Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 18-05-2011) 03-10-2011, n. 35721 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

C.P. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza in epigrafe con la quale la corte di appello di Brescia confermava quella del tribunale di Bergamo che aveva condannato l’imputato per il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 per avere in più occasioni detenuto quantitativi imprecisati e non modici di cocaina che cedeva a G.M., giudicato con separata sentenza ex art. 444 c.p.p..

Deduce in questa sede il ricorrente:

1) la violazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 assumendo che nella specie è stata ritenuta sussistere la condotta di offerta in vendita dello stupefacente senza che vi fosse la prova dell’effettiva disponibilità di esso;

2) manifesta illogicità della sentenza in relazione alla ricostruzione del fatto avendo riconosciuto la stessa corte di merito che la prova della responsabilità dell’imputato si fonda esclusivamente sulle intercettazioni telefoniche e sui messaggi telefonici e che l’unico elemento di riferimento allo stupefacente è dato dalla qualità di tossicodipendente del ricorrente cui la droga veniva ceduta; che difettano ulteriori emergenze probatorie essendo risultata negativa la perquisizione subita. In tale contesto si rileva che il carattere meramente congetturale dell’interpretazione delle telefonate in difetto di prova sia per la cessione che per l’offerta;

3) manifesta illogicità della sentenza della corte di appello sulla commisurazione della pena essendo congetturale che l’imputato avesse in precedenza acquistato quantitativi non minimi.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato.

In ordine al primo motivo va premesso, infatti, che, come già affermato da questa Corte, in tema di commercio di sostanze stupefacenti, nel caso venga raggiunto un accordo per la cessione di un determinato quantitativo di droga, ma manchi del tutto la prova dell’avvenuta consegna di questa, non si configura a carico del venditore il reato di tentata cessione, bensì il reato consumato di "offerta in vendita" della sostanza, espressamente disciplinato dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 (Sez. 2, n. 32299 del 22/05/2001 Rv.

219706).

Ciò posto si deve rilevare che l’effettiva disponibilità di droga è stata correttamente e logicamente ritenuta provata dai giudici di merito sulla base del riscontro costituito dal sequestro di essa presso l’abitazione del M. e dal contenuto delle telefonate a proposito delle quali per un verso è stato motivatamente sottolineato l’inequivoco tenore e per altro verso che avvenivano tra una serie di soggetti per i quali non potevano avere altra spiegazione i rapporti personali se non in ragione della fornitura dello stupefacente.

Nè alcuna censura può essere mossa all’impianto motivazionale sotto il profilo dell’adeguatezza dello sviluppo logico nella parte in cui valorizza la qualità personale dell’imputato – gravato di precedenti specifici – per spiegare la necessità del rapporto con gli altri imputati ed, in particolare, con il G..

Tali considerazioni che valgono evidentemente anche per il secondo motivo essendo entrambi i primi due motivi, attinenti al profilo della responsabilità dell’imputato, inducono quindi a ritenere l’infondatezza del ricorso sotto il profilo esaminato, fermo restando anche che, ovviamente, non è in questa sede proponibile la diversa chiave di lettura di singole telefonate.

E’ ius receptum, infatti, che l’indigine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativi sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. Esula, infatti, dai poteri della Corte di Cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (sez. U., n. 6402 del 30.04.1997 rv. 207944).

Anche sulla pena le censure finiscono sostanzialmente per appuntarsi sul merito della valutazione una volta ritenuta raggiunta la prova della responsabilità dell’imputato.

Ne consegue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *