Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 05-05-2011) 03-10-2011, n. 35716 Stranieri

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di appello di Bologna con sentenza del 22 settembre 2010 ha confermato al sentenza resa all’esito di giudizio abbreviato dal G.U.P. presso il Tribunale di Bologna in data 9 maggio 2006, con la quale C.M. è stato condannato alla pena di anni 3 di reclusione e 3 mila Ruro di multa per i reati di cui alla L. n. 75 del 1958, artt. 110, 3, n. 8 e 4, n. 7 e il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, comma 5, fatti accertati in (OMISSIS).

L’imputato ha proposto, tramite il proprio difensore, ricorso per cassazione per i seguenti motivi:

1. Mancanza, contraddittorietà, manifesta illogicità della motivazione.

Il ricorrente è stato condannato per favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione che veniva asseritamene esercitata all’interno del circolo "(OMISSIS)", solo sulla base della sua qualità di legale rappresentante. Nel circolo era possibile praticare sesso tra adulti consenzienti sia come incontro di singoli sia come scambio di coppie. La gestione del locale era di altri, come risultava anche dalle Intercettazioni e quindi il ricorrente ignorava che ivi venisse svolta attività di prostituzione. Il C. non aveva avuto rapporti diretti con le donne straniere che si sarebbero prostituite nel locale, ma la Corte aveva ritenuto provata la sua responsabilità sulla base delle dichiarazioni testimoniali rese dalla S. e dalla N..

2. Difetto ed illogicità della motivazione in relazione al capo b) dell’imputazione. La violazione del D.Lgs. n. 286 del 1988, art. 12, comma 5, non poteva essere ritenuta sussistente per mancata consapevolezza della situazione di irregolarità dello straniero sul territorio nazionale e del fatto che le donne si prostituivano all’interno del locale. La sola consapevolezza della condizione di irregolarità della N. non doveva essere sufficiente a ritenere il C. responsabile del reato, posto che lo stesso ignorava che la donna, che peraltro era anche socia, svolgesse il meretricio nel locale. Sarebbe comunque illogico ritenere che dalla eventuale consapevolezza dell’attività di prostituzione delle ragazze, consegua necessariamente la conoscenza del loro stato di clandestinità.

Motivi della decisione

1. Va premesso che nel caso in cui le sentenze di primo e secondo grado concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente e forma con essa un unico complessivo corpo argomentativo (cfr. Sez. 4, n. 15227 del l’11/4/2008, Baretti, Rv. 239735; Sez. 6, n. 1307 del 14/1/2003, Delvai, Rv. 223061). Tale integrazione tra le due motivazioni si verifica allorchè i giudici di secondo grado abbiano esaminato le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli usati dal primo giudice e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione e, a maggior ragione, quando i motivi di appello non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione di primo grado (Cfr. la parte motiva della sentenza Sez. 3, n. 10163 del 12/3/2002, Lombardozzi, Rv. 221116).

Nel caso di specie, la sentenza di appello ha richiamato la decisione di primo grado in riferimento alla ricostruzione in punto di fatto, all’analisi delle risultanze probatorie, esprimendo la propria condivisione per le considerazioni valutative e l’applicazione dei principi di diritto esposti ed ha sviluppato una propria autonoma argomentazione, all’esito dell’esame delle censure avanzate dall’appellante, confermando il giudizio di piena attendibilità delle testimonianze anche alla luce anche degli elementi probatori di riscontro dei fatti, rappresentanti dalle intercettazioni e dalle dichiarazione degli altri coimputati.

Come è noto, in tema di sindacato del vizio della motivazione, il compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito, ma quello di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre. Pertanto, "la denunzia di minime incongruenze argomentative o l’omessa esposizione di elementi di valutazione, che il ricorrente ritenga tali da determinare una diversa decisione (ma che non siano inequivocabilmente muniti di un chiaro carattere di declsività), non possono dar luogo all’annullamento della sentenza, posto che non costituisce vizio della motivazione qualunque omissione valutativa che riguardi singoli dati estrapolati dal contesto" (Cfr. Sez. 2, n. 18163 del 6/5/2008, Ferdico, Rv. 239789). Di contro, solo esaminando il compendio probatorio nel suo complesso, all’interno del quale ogni elemento è stato contestualizzato, è possibile verificare la consistenza e la decisività degli elementi medesimi, oppure la loro ininfluenza ai fini della compattezza logica dell’impianto argomentativo della motivazione.

Di conseguenza il primo motivo di ricorso, che finisce invero per proporre una diversa lettura delle risultanze processuali, non consentita in questa sede, risulta infondato. La sentenza ha congruamente ed esaustivamente fornito motivazione degli elementi di colpevolezza che indicano il C. quale deus ex machina di tutto il sistema di gestione dello sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione operata all’interno del locale, seppure gestito formalmente nel periodo interessato da altri.

2. Quanto al secondo motivo di ricorso, le argomentazioni proposte non appaiono degne di considerazione, atteso che gli elementi acquisiti avevano posto in evidenza sia che il C. era perfettamente consapevole della condizione di irregolarità delle donne, sia del fatto che con l’organizzazione in essere la permanenza nel territorio italiano in condizioni di sfruttamento era favorita.

3. Peraltro questo Collegio rileva che la giurisprudenza di legittimità ha recentemente precisato che "il delitto di favoreggiamento dell’ingresso nel territorio dello Stato di uno straniero extracomunitario resta assorbito nel delitto di tratta di persone se realizzato per compiere questo ultimo delitto, in quanto la clausola di riserva "salvo che il fatto costituisca più grave reato" di cui alla norma di previsione del delitto di favoreggiamento dell’ingresso clandestino comporta l’applicazione della norma incriminatrice della tratta, delitto più gravemente punito." (cfr.

Sez. 5, n. 20740 del 25/3/2010, Ikponwmasa, Rv. 247658). Difatti si deve ritenere, atteso il richiamo al "fatto" e non già "alla disposizione di legge", contenuto nel testo, che la clausola di riserva, ovvero di consunzione, contenuta nell’incipit del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, opera indipendentemente dal principio di specialità tra norme ovvero dal raffronto tra interessi tutelati, ed esclude la punibilità della condotta di favoreggiamento ogniqualvolta la stessa integri un elemento costitutivo di una violazione più grave, con ciò confermando il carattere sussidiario della disposizione. Ritiene questo Collegio che la stessa considerazione valga anche con riferimento al delitto di sfruttamento della prostituzione delle cittadine moldave illegalmente presenti nel territorio nazionale, assorbente rispetto al favoreggiamento a fini di profitto della permanenza in Italia in tale loro condizione, tipizzato dal D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 12, comma 5. Del resto la stessa sentenza impugnata ha posto in evidenza "la stretta connessione oggettiva tra le condotte dei due reati", sottolineando come l’organizzazione dello sfruttamento della prostituzione delle ragazze ne favorisse anche l’irregolare permanenza nel territorio italiano. Pertanto la sentenza deve essere annullata, limitatamente al reato di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, comma 5, contestato su b), perchè assorbito in quello di cui al capo a), con rinvio, per la rideterminazione del trattamento sanzionatorio, ad altra Sezione della Corte di appello di Bologna.

P.Q.M.

Annullavi sentenza impugnata limitatamente al reato sub b) perchè assorbito in quello sub a) e con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Bologna per la rideterminazione del trattamento sanzionatorio.

Così deciso in Roma, il 5 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 3 ottobre 2011

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