Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 03-05-2011) 03-10-2011, n. 35791 Revoca e sostituzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza 21.12.2010, il tribunale di Napoli ha rigettato l’appello avverso l’ ordinanza 10.11.2010, con cui la corte di assise di appello di Napoli aveva rigettato la richiesta di revoca della misura degli arresti domiciliari, applicata a D.G.R., in ordine ai reati di omicidio, occultamento di cadavere, commessi nel corso della sua attività di partecipazione a bande camorristiche.

Il difensore ha presentato ricorso per violazione di legge, in riferimento all’art. 274 e art. 275 c.p.p., vizio di motivazione.

Il ricorrente sostiene che il riconoscimento dell’attenuante L. n. 203 del 1991, ex art. 8, nonchè fattiva attività collaborativa giustificano la revoca della misura cautelare, in assenza di esigenza di prevenzione speciale. E’ errato sostenere che il D.G. non ha dimostrato di aver cambiato vita e di aver capito lo spirito della collaborazione, a cui è giunto non solo per ottenere i benefici, ma anche per rientrare a testa alta nel contesto sociale e civile.

Secondo la giurisprudenza della S.C., nei confronti dei collaboratori di giustizia, il giudizio di pericolosità, ai fini della sostituzione o della revoca della misura cautelare, va condotto verificando in concreto se il comportamento collaborativo sia garanzia della stabile rescissione di qualsiasi legame con l’attività dell’organizzazione criminale di appartenenza, in modo da comportare il superamento della presunzione di pericolosità posta dall’art. 275 c.p.p., comma 5. Il tribunale non ha svolto questa verifica, sebbene vi siano molte prove – documentalmente fondate sulle decisioni di riconoscimento dell’attenuante L. n. 203 del 1991, ex art. 8, sulla relazione della procura della Repubblica di Napoli, D.D.A.- dimostrative della reale volontà del D.G. di intraprendere una seria e fattiva collaborazione(e di rescindere qualsiasi vincolo con la precedente vita criminale che è stata alla base della revoca della misura di prevenzione.

Il ricorso è manifestamente infondato.

Il ricorrente richiama i positivi giudizi ottenuti dagli organi giudiziali, in sede di determinazione della pena e della valutazione ai fini della sussistenza della pericolosità in tema di misura di prevenzione. E’ di immediata evidenza la diversità dei presupposti e dei criteri di valutazione che caratterizzano queste decisioni dell’autorità giudiziaria.

In sede di custodia cautelare, il giudice deve verificare, in relazione al D.G., la sussistenza o meno non del generico pericolo di tenere genericamente una condotta illecita, ma dello specifico pericolo di reiterazione del reato di omicidio. La valutazione positiva di questo pericolo è stata fondata dal tribunale sulla fortissima carica di violenza, dimostrata dal D. G. con la partecipazione diretta o indiretta a numerosi omicidi.

Il tribunale ha anche osservato che questa potenziale carica omicida e di violenza fisica non è condizionata dal suo collegamento agli stessi ambienti criminale di provenienza e quindi, il distacco dai vecchi complici non esclude il pericolo di reiterazione di altri reati. Questa prognosi negativa sui futuri comportamenti del D. G. non è logicamente e giuridicamente attenuata dal riconoscimento della sua fattiva collaborazione, che, secondo una consolidata e condivisibile giurisprudenza non è ritenuta automaticamente causa di esclusione di pericolosità, rilevante ex art. 274 c.p.p., lett. c).

Le argomentazioni dell’ordinanza impugnata sono quindi pienamente fedeli alle emergenze processuali e sono improntate a lineare razionalità, tanto da renderla assolutamente incensurabile in sede di giudizio di legittimità.

Il ricorso va quindi dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento ielle spese processuali e della somma di Euro 1000 in favore della Cassa delle Ammende.

La cancelleria provvederà agli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p..

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000, in favore della Cassa delle Ammende. Art. 94 disp. att. c.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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