Cons. Stato Sez. VI, Sent., 31-10-2011, n. 5815 Legittimità o illegittimità dell’atto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza in epigrafe il Tribunale amministrativo regionale della Lombardia – Sede di Milano – ha respinto due connessi e riuniti ricorsi proposti dall’odierna appellante S. s.r.l ed un ricorso per motivi aggiunti dalla stessa presentato.

La detta società, titolare di uno stabilimento di produzione di energia elettrica e vapore per usi tecnologici, ubicato nel sito del petrolchimico di Ferrara e costituito da due centrali termoelettriche, denominate CTE1 e CTE2 (quest’ultima composta da due turbine, una a contropressione, denominata GT11 e una a condensazione, denominata GT12) che consentirebbero la produzione in cogenerazione di energia elettrica e calore in forma di vapore, aveva impugnato (ricorso n. 1386/2008) il provvedimento dell’Autorità per l’energia elettrica ed il gas, prot. 001 1033 del 15 aprile 2008 con il quale era stato negato il riconoscimento come cogenerazione della produzione combinata di energia elettrica e calore effettuata negli anni 2002, 2003, 2004, 2005 e 2006 dall’impianto denominato CTE2 e gli atti ad esso presupposti.

Essa aveva impugnato altresì (ricorso n. 2416/2008) il provvedimento prot. GSE/P20080023995 del 16 luglio 2008 con il quale il Gestore, in relazione alla richiesta da essa avanzata e volta ad ottenere il riconoscimento come cogenerazione della produzione combinata di energia e calore effettuata nell’anno 2007 per il tramite dell’impianto denominato CTE2 gruppo GT1, aveva affermato che la documentazione alla stessa allegata non consentiva la verifica del rispetto delle condizioni stabilite dalla Delibera n. 42/2002 dell’A.E.E.G.

Con ricorso per motivi aggiunti, infine, aveva gravato il provvedimento prot. GSE/P20080023995 del 10 dicembre 2008 con il quale il Gestore, a seguito dell’autocertificazione resa dalla società ai sensi dell’art. 3 del d.m. 11 novembre 1999 per l’energia prodotta nel 2007, aveva aggiornato il conto proprietà della odierna appellante n. "0000708" per il deposito dei certificati verdi, precisando che "per adempiere all’obbligo che quest’anno è stato fissato al 3,80% (Art. 2 comma 146, della Legge 244/2007), sono a Voi necessari "7.745" Certificati Verdi"".

Il Tribunale amministrativo, esclusa la fondatezza della eccezione di inammissibilità dell’impugnazione per acquiescenza formulata dall’Amministrazione odierna appellata, ha esaminato le doglianze proposte dalla S. s.r.l respingendole.

In particolare, quanto alle censure contro il provvedimento dell’Autorità del 15 aprile 2008, ha escluso che l’attività posta in essere (e il procedimento delineato dalle delibere n. 42/2002 e n. 60/2002) potesse essere qualificato di autotutela, e ha del pari escluso la sussistenza di violazioni in punto di garanzie partecipative, constatando che l’attività di verifica era stata svolta in contraddittorio.

Il primo giudice ha del pari respinto la doglianza che le precedenti comunicazioni inoltrate all’Autorità dalla S. s.r.l non contenevano elementi di falsità, evidenziando che la ratio del procedimento dell’ art. 5 della delibera n. 42/2002 consiste nella verifica del rispetto delle condizioni per il riconoscimento della produzione combinata di energia elettrica e calore come cogenerazione ai fini dei benefici riconosciuti dall’art. 1 della delibera medesima, e prescindeva dal riscontro in ordine alla falsità delle dichiarazioni.

Escluso che l’atto impugnato fosse carente di motivazione, ha poi richiamato il principio tempus regit actum per affermare che spettava all’Autorità provvedere all’espletamento delle procedure di riconoscimento inerenti agli anni 2002 e 2003, in quanto si trattava di procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore della delibera n. 201/04, in ordine ai quali la fase di verifica sulle sezioni degli impianti non era stata ancora compiuta. Ciò perché la delibera 2004 n. 201 non aveva introdotto un potere nuovo, funzionale all’accertamento dei requisiti di cogenerazione, ma aveva solo modificato la titolarità dell’esercizio del potere di verificazione sostanziale (la delibera 2002 n. 42 nella versione originaria già subordinava il riconoscimento della cogenerazione ad una specifica fase di controllo sostanziale, conferendo il relativo potere al Gestore) trasferendola dal Gestore all’Autorità.

Il Tribunale amministrativo ha poi preso in esame il merito delle doglianze articolate dall’appellante (quarto motivo di censura) e ha affermato che la valutazione dell’Autorità nella parte in cui escludeva che GT11 potesse essere considerata una sezione di impianto di produzione combinata di energia elettrica e calore, indipendentemente dalla turbina GT12, oltre a riflettere una ragionevole ricostruzione della fattispecie concreta, appariva coerente con i contenuti sia del d. lgs 16 marzo 1999, n. 79, sia della delibera n. 42/2002, sia del regolamento adottato con la delibera n. 215/04 (art. 10, comma 1, lett. I, dell’Allegato A).

Respinto integralmente il ricorso n. 1386/2008, il primo giudice ha quindi esaminato le doglianze contenute nel ricorso n. 2416/2008 avverso la nota del Gestore prot. GSE/P20080023995 del 16 luglio 2008, respingendo quelle infraprocedimentali fondate sul malgoverno delle disposizioni di cui agli artt. 3, 7, 10 e 10bis l.7 agosto 1990, n. 241 e parimenti dichiarando l’infondatezza della censura di illegittimità derivata dal provvedimento dell’Autorità per l’energia elettrica ed il gas, prot. 001 1033 del 15 aprile 2008.

In ultimo, sono state prese in esame le doglianze contenute nel ricorso per motivi aggiunti volto ad avversare il provvedimento prot. GSE/P20080045445 del 10 dicembre 2008 del Gestore dei servizi elettrici.

Anche con riferimento a tale oggetto dell’impugnazione la sentenza ha escluso la fondatezza delle censure di illegittimità derivata e di quelle postulanti i difetti di motivazione, di istruttoria, e l’omessa indicazione nel provvedimento del termine e dell’Autorità cui era possibile proporre impugnazione.

Nel merito, il Tribunale amministrativo ha affermato che il conteggio dei certificati verdi non era espressivo di discrezionalità amministrativa, basandosi piuttosto sulla mera applicazione alla quantità di energia prodotta di percentuali prestabilite: la determinazione del Gestore si correlava ad un potere vincolato, il cui esercizio si basa su presupposti meramente numerici e quantitativi; posto che non era contestata la quantificazione operata dal Gestore essendosi l’odierna appellante limitata a rilevare che non erano esplicitati i dati utilizzati per la quantificazione, doveva conseguirne l’infondatezza della lamentata censura di difetto di motivazione.

L’originaria ricorrente, rimasta soccombente, ha impugnato la sentenza riproponendo le censure di primo grado; ha poi puntualizzato e ribadito dette censure, facendo presente che l’appello era ammissibile in quanto suddiviso in motivi specificamente riferibili ai capi di decisione impugnati, e ribadendo la richiesta di disporre verificazione o consulenza tecnica sull’impianto.

Con due memorie conclusionali l’appellata Autorità ha chiesto il rigetto del gravame perché infondato, riproponendo l’eccezione di inammissibilità del mezzo di primo grado per acquiescenza e richiamando nel merito la decisione di questa VI Sezione del Consiglio di Stato n. 4929/2009.

Anche la Gestore dei servizi elettrici s.p.a. ha depositato una memoria chiedendo la reiezione dell’appello proposto da S. s.r.l. in quanto inammissibile e comunque infondato.

Alla odierna pubblica udienza dell’11 ottobre 2011 la causa è stata posta in decisione.

Motivi della decisione

1.La questione devoluta all’esame della Sezione si incentra sulla controversa interpretazione dei dati tecnici relativi all’impianto di pertinenza dell’appellante ed alla inquadrabilità dello stesso nel perimetro applicativo della deliberazione dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas (A.E.E.G.) 19 marzo 2002 n. 42.

Si rammenta in proposito che la lett. d). della predetta della deliberazione della A.E.E.G. 19 marzo 2002 n. 42 stabilisce: "impianto di produzione combinata di energia elettrica e calore è un sistema integrato che converte l’energia primaria di una qualsivoglia fonte di energia nella produzione congiunta di energia elettrica e di energia termica (calore), entrambe considerate effetti utili, conseguendo, in generale, un risparmio di energia primaria ed un beneficio ambientale rispetto alla produzione separata delle stesse quantità di energia elettrica e termica. In luogo della produzione di energia elettrica in forma congiunta alla produzione di energia termica, è ammessa anche la produzione di energia meccanica. La produzione di energia meccanica o elettrica e di calore deve avvenire in modo sostanzialmente interconnesso, implicando un legame tecnico e di mutua dipendenza tra produzione elettrica e utilizzo in forma utile del calore, anche attraverso sistemi di accumulo. Il calore generato viene trasferito all’utilizzazione, in forme diverse, tra cui vapore, acqua calda, aria calda, e può essere destinata a usi civili di riscaldamento, raffrescamento o raffreddamento o a usi industriali in diversi processi produttivi. Nel caso di utilizzo di gas di sintesi, il sistema di gassificazione è parte integrante dell’impianto di produzione combinata di energia elettrica e calore. Nel caso di impianto a ciclo combinato con postcombustione, il postcombustore è parte integrante dell’impianto di produzione combinata di energia elettrica e calore. Le eventuali caldaie di integrazione dedicate esclusivamente alla produzione di energia termica non rientrano nella definizione di impianto di produzione combinata di energia elettrica e calore;"

La successiva lettera f), invece, prevede: " cogenerazione, agli effetti dei benefici previsti dagli articoli 3, comma 3, 4, comma 2, e 11, commi 2 e 4, del decreto legislativo n. 79/99 e dell’articolo 22, comma 1, lettera b), del decreto legislativo n. 164/00, è la produzione combinata di energia elettrica e calore che, ai sensi di quanto previsto dall’articolo 2, comma 8, del decreto legislativo n. 79/99 e dell’articolo 2, lettera g), del decreto legislativo n. 164/00, garantisce un significativo risparmio di energia rispetto alle produzioni separate, secondo i criteri e le modalità stabiliti nei successivi punti del presente provvedimento".

1.1. La ratio del d.lgs. 16 marzo 1999, n. 79 di cui la suindicata delibera costituisce momento attuativo, è di concedere i benefici agli impianti che raggiungano un obiettivo risparmio energetico di una certa consistenza: la questione consiste nella legittimità e logicità degli accertamenti operati dall’amministrazione, secondo cui ci si troverebbe nell’impossibilità di qualificare come significativo, alla stregua dei parametri della delibera n. 42/02, il risparmio conseguito dall’impianto dell’appellante società.

2.Ciò premesso in punto di individuazione dei termini essenziali della controversia, rileva il Collegio che in via preliminare vanno vagliate talune eccezioni pregiudiziali.

3.A tal proposito, va esaminata in via prioritaria, rivestendo portata assorbente, l’eccezione -riproposta in appello dall’appellata amministrazione e dal Gestore – di inammissibilità del mezzo di primo grado per acquiescenza.

3.1. L’eccezione è infondata.

Per consolidata giurisprudenza infatti, l’intenzione di prestare acquiescenza ad un atto amministrativo deve comunque risultare in modo chiaro ed irrefutabile dal compimento di atti ovvero da comportamenti assolutamente inconciliabili con una volontà del tutto diversa (es. Cons. Stato, IV, 31 maggio 2007, n. 2804; 27 giugno 2008, n. 3255; V, 21 febbraio 2011, n. 1074).

Come bene rilevato dal primo giudice, la circostanza che le verificazioni formali poste in essere da G.S.E. menzionassero la possibilità di successivi sopralluoghi sugli impianti, non imponeva una immediata contestazione di tale eventualità da parte dell’odierna appellante, né tali affermazioni circa una futura eventualità possono essere equiparate ad atti immediatamente lesivi, in quanto il possibile pregiudizio poteva essere correlato ad eventuali e futuri atti di ispezione dell’amministrazione, e soprattutto, agli eventuali esiti sfavorevoli che ne potevano discendere in pregiudizio della medesima interessata.

Posto che non ci si trovava in presenza di alcun attuale pregiudizio, e men che meno connotato dal requisito dell’attualità, non può ravvisarsi in capo all’interessata l’inequivoca volontà di non rimettere in discussione l’assetto di interessi determinato dall’amministrazione (l’acquiescenza infatti, che denota l’accettazione espressa o tacita del provvedimento amministrativo lesivo, che causa l’estinzione del potere di azione e rende inammissibile il ricorso giurisdizionale si configura solo in presenza di una condotta dell’interessato libera e inequivocabilmente diretta a non più contestare l’assetto di interessi definito attraverso gli atti oggetto di impugnazione; trattandosi del fondamentale diritto di agire in giudizio, l’accertamento dell’avvenuta accettazione del contenuto e degli effetti di un provvedimento lesivo deve essere accurato ed esauriente e svolgersi su tutti i dati fattuali che hanno caratterizzato la dichiarazione negoziale, da cui deve risultare senza incertezza la presenza di una chiara intenzione definitiva di non rimettere in discussione l’atto lesivo: Cons. Stato, IV, 31 luglio 2009, n. 4854).

3.2. Al contempo, va respinta l’eccezione di inammissibilità dell’appello per carenza di specificità e omessa formulazione di deduzioni critiche alla sentenza di primo grado, in quanto l’appellante società ha sufficientemente chiarito le ragioni di doglianza della decisione del primo giudice (quand’anche riproponendo i dati tecnici e le argomentazioni già disattese in primo grado).

3.2.1. Del pari, sono infondate le doglianze dell’appellante di difetto di motivazione dei provvedimenti impugnati, essendo palesemente inconsistente questo, considerata anche la natura vincolata del provvedimento gravato in primo grado mediante motivi aggiunti (trattandosi di un mero calcolo matematico dei certificati verdi dovuti dall’appellante).

4. Si deve ora passare alle ulteriori doglianze circa la legittimità dell’iter procedimentale seguito dalle appellate amministrazioni.

5. Sono infondate, e devono essere pertanto disattese, le censure postulanti la violazione delle regole procedimentali previste dalla legge 7 agosto 1990 n. 241..

Queste doglianze, strettamente connesse, possono essere esaminate congiuntamente, a partire da quelle che più specificatamente si rivolgono al provvedimento dell’Autorità per l’energia elettrica ed il gas, prot. 001 1033 del 15 aprile 2008.

Rileva il Collegio che la ragione indicata dalle censure in esame muove da un presupposto (qui non condiviso): che le verificazioni estrinseche ad esito positivo poste in essere dal Gestore negli anni avevano un connotato di stabilità ed immodificabilità tale da renderle suscettibili di rivalutazione soltanto mediante atti di autotutela decisoria (e solo in relazione a rilevata falsità delle dichiarazioni in precedenza inoltrate dall’appellante e vagliate dal Gestore).

La Sezione ribadisce le considerazioni già svolte con la precedente decisione n. 4929/2009 (menzionata anche dal primo giudice), per cui nel sistema delineato dalla delibera n. 42 del 2002, i dati delle dichiarazioni vengono, con le note, solo esaminati nella loro idoneità estrinseca ad integrare la completezza delle informazioni da autocertificare e la rispondenza ai parametri minimi di risparmio energetico (Ire e Lt), ma questa rispondenza non può essere considerata definitiva sul piano normativo, cioè oggetto di accertamento costitutivo della condizione articolata dal dichiarante, e rimane condizionata al riscontro della situazione di fatto effettivamente esistente: questo include non solo la veridicità dei dati, riscontrabile in base a strumenti di misurazione legali, ma anche l’esistenza delle condizioni tecniche ed impiantistiche che consentono l’enucleazione dei dati in una certa portata e quantità. Non risulta quindi che, in assenza e in precedenza di tali accertamenti di fatto derivanti dalla fisiologica sede della verifica, il criterio di calcolo "virtuale" dichiarato possa essere definitivamente "ammesso", mentre può essere oggetto di un riconoscimento condizionato risolutivamente agli esiti della verifica. Pertanto, configurandosi il "riconoscimento" come una fattispecie a formazione progressiva, non è dato obiettivamente riconoscere un consolidato affidamento in capo al soggetto dichiarante: e tanto più che per l’esercizio dei poteri di verifica non è previsto un termine decadenziale (o anche sollecitatorio) di attivazione (Cons. Stato, VI, 11 agosto 2009, n. 4929).

L’art. 5 della delibera della A.E.E.G. 19 marzo 2002 n. 42, infatti, stabilisce: "le verifiche sulla sezione atte a controllare il rispetto delle condizioni per il riconoscimento della produzione combinata di energia elettrica e calore come cogenerazione ai fini dei benefici di cui al precedente articolo 1, lettera f), sono effettuate dall’Autorità, anche avvalendosi della Cassa Conguaglio per il settore elettrico ai sensi della deliberazione n. 60/04, oltre che della collaborazione di altri enti o istituti di certificazione, e svolte, ove necessario, attraverso sopralluoghi al fine di accertare la veridicità delle informazioni e dei dati trasmessi".

In un tale quadro, appare evidente che l’attività di verifica rappresenta il contenuto di una fase del tutto ordinaria e normale, di base, del complesso procedimento amministrativo finalizzato al riconoscimento dei benefici discendenti dalla qualificazione dell’impianto quale cogenerativo. Dal che discende la detto segmento procedimentale di verifica non è autonomo e non è né di revisione né di riesame, perciò non può essere qualificato come di esercizio di una qualche autotutela.

Da tale considerazione discende l’infondatezza delle proposte doglianze, anche in considerazione che non sussiste il lamentato difetto del contraddittorio non essendo contestato che il sopralluogo sia stato compiuto alla presenza del responsabile dello stabilimento e di altri addetti all’impianto.

5.1. Non vertendosi nell’ambito di un procedimento di secondo grado, ma di una fase ordinaria di un siffatto procedimento, non sussistevano i presupposti dell’incombente di cui all’art. 7 l. 7 agosto 1990, n. 241.In ogni caso, posto che l’attività di verifica (postulante accertamenti di natura eminentemente tecnica) è stata svolta in contraddittorio con i rappresentanti dell’interessata società, l’ipotetica omissione non poteva produrre conseguenze vizianti.

5.1.1. L’appellante società contesta questa ricostruzione ed evidenzia che, aderendo ad un simile orientamento, la delibera n. 42/2002 sarebbe illegittima perché contraria al principio di cui all’art. 2 l.7 agosto 1990, n. 241 secondo cui il procedimento amministrativo deve concludersi in un termine certo.

5.1.2.Tale assunto dell’appellante non appare fondato. A quanto finora rilevato, deve aggiungersi infatti che la delibera n. 42/2002, all’art. 4, individua una scansione procedimentale che si articola in una dichiarazione che il titolare dell’impianto deve inviare al Gestore dei servizi elettrici s.p.a. entro il 31 marzo di ogni anno, soggetta alla verifica da parte di quest’ultimo entro il 30 giugno.

Tale fase di verifica estrinseca, che si conclude in un termine certo, esclude la fondatezza delle censure dell’appellante (invero, la fissazione, in applicazione dell’art. 2 l. n. 241 del 1990, di una specifica cadenza temporale per la conclusione di ciascun tipo di procedimento amministrativo rende certo e di ragionevole durata il termine per l’adozione dell’atto finale, ma non collega al decorso di detto termine la finzione di una favorevole pronunzia sulla domanda: Cons. Stato, VI, 16 febbraio 2005, n. 490).

La circostanza che sia stata prevista, in termini di normalità ed ordinarietà, una fase di verifica, demandata a partire dal 2004 all’Autorità (che può anche avvalersi della Cassa Conguaglio) non inficia il fatto che i termini procedimentali siano certi: ma solo disegna un sistema in cui tale verifica non può essere ricondotta all’esercizio dell’autotutela, sottoposto alla sussistenza di uno specifico pubblico interesse.

Il procedimento in questione prevede termini conclusivi certi: l’esito, però, è risolutivamente sottoposto alla condizione – espressa- che la verifica demandata all’Autorità confermi la verifica estrinseca effettuata dal Gestore.

Tale considerazione conferma il ricordato precedente di questa Sezione n. 4929/2009, per cui la presa d’atto delle dichiarazioni annuali, materializzata in specifiche note del Gestore emesse anno per anno, si manifesta in un accoglimento formale e provvisorio, soggetto, per intrinseco regime normativo, oltre che per espressa riserva apposta nelle note, alla successiva verifica mediante sopralluoghi, ai sensi dell’art. 5 della delibera n. 42/2002.

5.2. Queste considerazioni manifestano l’infondatezza della doglianza di difetto dei presupposti per procedere alla verifica: la normalità ed ordinarietà di detta procedura prescinde infatti dalla necessità di una preventiva affermazione della falsità dei dati trasmessi dalla società in violazione dell’art. 5 della delibera A.E.E.G. n. 42/2002.

Il concetto di "veridicità" espresso nella delibera n. 42/2002, legato al raffronto e alla sintesi dei dati tecnici, non va restrittivamente inteso nel senso che la "rettifica" possa avere luogo unicamente all’esito di un dimostrato mendacio perpetrato dalla società aspirante al riconoscimento del beneficio.

Tale restrittiva interpretazione non è condivisibile, in quanto – specie in una materia largamente opinabile per oggetto di valutazioni tecniche specialistiche – sottrarrebbe alla verifica il caso in cui, sebbene i dati comunicati siano veritieri, la conclusione che se ne è tratta non appaia correttamente formulata.

La possibilità di espletare le verifiche – e le eventuali rettifiche – comprende invece le variegate ipotesi in cui le conclusioni tecniche espresse dalla società, e il processo logico perseguito, risultino non condivisibili quanto a presupposti o conclusioni (il che è ciò che è in contestazione nel caso in esame), anche se non è dato dubitare della corretta rappresentazione dei dati di partenza.

Da quanto detto discende l’infondatezza delle doglianze di difetto di presupposti e di difetto di motivazione, posto che neppure l’appellante contesta che il provvedimento dell’A.E.E.G. Direzione Vigilanza e Controllo, prot. 001 103315/04/2008 del 15 aprile 2008, nella parte in cui fa diretto riferimento alla relazione a quella allegata (e agli atti ivi richiamati) ha chiarito diffusamente la ragione del giudizio negativo dell’Autorità, correlato alla non corrispondenza alle condizioni tecniche stabilite dalla delibera n. 42/2002 della configurazione che la società ha offerto della sezione denominata CTE2, suddividendola in due sezioni.

A riprova di ciò, l’appellante critica diffusamente nel merito le valutazioni tecniche sottese alla nota dell’Autorità.

E’ il caso di sottolineare che la conclusione cui giunge il Collegio attiene alla formulazione della censura in termini di assenza o inesistenza della motivazione: ne resta esclusa la diversa questione della condivisibilità del giudizio espresso nella predetta nota, che, come si chiarirà, non forma oggetto di vaglio in questa sede, essendo necessario all’uopo acquisire il fascicolo di primo grado contenente i verbali ispettivi e gli elementi supportanti la determinazione negativa dell’Autorità (oltre che le controdeduzioni dell’appellante).

5.2.1. Dalla inconfigurabilità del procedimento di verifica come manifestazione di autotutela, discende (proprio perché dalle verifiche estrinseche operate dal Gestore in passato nessun affidamento giuridicamente rilevante poteva discendere in capo alla società appellante) l’inconferenza ed infondatezza delle censure di mancata esternazione delle ragioni di interesse pubblico da parte del provvedimento impugnato.

5.2.2. Anche la censura di estinzione del potere di verifica dell’Autorità per consumazione al decorrere di ogni anno di produzione (pag. 27 del ricorso in appello) non appare fondata, in quanto il testo della delibera nessun termine finale prevede circa l’effettuazione dell’attività di verifica, e men che meno la limita alle dichiarazioni rese al Gestore "nell’ultimo anno". La tesi dell’appellante, oltre a scontare l’inesatta qualificazione del potere esercitato quale autotutela, è inaccoglibile nelle conclusioni: diversamente, per effetto del tempo trascorso tra l’autodichiarazione e la verifica dovrebbe discendere il riconoscimento, immodificabile, di una situazione che di fatto potrebbe non rispondere ai parametri legislativi o regolamentari.

Detta tesi, in ultimo, contraddice la premessa dell’appellante che il procedimento a fattispecie progressiva disegnato dalla delibera collide con l’esigenza che il procedimento amministrativo rechi termini finali certi (art. 2 l. 7 agosto 1990 n. 241).

5.3. Va anche disattesa l’ulteriore – e connessa – doglianza dell’appellante contenuta nel terzo motivo del ricorso in appello, di carenza di potere in capo all’Autorità con riferimento alle verifiche sulle autodichiarazioni riferibili agli anni 2002 e 2003 (tale potere essendole stato conferito solo con la deliberazione n. 201 del 2004, priva di effetto retroattivo).

Anche tale doglianza appare infondata, in ragione del principio tempus regit actum. L’appellante non nega che, ai sensi del testo originario della delibera n. 42/2002, il potere di verifica delle autodichiarazioni fosse stato previsto e attribuito al Gestore. Dunque è pacifico che non ricorre l’ipotesi di un potere (e di una competenza) nuovo. introdotto nel sistema soltanto nel 2004.

La circostanza che con delibera n. 201/2004 sia stato modificato l’art. 5 della delibera n. 42/2002 e quel potere sia stato attribuito all’Autorità (mentre prima spettava al Gestore) non priva l’Autorità medesima del potere di effettuare le verifiche anche per gli anni precedenti.

La tesi dell’appellante si fonda, anche in questo caso, sull’errato presupposto che lo spirare del termine annuale comporti l’estinzione del potere di verifica: dimostrata la infondatezza di tale postulato, ne discende che detto potere nel 2007 spettava all’Autorità.

In considerazione della circostanza che il Gestore non aveva posto in essere alcuna attività di verifica per gli anni 2002/2003, una volta escluso che il decorso del tempo avesse determinato la estinzione del potere di verifica, quest’ultimo non poteva che essere esercitato dall’Amministrazione (cioè dall’Autorità garante) che – nel momento in cui esso veniva attivato – ne possedeva la competenza.

5.4. In ultimo non è condivisibile la censura di difetto di contraddittorio. Basti considerare che il preavviso di avvio della verifica è stato incontestatamente comunicato all’appellante dalla CCSE (Cassa conguaglio per il settore elettrico) con nota del 7 settembre 2007, che la verifica è stata condotta in contraddittorio con i suoi tecnici e responsabili; che la stessa ha costituito occasione di deduzioni e osservazioni da parte dell’interessata. In ogni caso l’asserito mancato rispetto dell’art. 4.4. lett. b) del Regolamento per l’effettuazione di verifiche e sopralluoghi sugli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili, da fonti assimilate alle rinnovabili e sugli impianti di cogenerazione, allegato alla delibera dell’Autorità n. 215/2004, non poteva spiegare portata viziante od invalidante, perché la stessa appellante società (che si duole che le sue argomentazioni non siano state prese in considerazione in sede infraprocedimentale) ha comunque lungamente e diffusamente interloquito sull’esito della verifica.

6. I vizi partecipativi e la omissione delle garanzie procedimentali sono state denunciate dall’appellante anche con riferimento al provvedimento avverso la nota del Gestore prot. GSE/P20080023995 del 16 luglio 2008 (quinto motivo del ricorso in appello, riproduttivo delle censure già contenute nel ricorso n. 2416/2008).

Le critiche dell’appellante ai capi della impugnata sentenza che hanno respinto tali profili di censura sono infondate.

Quanto al lamentato mancato inoltro dell’avviso dell’avvio del procedimento, nel caso in esame ci si trova al cospetto di un procedimento avviato su istanza di parte e nei procedimenti ad iniziativa di parte non occorre l’invio della comunicazione di inizio del procedimento, perché realizzerebbe una evidente duplicazione di attività, con aggravio per la p.a., non compensato da particolari utilità per i soggetti interessati destinatari del provvedimento perché già informati dei fatti (es. Cons. Stato, VI, 5 dicembre 2005, n. 6946).

Quanto all’asserita violazione del precetto di cui all’art. 10bis l. 7 agosto 1990, n. 241, il Collegio concorda con la considerazione della sentenza appellata, secondo cui il modus procedendi adottato dall’amministrazione era eccentrico rispetto al sistema legislativo delineato.

La norma, infatti, delinea una procedura che prevede, di regola, una cesura – anche temporale- tra preavviso di rigetto e provvedimento finale.

Qui, invece, l’amministrazione ha compreso in un unico documento sia il preavviso di rigetto che la determinazione finale, subordinando l’efficacia di quest’ultimo alla mancata produzione di osservazioni e memorie entro il termine prescritto.

Tale eccentricità, pur non illegittima (essendo ripettata la finalità dell’art. 10bis) impone che la verifica giudiziale si incentri su un profilo sostanziale.

Occorre considerare che se a seguito del preavviso di rigetto, l’odierna appellante avesse prodotto elementi, deduzioni, accertamenti, tali da far considerare inefficace il provvedimento finale, sospensivamente condizionato all’assenza di tali elementi, al rispetto formale dell’art. 10bis non si sarebbe accompagnato il rispetto sostanziale della ratio che presiede alla disposizione e si potrebbe concludere che il provvedimento finale è viziato per omesso rispetto delle garanzie partecipative.

Tuttavia, in concreto una tale evenienza non si è verificata.

Per consolidata e condivisibile giurisprudenza, il precetto di cui alla prima parte del comma 2 dell’art. 21octies l. 7 agosto 1990 n. 241 trova applicazione anche nella ipotesi di malgoverno dei principi di cui all’art. 10bis (es. Cons. Stato, VI, 17 gennaio 2011 n. 256) e la giurisprudenza considera illegittimo il provvedimento dove non si dà conto delle motivazioni in risposta alle osservazioni proposte argomentatamene dal privato a seguito dell’avviso dell’art. 10bis, limitandosi l’Amministrazione ad affermare apoditticamente e con formula di stile che non emergono nuovi elementi per far volgere la decisione in senso favorevole a quanto richiesto dall’interessato (Cons. Stato, IV, 31 marzo 2010, n. 1834).

Nel caso di specie non ricorre detta evenienza, posto che non è contestato che l’appellante diede seguito alla determinazione del Gestore prot. GSE/P20080023995 del 16 luglio 2008 (in seno alla quale il Gestore aveva invitato la società a trasmettere "tutti i dati necessari per il calcolo degli indici I.R.E. e L.T. anno 2007, modificati tenendo conto di quanto sopra", con la precisazione che in mancanza "la richiesta dovrà considerarsi respinta") unicamente attraverso la nota in data 1 agosto 2008.

L’appellante non ha specificamente censurato la sentenza nella parte in cui afferma che, nell’ambito di detta nota, oltre a far presente che essa aveva già impugnato in sede giurisdizionale la deliberazione A.E.E.G. del 15 aprile 2008, non erano state formulate specifiche osservazioni sul contenuto della determinazione del Gestore consequenziale a quella dell’A.E.E.G. citata (limitandosi ivi a ribadire la correttezza della suddivisione in due sezioni della centrale CTE2, senza supportare l’assunto con ulteriori argomentazioni, nuove e diverse da quelle del ricorso contro la nota dell’A.E.E.G.).

Ne consegue che il provvedimento finale non è viziato di omessa confutazione delle deduzioni successive al preavviso di rigetto, in quando dette deduzioni non avevano portata innovativa rispetto a quanto già rappresentato in passato dall’appellante in sede di censura avverso la nota dell’A.E.E.G. del 2008.

7.Restano da esaminare le censure di merito (quarto motivo del ricorso in appello), quelle di illegittimità derivata sostanziale del provvedimento del Gestore, e quelle attingenti il provvedimento impugnato in primo grado con motivi aggiunti (in quanto dipendenti dalla decisione del merito dell’impugnazione avversante la predetta nota del’A.E.E.G.).

7.1. Con riferimento a tale profilo delle impugnazioni, ritiene il Collegio che, ai fini del decidere, risulti necessario che la Segreteria della Sezione provveda ad acquisire dalla Segreteria del Tribunale amministrativo regionale – Sede di Milano – il fascicolo di primo grado non trasmesso a questa Sezione.

Riservata ogni ulteriore statuizione, anche sulle spese e sugli onorari, la Sezione rinvia la definizione del secondo grado del giudizio alla pubblica udienza del 13 marzo 2012.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sul ricorso in appello in epigrafe numero di registro generale 6332 del 2010 lo respinge con riferimento a tutte le censure proposte, ad eccezione di quelle di cui al quarto, ottavo, e nono motivo dell’appello.

Interlocutoriamente pronunciando ed al fine di decidere in ordine alle doglianze proposte al quarto, ottavo e nono motivo dell’appello, dispone che la Segreteria della Sezione acquisisca presso la Segreteria del Tribunale amministrativo regionale della Lombardia – Sede di Milano – il fascicolo di primo grado non trasmesso a questa Sezione.

Rinvia la trattazione del giudizio alla pubblica udienza del 13 marzo 2012.

Spese al definitivo.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 ottobre 2011 con l’intervento dei magistrati:

Giuseppe Severini, Presidente

Fabio Taormina, Consigliere, Estensore

Bernhard Lageder, Consigliere

Antonio Malaschini, Consigliere

Claudio Boccia, Consigliere

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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