello, limitandosi ad invocare, in particolare, peraltro attualizzandola rispetto al diverso istituto dell’inquadramento del lavoratore, la giurisprudenza di legittimità sul regime delle eccezioni, che, tuttavia, non esonera le parti dal più ampio onere di deduzione e allegazione che, reciprocamente, grava sulle stesse.

Di conseguenza questa Corte non è stata messa in grado di valutare la fondatezza e la decisività delle censure alla pronuncia di inammissibilità dei motivi di appello.

6. Con il secondo motivo d’impugnazione, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 202 del 1998, nonchè del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 2 e del D.Lgs. n. 300 del 1999, art. 4, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Dalla lettura del D.M. 2 agosto 2000, espone il ricorrente, si rileva che la sede di Macerata non risultava inclusa tra le unità operative di livello dirigenziale. Da ciò discende l’illegittimità della sentenza atteso che il livello dirigenziale può essere dato solo da fonte normativa.

6.1. Il motivo è inammissibile, in ragione deirinammissibilità del primo motivo di ricorso, in quanto la statuizione della Corte d’Appello aggiunta "per mera completezza della motivazione", non da luogo ad una autonoma ratio decidendi. La stessa costituisce argomentazione ultronea, che non ha lo scopo di sorreggere l’assorbente statuizione di inammissibilità, già basata su altre decisive ragioni, ed è improduttive di effetti giuridici e, come tale, non è suscettibili di censura in sede di legittimità (Cass., n. 10420 del 2005).

7. Con il terzo motivo di ricorso è dedotta violazione e falsa applicazione della L. n. 870 del 1986, art. 13, comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Espone il ricorrente che il D.M. 2 agosto 2000, è posteriore alla data in cui il C. dichiarava di essere stato adibito alle superiori mansioni dirigenziali (22 novembre 1998). Deduce, quindi, che fino al suddetto decreto tutti gli uffici periferici potevano essere retti da funzionari della ex 9^ qualifica funzionale (poi C3), ai sensi della L. n. 870 del 1986, art. 13, che disciplinava la reggenza. Qualora invece, si fosse inteso che le effettive mansioni svolte costituissero l’esclusivo dato rilevante ai fini del riconoscimento delle maggiorazioni retributive, il giudice di merito avrebbe dovuto compiere un’indagine volata a verificare che le mansioni svolte non rientravano in quelle esigibili dal lavoratore inquadrato nella nona qualifica funzionale, anche in ragione del CCNL 1999 Ministeri.

8. Con il quarto motivo d’impugnazione è prospettata la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 56, comma 3 ( D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52, comma 3), nonchè del combinato disposto degli artt. 12 e 14 delle disposizioni sulla legge in generale, artt. 1362 e 1363 c.c., con riferimento all’Allegato A CCNL Comparto Ministeri del 26 febbraio 2009, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 21, n. 3.

Premesso che costituisce assegnazione di mansioni superiori solo l’attribuzione in modo prevalente sotto il profilo quantitativo, qualitativo e temporale dei compiti di dette mansioni, ritiene il ricorrente che il giudice di merito non ha effettuato tale vaglio, in violazione delle suddette disposizioni.

9. Con il quinto motivo d’impugnazione è prospettata la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La sentenza ritiene implicitamente provata l’assunzione di responsabilità dirigenziale a seguito di un provvedimento formale di passaggio di consegne e del prolungarsi della situazione di reggenza, così violando il principio dell’onere della prova.

10. Con l’ultimo motivo di ricorso è dedotto il vizio di omessa e insufficiente motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto la sentenza omette di motivare sulla riconducibilità delle mansioni, sommariamente indicate nella stessa, alle superiori qualifiche dirigenziali, piuttosto che all’ambito di competenza del funzionario collocato al nono livello della classe di inquadramento.

11. I suddetti motivi devono essere trattati congiuntamente in ragione della loro connessione. Gli stessi non sono fondati.

E’ opportuno ripercorrere il quadro normativo di riferimento, alla luce della giurisprudenza formatasi in materia e ai principi di diritto affermati da questa Corte.

La L. n. 870 del 1986, art. 13, stabilisce, con riguardo al caso di mancanza, assenza o impedimento del titolare di un ufficio centrale e periferico della Direzione generale della motorizzazione civile e dei trasporti in concessione, che qualora non vi siano primi dirigenti disponibili in sede, la reggenza può essere affidata anche ad un impiegato appartenente alla 9^ qualifica funzionale o al ruolo ad esaurimento.

Il successivo art. 20 del D.P.R. n. 266 del 1987, sancisce, tra l’altro, che il personale appartenente alla nona qualifica funzionale, espleta le seguenti funzioni: a) sostituzione del dirigente in caso di assenza o impedimento; b) reggenza dell’ufficio in attesa della destinazione del dirigente titolare.

In materia è rilevante, altresì, il CCNL Comparto Ministeri del 16 febbraio 1999. Come questa Corte ha avuto modo di affermare (Cass., n. 5892 del 2005), il profilo lavorativo relativo alla posizione economica C3 (già 9^ qualifica funzionale, di cui al citato art. 20), di cui all’allegato A del CCNL del Comparto ministeri del 16 febbraio 1999, non ricomprende tra le proprie funzioni l’espletamento di quelle di reggenza della superiore posizione lavorativa dirigenziale per vacanza del relativo posto, atteso che – in base al principio di cui all’art. 1362 c.c., secondo cui il principale strumento interpretativo della volontà delle parti è costituito dalle parole ed espressioni del contratto – deve ritenersi che i contraenti, omettendo l’indicazione della reggenza tra le mansioni proprie della qualifica della posizione economica C3, abbiano inteso consapevolmente escludere tale figura dalla relativa declaratoria.

In ragione del suddetto quadro normativo, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che il D.P.R. 8 maggio 1987, n. 266, art. 20 (contenente le norme risultanti dalla disciplina prevista dall’accordo del 26 marzo 1987 concernente il comparto del personale dipendente dei Ministeri), dispone che il personale appartenente alla 9^ qualifica funzionale espleta, tra l’altro, le funzioni di sostituzione del dirigente in caso di assenza od impedimento, nonchè di reggenza dell’ufficio in attesa di destinazione del dirigente titolare; l’interpretazione della norma, nel rispetto del canone di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. e dei principi di tutela del lavoro ( artt. 35 e 36 Cost; art. 2103 c.c., e D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52), è nel senso che l’ipotesi della reggenza costituisce una specificazione dei compiti di sostituzione del titolare assente o impedito, contrassegnata dalla straordinarietà e temporaneità ("in attesa della destinazione del dirigente titolare"), con la conseguenza che la reggenza è consentita, senza che si producano gli effetti collegati allo svolgimento di mansioni superiori, solo allorquando sia stato aperto il procedimento di copertura del posto vacante e nei limiti di tempo ordinariamente previsti per tale copertura. Nè la situazione può considerarsi mutata per effetto della nuova classificazione attuata dal CCNL Comparto Ministeri del 16 febbraio 1999, non ricomprendendosi, come si è detto, tra le mansioni proprie del profilo relativo alla posizione economica C3 le funzioni di reggenza del ruolo dirigenziale, bensì quella, più limitata, di assunzione temporanea di funzioni dirigenziali in assenza del dirigente titolare e dovendosi ritenere, alla stregua dell’interpretazione letterale del contratto, che le parti contrattuali, omettendo l’indicazione della reggenza, hanno inteso scientemente escludere tale figura dalla declaratoria del profilo relativo alla posizione economica C3 (Cass., n. 2534 del 2009, n. 20899 del 2007, n. 9130 del 2007).

Occorre, altresì, ricordare che il D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 56, comma 6, stabiliva che:

a) "le disposizioni del presente articolo si applicano in sede di attuazione della nuova disciplina degli ordinamenti professionali prevista dai contratti collettivi e con la decorrenza da questi stabilita";

b) "i medesimi contratti collettivi possono regolare diversamente gli effetti di cui ai commi 2, 3 e 4";

c) "fino a tale data, in nessuno caso lo svolgimento di mansioni superiori rispetto alla qualifica di appartenenza può comportare il diritto a differenze retributive o ad avanzamenti automatici nell’inquadramento professionale del lavoratore".

In seguito, il D.Lgs. n. 387 del 1998, art. 15, ha soppresso le parole "a differenze retributive o". Attualmente, la disciplina è contenuta nel D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52, a seguito della intervenuta abrogazione del D.Lgs. n. 29 del 1993.

La giurisprudenza (C.d.S., Ad Plen., n. 10 del 2000, n. 3 del 2006), ha ritenuto che, per effetto della modifica apportata dal citato D.Lgs. n. 387 del 1998, art. 15, il diritto del dipendente pubblico, che ne abbia svolto le funzioni, al trattamento economico relativo alla qualifica immediatamente superiore vada riconosciuto con carattere di generalità solo a decorrere dalla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 387 del 1998 (22 novembre 1998). Il riconoscimento legislativo di siffatto diritto possiede, infatti, evidente carattere innovativo e non riverbera in alcun modo la propria efficacia su situazioni pregresse. In tal modo il legislatore ha manifestato la volontà di rendere anticipatamente operativa la disciplina di cui al D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 56, almeno con riguardo al diritto del dipendente pubblico, che ne abbia svolto le funzioni, a conseguire il trattamento economico relativo alla qualifica immediatamente superiore.

La disciplina richiamata, mentre conferma, al comma 1, il principio secondo cui "l’esercizio di fatto di mansioni non corrispondenti alla qualifica di appartenenza non ha effetto ai fini dell’inquadramento del lavoratore o dell’assegnazione di incarichi di direzione", regola, anche, al comma 5, l’ipotesi di assegnazione a mansioni proprie di una qualifica superiore al di fuori dei casi espressamente consentiti dal comma 2, e, mentre stabilisce da un lato la nullità di tale assegnazione, riconosce dall’altro il diritto del lavoratore alla differenza di trattamento economico con la qualifica superiore.

La considerazione delle specifiche caratteristiche delle posizioni organizzative di livello dirigenziale e delle relative attribuzioni regolate dal contratto di incarico, come della diversità delle "carriere", non può escludere l’applicazione della disciplina in esame quando venga dedotto, come nella specie, lo l’espletamento di fatto di mansioni dirigenziali da parte di un funzionario; tale ipotesi può essere invece ricondotta certamente alla previsione del citato comma 5, relativa al conferimento illegittimo di mansioni superiori, da cui consegue il diritto al corrispondente trattamento economico, secondo la ratto della norma che è di assicurare comunque al lavoratore una retribuzione proporzionata alla qualità del lavoro prestato, in ossequio al principio di cui all’art. 36 Cost.. Il presupposto per l’attribuzione di tale diritto è peraltro definito dal comma 3 dello stesso D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 56 nel testo successivamente modificato (attualmente D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52), secondo cui "si considera svolgimento di mansioni superiori, ai fini del presente articolo, soltanto l’attribuzione in modo prevalente, sotto il profilo qualitativo, quantitativo e temporale, dei compiti propri di dette mansioni" (Cass., n. 8529 del 2006).

Ancora, si è affermato che nell’ambito del pubblico impiego contrattualizzato, il conferimento di mansioni dirigenziali a un funzionario è illegittimo, ma, ove tali mansioni vengano di fatto svolte con le caratteristiche richieste dalla legge, ovvero con l’attribuzione in modo prevalente sotto il profilo qualitativo, quantitativo e temporale, dei compiti propri di tali mansioni, il lavoratore ha comunque diritto al corrispondente trattamento economico (Cass., n. 13597 del 2009).

Alla luce dei suddetti principi di diritto, che questa Corte intende ribadire, la sentenza impugnata si sottrae sia ai vizi di violazione di legge sia al vizio di motivazione.

Ed infatti, premesso che il ricorrente, nei motivi ora in esame, non contesta l’inserimento della sede in questione tra quelle di livello dirigenziale, ma attribuisce, con argomentazioni generiche che non soddisfano il requisito di autosufficienza, al D.M. 2 agosto 2000, in ragione della data dello stesso, un valore costitutivo e non dichiarativo (cfr. sopra, secondo motivo di ricorso), la Corte d’Appello di Ancona, facendo applicazione, nel richiamarli, dei suddetti principi di diritto, con motivazione congrua e logica, ha ritenuto che in ragione della durata pluriennale della effettiva direzione, risultava evidente che il C. non si era limitato alla gestione ordinaria dell’ufficio, quale sostituto temporaneo in attesa della presa di possesso del titolare, ma aveva di fatto assunto su di sè la responsabilità di direzione.

Nella qualità di assegnatario dell’incarico di direzione, precisa la Corte d’Appello, senza invertire l’onere della prova, il C. (circostanze dedotte nell’atto introduttivo e non contestate, cfr. sopra primo motivo di ricorso) organizzava i turni di lavoro e le trasferte del personale, curava le pratiche riservate e quelle di revisione dei veicoli, di trasporto per conto proprio e conto terzi, di rilascio, revoca e sospensione delle patenti di guida e simili (compresi i fascicoli personali dei dipendenti e gli altri compiti di direzione). In ragione della durata del suddetto incarico, il giudice di secondo grado ha ritenuto che le funzioni dirigenziali, nei suddetti compiti hanno assorbito, in misura quanto meno prevalente, le incombenze decisionali, gestionali ed operative del C., dando luogo al diritto alla retribuzione delle mansioni superiori.

12. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.

13. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in Euro cinquanta per esborsi, Euro quattromila per onorari, oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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