Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 04-05-2011) 03-10-2011, n. 35710 Violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di appello di Caltanissetta, con sentenza in data 17 luglio 2010, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Caltanissetta del 21 ottobre 2009, ha rideterminato la pena in anni sei di reclusione, riconosciuta l’attenuante dell’art. 609 quater c.p., comma 4, equivalente alla contestata aggravante, confermando quanto al resto la condanna di T.G. per i reati di cui all’art. 609 bis e art. 609 ter c.p., comma 1, n. 1, perchè con violenza, e comunque mediante abuso di autorità, costringeva A. F., di anni quattro, a subire atti sessuali consistiti nello spogliarla e toccarla nelle parti intime, fatto commesso in Caltanissetta, in data antecedente e prossima al 19 novembre 2005.

Il ricorrente, tramite il proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione chiedendo l’annullamento della sentenza per i seguenti motivi:

1. Il giudice non avrebbe tenuto conto, senza darne spiegazione logica, di una delle prove acquisite. La condanna sarebbe stata fondata sulla valutazione di credibilità assoluta della bambina analizzando la trascrizione della audizione protetta della stessa, svolta dal perito dott.ssa D.C., senza tenere conto delle valutazioni medico-legali di natura psichiatrica che erano state richieste al perito. Quindi la colpevolezza sarebbe stata fondata su tali elementi confermati dalle dichiarazioni della madre e del suo compagno che avevano riferito i racconti de relato della minore. La prova della responsabilità non può certamente derivare dalle affermazioni della psicologa, consulente tecnica del pm che ebbe un contatto isolato con la bambina.

2. Inoltre se pure la Corte di appello ha concesso la circostanza attenuante dell’art. 609 quater c.p., comma 4, non avrebbe fornito alcuna risposta alle invocate circostanze attenuanti generiche, che dovevano essere riconosciute anche in considerazione della incensuratezza dell’imputato, finendo per determinare la pena in maniera eccessiva rispetto al fatto commesso.

Motivi della decisione

1. Il primo motivo di ricorso è infondato.

Fermo restando il principio di diritto in base al quale, quando le sentenze di primo e secondo grado concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complessivo corpo argomentativo (Così, tra le altre, Sez. 2, n. 5606 dell’8/2/2007, Conversa e altro, Rv. 236181; Sez 1, n. 8868 dell’8/8/2000, Sangiorgi, Rv. 216906; Sez. 2, n. 11220 del 5/12/1997, Ambrosino, Rv. 209145). Tale integrazione tra le due motivazioni si verifica allorchè i giudici di secondo grado abbiano esaminato le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli usati dal primo giudice e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione e, a maggior ragione, quando i motivi di appello non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione di primo grado (Cfr, la parte motiva della sentenza Sez. 3, n. 10163 del 12/3/2002, Lombardozzi, Rv. 221116). Nel caso di specie, i giudici di appello, che pure hanno fatto riferimento alle esaustive argomentazioni sviluppate nel dettaglio nella sentenza di primo grado, hanno fornito una valutazione autonoma dei motivi di appello sui punti specificamente indicati, verificando sia le ragioni dell’attendibilità della minore, alla luce di principi giurisprudenziali in materia, sia gli elementi probatori di riscontro dei fatti, sia la tenuta logica della ricostruzione del delitto ascritto al ricorrente. Inoltre, come ha stabilito la giurisprudenza, il giudice può trarre il proprio convincimento circa la responsabilità dell’imputato anche dalle sole dichiarazioni rese dalla persona offesa, sempre che sia sottoposta a vaglio positivo circa la sua attendibilità e senza la necessità di applicare le regole probatorie di cui all’art. 192 c.p.p., comma 3 e 4, che richiedono la presenza di riscontri esterni (cfr., per tutte, Sez. 1, n. 29372 del 27/7/2010, Stefanini, Rv. 248016). In particolare, nel caso di parte offesa dei reati sessuali di età minore è necessario che l’esame della sua credibilità sia onnicomprensivo e tenga conto di più elementi quali l’attitudine a testimoniare, la capacità a recepire le informazioni, ricordarle e raccordarle, la qualità e natura delle dinamiche familiari e dei processi di rielaborazione delle vicende vissute (Così Sez. 3, n. 29612 del 27/7/2010, P.C. in proc. R. e altri, Rv. 247740).

La decisione impugnata, quindi, che ha confermato le valutazioni di merito espresse in primo grado, con motivazione congrua e priva di smagliature logiche, è stata fondata sulle dichiarazioni della parte offesa rese in sede di testimonianza protetta innanzi al G.I.P., ritenute attendibili intrinsecamente ed estrinsecamente. La bimba era stata valutata dal perito pienamente capace di testimoniare, in quanto in grado di rappresentare adeguatamente la realtà, ed inoltre, nonostante la tenera età, aveva descritto particolari che non potevano essere ricondotti a fantasia; il racconto della piccola aveva trovato conferma nella testimonianza acquisita a seguito di rinnovazione dibattimentale anche del convivente della madre all’epoca dei fatti.

Peraltro i giudici hanno dato atto della assenza di ragioni di contrasto tra la madre della bambina ed il nonno che potessero giustificare trame calunniose ed anzi hanno riferito dell’evidente tentativo operato dalla madre della bimba a sminuire la portata dell’episodio, atteso l’aiuto economico che la stessa riceveva dal nonno della bimba.

2. Questa Corte ritiene, di contro, fondato il secondo motivo di ricorso.

I giudici di appello hanno concesso la circostanza attenuante dell’art. 609 quater c.p., comma 4, tenuto conto dell’unico episodio contestato e della non rilevante lesività del fatto, essendo stata esclusa la presenza nella persona offesa di danni psichici permanenti, ma non ha fornito alcuna risposta al motivo di appello in tema di circostanze attenuanti in generale, con il quale era stata invocato una più mitigata dosimetria della pena – che in primo grado era stata determinata tenendo conto di alcuni dei parametri di cui all’art. 133 c.p., quali l’estrema gravità dei fatti e la qualità della persona offesa – che prendesse in considerazione anche il requisito soggettivo dell’incensuratezza. I giudici hanno riformulato il computo senza rendere esplicite le ragioni per le quali hanno ritenuto di negare le circostanze attenuanti generiche.

La sentenza deve pertanto essere annullata limitatamente al punto concernente le attenuanti generiche, con rinvio per nuovo esame ad altra Sezione della Corte di appello di Caltanissetta.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente al punto concernente le attenuanti generiche, con rinvio per nuovo esame ad altra Sezione della Corte di appello di Caltanissetta. Rigetta nel resto il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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