Cass. civ. Sez. Unite, Sent., 27-02-2012, n. 2933 Giurisdizione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale Dr. CENICCOLA Raffaele, il quale ha concluso per la dichiarazione della giurisdizione dell’AGO. La Corte:

quanto segue:

Con atto notificato il 9/12/2010, B.F. ha proposto ricorso contro la sentenza in epigrafe indicata, chiedendone la cassazione con ogni consequenziale statuizione.

L’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (d’ora in avanti INPS) ha resistito con controricorso, proponendo a sua volta ricorso incidentale e la controversia è stata decisa all’esito della pubblica udienza del 14 febbraio 2012.

Motivi della decisione

Dalla lettura della sentenza impugnata, del ricorso e del controricorso emerge pacificamente in fatto che a partire dal 1/9/1997, il dirigente di seconda fascia B.F. è stato preposto dall’INPS alla guida della direzione regionale della Basilicata.

Con Delib. Consiliare 28 luglio 1998, n. 799, l’INPS ha costituito tutte le direzioni generali in uffici di livello dirigenziale generale precisando, però, che per quelle all’epoca rette da dirigenti di rango inferiore, tale costituzione non sarebbe stata immediata, ma graduale.

In attuazione di quanto sopra, l’INPS ha poi disposto, con Delib. 17 novembre 1998, n. 1128, la costituzione di posti dirigenziali generali anche per le sedi regionali della Basilicata, Friuli Venezia Giulia, Molise, Trentino, Umbria e Valle d’Aosta.

A distanza di meno un anno, però, l’INPS ha considerato che le predette Regioni non raggiungevano determinati valori minimi, per cui è tornato sui suoi passi stabilendo, con la Delib. 22 giugno 1999, n. 178, che le direzioni delle relative sedi rappresentavano uffici da dirigente di seconda fascia.

Il 7/11/2001, il B. ha sottoscritto con il datore di lavoro un contratto con cui, posto appunto il suo inquadramento come dirigente di seconda fascia, ha accettato il corrispondente trattamento economico, che ha continuato a percepire fino al 30/11/2005, data del suo collocamento a riposo.

Nell’aprile del 2006, però, il B. ha citato l’INPS davanti al Tribunale di Potenza, sostenendo che anche dopo il ridimensionameto della sede, aveva continuato a svolgere le stesse mansioni di prima che, a loro volta, coincidevano con quelle dei titolari delle altre direzioni di livello superiore.

Per tale ragione, ha richiesto la condanna del convenuto al pagamento delle differenze a tal titolo maturate nel periodo compreso fra il 1/11/1998 ed il 30/11/2005.

L’INPS si è costituito in giudizio, eccependo il difetto di giurisdizione dell’AGO in quanto l’azione del ricorrente tendeva, in realtà, all’annullamento della sua scelta organizzativa che, viceversa, risultava pienamente giustificata dal minore impegno richiesto ai dirigenti delle Regioni declassate.

Espletata l’istruttoria, il Tribunale ha innanzitutto affermato la sua giurisdizione, perchè il B. si era limitato a richiedere le maggiori somme asseritamente dovutegli per lo svolgimento di mansioni superiori, formulando così una domanda rispetto alla quale il riassetto dell’Istituto si poneva come un semplice atto presupposto suscettibile di essere disapplicato in caso d’illegittimità.

Chiarito quanto sopra e riconosciuto, altresì, che per il regolamento interno i direttori regionali avevano tutti gli stessi compiti indipendentemente dalla loro qualifica, il Tribunale ha poi avvertito che il thema decidendum della controversia consisteva nell’accertare se l’INPS avesse o meno il potere di corrispondere al B. una retribuzione minore di quella spettante ai dirigenti generali.

A questo proposito, ha escluso l’esistenza di un obbligo assoluto di parità di trattamento, osservando in seguito che nell’operare il declassamento della Basilicata e delle altre Regioni suindicate, l’INPS aveva tenuto in considerazione il ridotto "impegno richiesto per la gestione e verifica delle attività produttive e delle relative risorse in ragione del numero inferiore della popolazione assistita, la minore presenza di strutture e personale dell’ente sul territorio e la differente estensione del bacino dell’utenza in relazione ai numero delle aziende, pensioni e lavoratori gestiti".

Trattandosi di circostanze che potevano "ritenersi pacificamente acciarate", giacchè le Regioni di cui si discuteva "erano proprio quelle con meno popolazione ed estensione e, quindi, ragionevolmente con una differente assistenza previdenziale rispetto" alle altre, il Tribunale ha rigettato la domanda attrice, compensando integralmente le spese di lite fra le parti.

Il B. ha interposto appello, lamentando che il primo giudice si era basato su circostanze niente affatto notorie, omettendo di considerare che vi era stata una palese violazione del divieto di irriducibilità della retribuzione o, quanto meno, una surrettizia reformatio in peius a danno del dipendente, il cui diritto discendeva direttamente dal contratto collettivo nazionale nonchè dai principi di parità di trattamento e proporzionalità retributiva che governavano il rapporto di lavoro con le Pubbliche amministrazioni.

L’INPS si è costituito insistendo sul difetto di giurisdizione dell’AGO e, nel merito, sulla infondatezza della pretesa avversa e la Corte di appello, ribadita in primo luogo la riconducibilità della causa nel novero di quelle devolute al giudice ordinario, ha poi rilevato che finendo col prospettare delle questioni nuove mai sviluppate in primo grado, i motivi concernenti la violazione del contratto collettivo e del divieto d’irriducibilità della retribuzione risultavano inammissibili ai sensi dell’art. 437 cod. proc. civ..

Ciò posto, la Corte ha quindi sottolineato che le circostanze valorizzate dal Tribunale integravano realmente dei "fatti notori, come tali adducibili a fondamento della decisione senza necessità di un’apposita verifica probatoria".

Quanto, poi, alle restanti doglianze, non poteva trascurarsi che il principio di parità di trattamento impediva soltanto i comportamenti arbitrariamente discriminatori, che nel caso in esame non vi erano invece stati, perchè come accertato dal primo giudice, l’INPS si era ispirata ad un criterio di ragionevolezza che imponeva di escludere ogni violazione sia del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 45, che de principio di proporzionalità della retribuzione fissato dall’art. 36 Cost., che l’appellante aveva invocato senza fornire la dovuta prova della insufficienza dello stipendio percepito.

Alla luce di quanto sopra nonchè del fatto che la correttezza dell’operato dell’INPS era stata sostanzialmente riconosciuta dallo stesso B., che aveva sottoscritto il contratto del 2001 senza mai contestarlo in seguito, la Corte di appello ha te rigettato il gravame, compensando per intero le spese di lite fra le parti.

Il B. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo con il primo motivo la violazione e falsa applicazione degli artt. 434, 437 cod. proc. civ. e artt. 1362-1371 cod. civ., nonchè il difetto di motivazione su punto decisivo della controversia, perchè contrariamente a quanto affermato dal giudice a quo, nel ricorso introduttivo aveva espressamente specificato di avere diritto al pagamento delle maggiori somme reclamate anche ai sensi del CCNL di settore, il quale prevedeva chiaramente che "ai dirigenti di seconda fascia incaricati di funzioni dirigenziali generali compete(va), limitatamente alla durata dell’incarico, la retribuzione stabilita per i dirigenti di prima fascia".

Con il secondo motivo il ricorrente ha dedotto la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 cod. proc. civ., del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 45 e art. 2697 cod. civ., nonchè il difetto di motivazione su punto decisivo della controversia, in quanto la Corte di appello aveva erroneamente confermato la riconducibilità al "notorio" delle circostanze valorizzate dal Tribunale e uniformandosi alla sua valutazione, gli aveva negato quella soddisfazione che, invece, gli spettava per aver svolto mansioni in tutto analoghe a quelle espletate dai dirigenti generali.

Con il terzo motivo il ricorrente ha dedotto la violazione e falsa applicazione dell’art. 36 Cost., del D.Lgs n. 165 del 2001, art. 52 e del D.Lgs n. 387 del 1998, art. 15, nonchè il difetto di motivazione su punto decisivo della controversia, in quanto nell’addebitargli la mancata prova della inadeguatezza della retribuzione, la Corte di appello non aveva considerato che secondo l’unanime dottrina e giurisprudenza, le previsioni contenute al riguardo nei contratti collettivi di lavoro andavano riguardate come il "minimo costituzionale" perchè "determina(va)no la quantificazione della retribuzione proporzionata e sufficiente di cui all’art. 36 Cost." . on il quarto motivo il ricorrente ha infine dedotto la violazione e falsa applicazione dell’art. 2113 cod. civ., nonchè il difetto di motivazione su punto decisivo della controversia, in quanto la Corte di appello aveva collegato al contratto del 2001 una sorta di decadenza che, invece, non avrebbe potuto essere predicata anche perchè, da parte sua, non aveva al inteso fare nessuna rinuncia ed, anzi, aveva dopo solo un mese diffidato l’INPS a liquidargli le ulteriori somme di cui era ancora a credito a seguito dell’ininterrotto svolgimento di mansioni superiori.

L’INPS ha resistito con controricorso, impugnando a sua volta in via incidentale per violazione dell’art. 37 cod. proc. civ. e del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63, in quanto la Corte di appello avrebbe dovuto declinare la giurisdizione perchè la premessa sine qua non avrebbe potuto accogliersi la pretesa attrice risiedeva proprio nell’accertamento della invalidità del provvedimento che aveva fissato le linee e i principi fondamentali della organizzazione dell’Istituto.

Trattandosi di ricorso condizionato perchè proposto dalla parte integralmente vittoriosa nel merito, quello incidentale sulla giurisdizione dovrà essere scrutinato soltanto in caso di fondatezza di uno o più dei motivi del ricorso principale (C. Cass. n. 5456 del 2009) che, a loro volta, possono essere congiuntamente esaminati per via della loro intima connessione.

A questo proposito, giova innanzitutto premettere che la Corte di appello non ha richiamato il contratto individuale del 2001 per affermarne la natura di rinuncia preclusiva dell’azione in giudizio, ma per inferirne ulteriori elementi a più forte riprova della già riconosciuta infondatezza della domanda.

Quest’ultima è stata, come si è visto, rigettata perchè la Corte di appello ha ritenuto percorribile l’iter argomentativo seguito dal Tribunale, che nel reputare giustificata e ragionevole la scelta dell’INPS di distinguere all’interno delle varie direzioni regionali, era partito da una serie di dati oggettivamente veri ed incontrovertibili, come la estensione territoriale, la densità della popolazione e la ripartizione della stessa in due sole province, alla luce dei quali e dell’altra circostanza realmente notoria del minore sviluppo industriale e commerciale della Basilicata, era pervenuto alla conclusione sostanzialmente inevitabile e, per di più conforme al sapere diffuso ed alla esperienza quotidiana, che non occorreva alcuna prova per ritenere certo che in tale Regione vi erano meno dipendenti da coordinare e meno servizi da erogare e che pertanto il B., pur avendo avuto sulla carta dei compiti analoghi a quelli dei direttori generali, non aveva, nella realtà, mai svolto delle funzioni comparabili alle loro, per cui non poteva nemmeno pretenderne la relativa retribuizione.

Condividendo la coerenza ed il buon senso di tale ragionamento (che in quanto immune da vizi logici e giuridici, non è sindacabile in questa sede) e ritenutane (correttamente) la idoneità a dimostrare l’infondatezza della domanda attrice per il periodo successivo al "declassamelo" della Basilicata, la Corte di appello ha per ciò solo rigettato il gravame senza porsi il problema di verificare se il predetto ragionamento fosse di per sè automaticamente sufficiente ad escludere ogni credito del B. anche per il periodo precedente.

Considerato, infatti, che per un certo lasso di tempo la sede regionale della Basilicata era stata comunque promossa a livello dirigenziale generale ed aveva continuato ad essere guidata dal B., la Corte di appello avrebbe dovuto spiegare le ragioni per le quali nemmeno tale "promozione" aveva comportato conseguenze ai sensi della legge o del contratto collettivo, la cui eventuale violazione da parte dell’INPS non costituiva affatto una questione nuova perchè già sollevata dal B. fin dal ricorso introduttivo, dove a pag. 5 aveva sostenuto di avere titolo all’invocato pagamento anche ai sensi del CCNL di settore.

Sotto il predetto profilo, il ricorso principale risulta fondato per cui occorre procedere all’esame di quello incidentale dell’INPS, che non può essere accolto per il motivo già espresso dalla Corte di appello e, cioè, per il fatto che la domanda del B. ha avuto per oggetto immediato e diretto il pagamento delle differenze retributive e, dunque, il soddisfacimento di un preteso diritto soggettivo scaturito dalla gestione del rapporto di lavoro.

In parziale accoglimento, perciò, del ricorso principale e rigettato quello incidentale con la dichiarazione della giurisdizione del giudice ordinario, la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al profilo accolto, con rimessione delle parti davanti alla Corte di appello di Potenza che, in diversa composizione, provvedere pure sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

LA CORTE A SEZIONI UNITE dichiara la giurisdizione de giudice ordinario, rigetta il ricorso incidentale, accoglie parzialmente quello principale, cassa la sentenza impugnata in relazione al profilo accolto e rinvia davanti alla Corte di appello di Potenza, che in diversa composizione provvedere pure sulle spese del presente giudizio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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