Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 27-02-2012, n. 2949 Categoria, qualifica, mansioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. V.A. adiva il Tribunale di Catania esponendo di essere dipendente della società SMAFIN srl dal 1974, addetto dal 1992, con la qualifica di capoturno, presso le aree deposito degli alimenti della zona di Catania e di coordinare circa otto lavoratori.

Tanto premesso esponeva:

che la rete SMAFIN prevedeva lo stoccaggio degli alimenti in due aree, una sita nella zona industriale (contrada (OMISSIS)), l’altra a (OMISSIS), entrambe aventi organizzazione unitaria, unico direttore e vice direttore, interscambiabilità di dipendenti e capimmo, fungibilità di macchinari e una contabilità;

che era stato reintegrato nel deposito di (OMISSIS) ex art. 700, ed era stato tenuto in inattività, dall’agosto al dicembre 1997, senza partecipare a un corso software che, invece, gli altri capiturno avevano seguito;

che alla fine del 1998 l’azienda aveva ceduto l’area di (OMISSIS) alla Laviano con dieci dei sedici dipendenti addetti, tra i quali esso V., trasferito a (OMISSIS), ma tale cessione doveva considerarsi fittizia;

che dopo la cessione e nelle more del trasferimento a (OMISSIS) pur essendo stato assegnato a (OMISSIS), di fatto era stato addetto a (OMISSIS), dove non aveva svolto alcuna attività consona alla propria qualifica derivandogli da ciò un danno.

Lamentava, inoltre, di non aver percepito dal 1994 il bonus mensile di L. 317.000, il bonus annuale di L. 3.800.000, e dal 1994 di L. 5.000.000, non aver percepito dal 1997, la differenza di assegno spettante ai capiturno, nè alcunchè per le spese di trasferimento ai sensi dell’art. 88 del CCNL di settore.

Pertanto, chiedeva, per aver subito in ragione della condotta datoriale danni esistenziali e morali, condannarsi la suddetta società al risarcimento degli stessi e al pagamento delle indennità contrattuali in questione.

2. Il Tribunale di Catania, all’esito di CTU, con sentenza del 26 febbraio 2004, accoglieva in parte la domanda, limitando il risarcimento del danno al demansionamento per il periodo agosto- dicembre 1997, nonchè per le spese di trasloco, limitatamente alla somma di Euro 64,56 e infine il residuo per bonus.

1. La Corte d’Appello di Catania, pronunciava sull’appello principale proposto da V.A. e sull’appello incidentale proposto dalla società SMAFIN srl avverso la sentenza del Tribunale di Catania.

La Corte, in parziale riforma della suddetta sentenza, che per il resto confermava, accoglieva per quanto di ragione l’appello incidentale e condannava la SMAFIN a pagare in favore del V. la somma di Euro 12.642,34, di cui Euro 1859,24 per risarcimento da demansionamento, ed Euro 64,56 per rimborso spese trasferimento, oltre rivalutazione monetaria e interessi legali dal giorno della maturazione del diritto fino al saldo effettivo. Rigettava l’appello di V.A..

3. La Corte d’Appello:

rigettava il primo motivo del ricorso principale relativo alla sussistenza del demansionamento dal gennaio al marzo 1999, rigettava il primo motivo del ricorso incidentale ritenendo sussistente il danno da demansionamento per il periodo agosto – dicembre 1999 (recte: 1997) come quantificato;

rigettava il secondo motivo dell’appello principale relativo alla illegittimità del trasferimento del V. a (OMISSIS) e alla solo apparente cessione con conseguente mobbing;

rigettava il motivo del ricorso principale relativo al rimborso spese ex art. 88 c.p.c.;

nell’esaminare la censura del ricorso principale relativa alla quantificazione del bonus contrattuale e mensile, perchè limitato al 2001 e non esteso anche per il futuro, esaminava anche il motivo del ricorso incidentale secondo il quale erroneamente sarebbero stati riconosciuti al V. gli stessi, e accoglieva il motivo di ricorso incidentale in merito al quantum.

4. Ricorre per la cassazione della suddetta sentenza d’Appello il V. prospettando più motivi di ricorso in ordine alle diverse statuizioni contenute nella pronuncia in esame.

5.Resiste con controricorso la società SMAFIN. 6. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Motivi della decisione

1. I motivi di ricorso sono articolati con riguardo alle diverse statuizioni contenute nella sentenza.

2. I primi due motivi attengono alla parte della pronuncia in esame, con la quale è stato ritenuto legittimo il trasferimento del V. a (OMISSIS) e, quindi, effettivamente avvenuta la cessione d’azienda intercorsa tra la SMAFIN e la Laviano.

2.1. Con la prima censura, assistita dal prescritto quesito di diritto, è dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 2103, 2112, 2697 c.c.; art. 115 c.p.c..

Ad avviso del ricorrente, in capo al datore di lavoro grava l’onere di dimostrare le circostanze che hanno giustificato il trasferimento, in base a quanto previsto dall’art. 2103 c.c.. Nella specie, esso ricorrente aveva fornito molteplici prove sulla fraudolenza del trasferimento e dello scenario ad esso sotteso. Tuttavia, la Corte d’Appello si era limitata a ritenere non sostenibili gli argomenti addotti dal ricorrente, riducendo il proprio giudizio della legittimità del trasferimento alla verifica delle sole contestazioni avanzate dal lavoratore, mentre era onere della controparte, non assolto, il dimostrare in tutti i suoi aspetti la fondatezza del trasferimento, compresa la prova del repechage in unità viciniori.

Il motivo è inammissibile, in quanto generico.

La Corte d’Appello riteneva elementi decisivi ad escludere l’effettività della cessione, l’esistenza di un contratto di cessione di azienda (allegato in atti) intervenuto tra la SMAFIN e la Laviano e la partecipazione delle OO.SS. alla individuazione dei dipendenti (10 su 16) da trasferire in esito alla detta cessione, dal deposito di (OMISSIS) a quello di (OMISSIS).

La Corte di Appello rilevava, altresì, che la cessione era stata preceduta da incontri tra le parti e le organizzazioni sindacali sfociati poi nell’accordo 30 gennaio 1999, nel quale risultavano stabiliti i criteri di individuazione del personale da trasferire e di quello rimasto in forza alla cedente. In relazione a tale decisum, il ricorrente si limita a prospettare delle affermazioni (l’unità di (OMISSIS), da cui era stato rimosso, non era cessata in quanto non costituiva un ramo di azienda autonomo; la cessione aziendale era autonoma e fraudolenta poichè, tra l’altro, non seguita da cessione di immobile, non comprendente merci; il personale ceduto era una frazione), senza alcuna indicazione dei relativi mezzi di prova e della intervenuta sottoposizione degli stessi ai giudici del merito.

Quindi, non è ravvisabile alcuna inversione dell’onere della prova in quanto il giudice di appello riteneva provati con motivazione congrua la sussistenza dei fatti costitutivi della cessione e rilevava la mancanza di prova degli elementi della asserita fittizi età da parte del V., essendosi lo stesso limitati a reiterare argomenti già proposti in primo grado e disattesi per mancanza di prova.

2.2. Con la seconda censura, sulla medesima statuizione, è prospettato vizio di omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

L’aver ritenuto la cessione del ramo di azienda effettiva, non costituirebbe motivazione completa in merito alla ritenuta legittimità del trasferimento.

In ogni caso, anche tale motivazione sarebbe insufficiente e contraddittoria essendosi basata su dati meramente formali.

La Corte non avrebbe dato ingresso alle testimonianze di testi in altri processi, non avrebbe apprezzato le dichiarazioni convergenti di tre testi, non si sarebbe pronunciata sulla legittimità della richiesta risarcitoria invocata in via alternativa alla possibilità di richiesta di condanna in forma specifica conseguente all’illegittimità del trasferimento.

Il motivo è inammissibile in quanto, oltre alla genericità delle deduzioni circa le risultanze probatorie, prive di riferimenti circostanziati, manca l’indicazione del fatto controverso, e il vizio di omessa pronuncia andava dedotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, dal momento che l’omessa pronuncia del giudice di secondo grado in ordine ad uno dei motivi dedotti nell’atto di appello, la quale postula la denuncia di un "error in procedendo", ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 4, in riferimento al quale il giudice di legittimità può esaminare anche gli atti del giudizio di merito, essendo giudice anche del fatto, inteso in senso processuale (Cass., n. 24856 del 2006).

In particolare, si può ricordare come questa Corte (Cass., S.U., n. 16528 del 2008) abbia affermato che è inammissibile, perchè privo di autosufficienza e concretezza, come richiesto dall’art. 366 bis c.p.c., il motivo di ricorso per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, in cui non siano specificamente indicati i fatti controversi in relazione ai quali la motivazione si assume carente, nè siano indicati i profili di rilevanza di tali fatti, essendosi il ricorrente limitato ad enunciare la necessaria esaustività della motivazione quale premessa maggiore del sillogismo che dovrebbe portare alla soluzione del problema giuridico, senza indicare la premessa minore (cioè i fatti rilevanti su cui vi sarebbe stata omissione) e svolgere il successivo momento di sintesi dei rilievi attraverso il quale poter cogliere la fondatezza della censura.

Questa Corte ha, altresì affermato (Cass., n. 17915 del 2010) come ricorrente che, in sede di legittimità, denunci il difetto di motivazione su un’istanza di ammissione di un mezzo istruttorio o sulla valutazione di un documento o di risultanze probatorie o processuali, ha l’onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova o il contenuto del documento trascurato od erroneamente interpretato dal giudice di merito, provvedendo alla loro trascrizione, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare, e, quindi, delle prove stesse, che, per il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, la S.C. deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative.

3. Il terzo ed il quarto motivo di ricorso attengono alla statuizione relativa al mancato riconoscimento delle spese di trasferimento.

3.1. Con la terza censura il ricorrente deduce, prospettando il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, che la Corte d’Appello avrebbe omesso di pronunciare, omettendo la motivazione, sulla richiesta di rimborso delle spese di vitto e alloggio in pensione, per il tempo necessario al reperimento dell’alloggio, ex art. 88 CCNL Commercio e Confcommercio del 3 novembre 1994.

Il motivo è inammissibile in quanto, per le ragioni sopra esposte, andava dedotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4. 3.2. Con la quarta censura, è prospettato vizio di violazione e falsa applicazionedell’art. 88 del CCNL Commercio e Confcommercio del 3 novembre 1994 e degli artt. 1366, 1367, 1369,1371 c.c..

Il quesito di diritto ha il seguente tenore: se l’ultimo capoverso dell’art. 88 del suddetto CCNL si interpreta nel senso che il rimborso dell’eventuale differenza del canone di locazione si riferisca soltanto ai dipendenti trasferiti che nella località a quo siano conduttori di alloggio in locazione, oppure anche ai dipendenti che nella località a quo godano di immobile per latro titolo.

Il motivo è inammissibile non essendo stato depositato il CCNL in questione. Come questa Corte ha avuto modo di affermare, l’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, nella parte in cui onera il ricorrente (principale od incidentale), a pena di improcedibilità del ricorso, di depositare i contratti od accordi collettivi di diritto privato sui quali il ricorso si fonda, va interpretato nel senso che, ove il ricorrente impugni, con ricorso immediato per cassazione ai sensi dell’art. 420 bis c.p.c., comma 2, la sentenza che abbia deciso in via pregiudiziale una questione concernente l’efficacia, la validità o l’interpretazione delle clausole di un contratto od accordo collettivo nazionale, ovvero denunci, con ricorso ordinario, la violazione o falsa applicazione di norme dei contratti ed accordi collettivi nazionali di lavoro ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 (nel testo sostituito dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 2), il deposito suddetto deve avere ad oggetto non solo l’estratto recante le singole disposizioni collettive invocate nel ricorso, ma l’integrale testo del contratto od accordo collettivo di livello nazionale contenente tali disposizioni, rispondendo tale adempimento alla funzione nomofilattica assegnata alla Corte di cassazione nell’esercizio del sindacato di legittimità sull’interpretazione della contrattazione collettiva di livello nazionale.

4. I motivi 5 e 6 attengono alla statuizione della Corte d’Appello relativa ai bonus.

4.1. Con il primo, assistito dal prescritto quesito di diritto, si prospetta la violazione degli artt. 112 e 436 c.p.c., in quanto l’appello incidentale della società sarebbe stato accolto per ragioni diverse da quelle prospettate. Il motivo non è ammissibile in quanto non risponde ai requisiti di autosufficienza, per la genericità dello stesso, in ragione della asserzione che la statuizione del giudice di primo grado (secondo la quale i bonus erano dovuti in ragione di accordi aziendali) non poteva costituire oggetto dell’impugnazione, mentre, come si da atto nella sentenza resa in secondo grado, con l’appello incidentale la società contestava la debenza stessa dei bonus come riconosciuti, in quanto si sarebbe trattato di prestazione personalizzata, di stampo esclusivamente liberale, avendo già contestato la domanda proposta dal V. al Tribunale.

4.2. Con il secondo motivo si deduce omessa, insufficiente contraddittoria motivazione. Da un lato, il ricorrente deduce che sarebbe contraddittorio il riconoscimento della legittimità del trasferimento rispetto alla ritenuta non debenza dei bonus, dall’altro che quest’ultimi erano dovuti, in base agli accordi aziendali, non per le mansioni svolte ma per l’attività svolta presso i depositi. Il motivo è inammissibile.

Con tali prospettazioni, il ricorrente anzichè indicare il fatto controverso in ordine al quale verificare la congruenza del ragionamento decisorio, chiede una nuova valutazione dei fatti di causa inammissibile in sede di legittimità. 5. Il settimo motivo d’impugnazione attiene alla statuizione della sentenza relativa al risarcimento del danno alla persona. Con lo stesso si prospetta omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

La pronuncia sarebbe carente in ordine alla richiesta dei danni alla persona in ragione degli illegittimi comportamenti datoriali, essendosi soffermata solo sull’assenza di mobbing; la stessa è analogamente carente sulla superfluità di un accertamento tecnico medico-legale.

5.1. Il motivo è inammissibile per mancanza di autosufficienza in ragione della giurisprudenza sopra richiamata. Le deduzioni di parte ricorrente, infatti, sono sprovviste di riferimenti circostanziati alle proprie richieste che sarebbero state non considerate dalla motivazione.

6. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.

7. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in Euro 50,00 per esborsi, Euro 3000 per onorario, oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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