T.A.R. Lazio Roma Sez. II, Sent., 31-10-2011, n. 8321 Silenzio-rifiuto della Pubblica Amministrazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Le ricorrenti sono titolari di autorizzazioni all’esercizio di "servizi di linea granturismo" ex art.4, comma 5 bis, della L. reg. Lazio n.30 del 1998, rilasciate dal Comune di Roma a seguito del trasferimento in capo a quest’ultimo delle relative competenze.

L’attività è svolta in regime di libero mercato con i cc.dd. "Open Bus" (autobus a due piani aperti), ed è sostenuta esclusivamente con i proventi di esercizio, senza alcuna contribuzione pubblica diretta o indiretta.

La medesima attività viene svolta dalla società T.O. SpA che è una società controllata dal Comune di Roma (attraverso la società A. spa che ne è socio di maggioranza ed usufruisce di aiuti pubblici), e che – secondo la prospettazione delle ricorrenti – non risulterebbe titolare di alcuna autorizzazione all’esercizio di "linee di granturismo", non ostante gestisca da sola un "carico di traffico" all’interno del Comune di Roma, pari al doppio di quello gestito dalle ricorrenti (tutte insieme).

Sulla base delle considerazioni che precedono, con atto di significazione notificato in data 3.2.2011, le ricorrenti hanno chiesto al Comune di Roma di adottare i provvedimenti di competenza volti a far interrompere l’esercizio del servizio in questione alla società T.O. (in assenza dell’autorizzazione prescritta dall’art.4, comma 5°, della L. reg. Lazio n.30 del 1998); e di applicare, a carico della stessa, la sanzione prevista dall’art.87, comma 7°, del codice della strada.

Le ricorrenti hanno chiesto di interrompere il servizio in quanto svolto – secondo la loro tesi – in condizione di indebito vantaggio concorrenziale ed in modo da determinare una distorsione della concorrenza.

A fronte di tale richiesta il Comune è rimasto inerte, non avendo comunicato alcunché alle società istanti né comunque adottato alcun provvedimento entro i termini di legge.

Formatosi, pertanto, il silenziorifiuto, con il ricorso in esame le ricorrenti lo hanno impugnato chiedendo al Giudice adìto:

la dichiarazione giudiziale dell’illegittimità del silenzio serbato dall’Amministrazione e, conseguentemente, l’emissione di un’ordinanza che ingiunga alla PA di provvedere sull’istanza (determinando la fine del silenzio e dell’inerzia);

la condanna – specifica o, in subordine, generica con riserva di liquidazione in separato giudizio – della PA al risarcimento dei danni ad esse provocato (a cagione della perdita di clientela) dall’esercizio abusivo dell’attività condotta dalla società controinteressata.

Ritualmente costituitesi, tanto l’Amministrazione comunale che le società T.O. e A., hanno eccepito l’inammissibilità e comunque l’infondatezza del ricorso chiedendo il rigetto con vittoria di spese.

Nel corso del giudizio le ricorrenti hanno rinunciato alla domanda volta ad ottenere il risarcimento del danno, mentre hanno insistito nella domanda volta ad ottenere l’ordinanza ingiuntiva del provvedimento.

Le parti evocate in giudizi hanno insistito per il rigetto del ricorso.

Infine nella camera di consiglio indicata in premessa la causa è stata posta in decisione.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è in parte improcedibile, e per il resto fondato nei sensi e nei limiti di seguito indicati.

1.1. Nella parte relativa alla domanda volta ad ottenere il risarcimento del danno, il ricorso è divenuto improcedibile.

Le ricorrenti vi hanno, infatti, espressamente rinunciato (con dichiarazione verbalizzata) nel corso del giudizio.

1.2. Nella parte relativa alla domanda volta ad ottenere la pronunzia dell’illegittimità del silenzio, il ricorso è fondato, nei sensi e nei limiti che si passa ad indicare.

Le ricorrenti lamentano violazione, per mancata applicazione, dell’art.4, comma 5, della L. reg. Lazio n.30 del 1998, dell’art.87 del codice della strada e dell’art.23 bis del DL 25.6.2008 n.112 (convertito in L. 6.8.2008 n.133), nonché violazione degli artt. 2 e segg. della L. 7.8.1990 n.241, deducendo:

– che, in conformità ed in attuazione alla citata normativa di settore, l’Amministrazione aveva (ed ha) l’obbligo: a) di adottare tutti i necessari provvedimenti volti ad inibire alla società controinteressata la prosecuzione dell’attività di esercizio di cc.dd. "servizi di linea granturismo"; b) di comminare a loro carico la sanzione prevista dal codice della strada (sospensione della carta di circolazione da due a otto mesi) per l’esercizio abusivo di tale attività;

– che esse (ricorrenti) hanno interesse, in quanto esercenti la medesima attività d’impresa (e dunque concorrenti delle società contro interessate), a che l’Amministrazione adotti i provvedimenti in questione;

– di averlo chiesto espressamente, ma di non aver ottenuto alcuna risposta; e di aver pertanto titolo – in conformità ed in attuazione alla citata normativa sul procedimento amministrativo – ad ottenere un’ordinanza giudiziale che stigmatizzi come illegittimo il silenzio e l’inerzia dell’Amministrazione e che ingiunga alla stessa di provvedere.

Nei termini in cui è posta la domanda si appalesa fondata.

1.2.1. Le norme di settore stabiliscono che l’esercizio di "servizi di linea granturismo" è condizionata al preventivo rilascio di un’apposita autorizzazione da parte del Comune.

Le ricorrenti affermano che la società T.O. s.p.a – peraltro controllata dal Comune e beneficiaria di aiuti pubblici (atti a distorcere la concorrenza) – esercita la predetta attività in mancanza del prescritto titolo; e chiedono – essendo concorrenti nel mercato e avendo dunque titolo (in quanto portatrici di un interesse differenziato) per farlo – l’intervento dell’Amministrazione, in funzione di controllo, inibitoria e sanzionatoria.

E poiché la loro domanda appare – per un verso – sorretta da un interesse specifico meritevole di tutela; e – per altro verso – conforme (rectius: aderente) a disposizioni di legge che attribuiscono all’Amministrazione poteri di controllo, non appare revocabile in dubbio che Esse meritassero almeno una risposta.

Ed invero, al riguardo, la giurisprudenza afferma costantemente:

– che "é illegittimo il silenzio serbato dall’amministrazione sull’istanza di un privato, essendo necessario che sulla stessa essa si pronunci, in modo positivo o negativo" (Consiglio Stato, sez. IV, 16 ottobre 2006, n. 6168);

– che "l’obbligo di provvedere da parte dell’amministrazione sull’istanza del privato, la cui violazione rileva come ipotesi di silenziorifiuto, è costituito non solo da quello che deriva dalla legge ma anche da quello che discende da principi generali, ovvero dalla peculiarità della fattispecie, per la quale ragioni di giustizia o riconducibili a rapporti esistenti (id est: a cc.dd. "obbligazioni da contatto" NdR) tra amministrazione e amministrati impongano l’adozione di un provvedimento, soprattutto al fine di consentire all’interessato di adire la giurisdizione per la tutela delle proprie ragioni" (T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 17 gennaio 2007, n. 315);

1.2.2. Quanto alla questione delle modalità di formazione del c.d. "silenziorifiuto", la normativa vigente, correttamente invocata dalle ricorrenti, stabilisce:

– che ogni procedimento avviato (o che prenda o che debba prendere avvio) in forza di una norma vigente, deve concludersi con un provvedimento espresso entro il termine previsto dalla normativa di settore che lo regola; ovvero, in mancanza di tassative previsioni al riguardo, entro il termine fissato dalla stessa Amministrazione con apposito regolamento o (nel caso in cui manchi anche il regolamento sui termini procedimentali) con atto provvedimentalead hoc;

– e che nell’ipotesi estrema in cui manchi qualsiasi disposizione (di legge, regolamentare o provvedimentale) relativa al termine di conclusione del procedimento, quest’ultimo deve essere concluso entro e non oltre trenta giorni dalla proposizione dell’istanza.

E poiché nella fattispecie dedotta in giudizio l’Amministrazione non ha fissato (con regolamento o con atto provvedimentale ad hoc) il termine di conclusione del procedimento, non appare revocabile in dubbio – in mancanza di specifiche norme di settore al riguardo – che esso avrebbe dovuto essere concluso entro trenta giorni dall’istanza del ricorrente.

Il che non è avvenuto.

1.2.3. Per completezza espositiva va sottolineato che il Collegio non ritiene che sussistano le condizioni per decidere nel merito, ai sensi dell’art.31 del c.p.a., anche sulla fondatezza della c.d. pretesa sottostante delle ricorrenti (id est: quella volta ad ottenere una pronunzia che dichiari, più specificamente, l’obbligo dell’Amministrazione di adottare proprio e precisamente i provvedimenti inibitori e sanzionatori invocati).

Al riguardo la giurisprudenza afferma:

– che "nell’ambito di un giudizio che abbia ad oggetto il silenziorifiuto della p.a. a provvedere, la pronuncia del giudice si limita, di regola, soltanto all’accertamento dell’effettivo e perdurante inadempimento, in quanto finalizzata all’ottenimento di un provvedimento esplicito che elimini lo stato di inerzia illegittima" (T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 24 aprile 2007, n. 3674);

– che "in tema di silenzio, l’art. 2 comma 5, l. 7 agosto 1990 n. 241, secondo il quale il giudice " può " conoscere della fondatezza dell’istanza, è da intendersi nel senso che non può sorgere alcuna pretesa di valutazione della fondatezza dell’istanza se, per essa, è necessario acquisire gli elementi istruttori demandati ad un procedimento che o non si è mai svolto o si è svolto in modo incompleto senza giungere alla sua naturale conclusione con l’emanazione del provvedimento; infatti, in questi casi, il ricorrente non potrà ottenere una pronuncia sulla fondatezza della propria istanza perché il sorgere della situazione soggettiva che si vuole conseguire è, strutturalmente, condizionata alla formazione di atti e provvedimenti non ancora esistenti o all’effettuazione di valutazioni discrezionali non ancora compiute" (T.A.R. Sicilia Palermo, sez. II, 20 ottobre 2006, n. 2352);

– che "nei ricorsi giurisdizionali proposti a seguito del silenziorifiuto, il giudice adito non può sindacare il merito del procedimento amministrativo non portato a compimento, ma si deve limitare a valutare l’astratta accoglibilità della domanda del privato, in caso contrario finendo per sostituirsi radicalmente agli organi d’amministrazione attiva ed operando così apprezzamenti e scelte discrezionali d’esclusiva competenza di questi ultimi" (Consiglio Stato, sez. IV, 19 febbraio 2007, n. 866);

– che "il giudizio avverso il silenziorifiuto della P.A., disciplinato dall’art. 2, legge n. 205/2000, non comporta il potere per il giudice di stabilire il contenuto concreto del provvedimento che l’amministrazione avrebbe dovuto emanare a seguito dell’istanza del privato. Il processo sul silenziorifiuto della P.A. è, infatti, diretto solo a indurre l’amministrazione a esprimersi sollecitamente sull’istanza del privato, mentre l’amministrazione competente conserva, pur dopo la sentenza che annulla un silenziorifiuto e fino all’insediamento del commissario, il potere di provvedere sull’istanza del privato" (Consiglio Stato, sez. VI, 02 febbraio 2007, n. 427).

Ora, allo stato degli atti il Collegio non ritiene di avere sufficienti elementi di giudizio per affermare che l’adozione dei provvedimenti inibitori e sanzionatori richiesti dalle ricorrenti siano effettivamente "atti dovuti", essendo necessario – al riguardo – esperire la necessaria attività istruttoria e di accertamento. Appare opportuno – dunque – che l’Amministrazione verifichi se quanto affermato dalle ricorrenti risponde a verità; e che chiarisca, in caso affermativo, le ragioni giuridiche sulle quali si fonda il suo eventuale rifiuto a provvedere in conformità alle loro richieste.

Da quanto fin qui osservato consegue che il ricorso in esame va accolto solamente nella parte in cui è diretto ad ottenere una pronuncia giudiziale che stigmatizzi come illegittima l’inerzia dell’Amministrazione, la quale, pertanto, dovrà conformarsi al giudicato adottando un provvedimento idoneo ad infrangere l’illegittimo silenzio finora serbato.

2. In considerazione delle superiori osservazioni il ricorso va dichiarato in parte improcedibile (con riferimento alla domanda volta ad ottenere il risarcimento dei danni), e per il resto va accolto, nei limiti e nei sensi indicati in motivazione.

Conseguentemente va dichiarato l’obbligo dell’Amministrazione di provvedere espressamente sull’istanza per cui è causa, assegnando all’uopo all’onerata – ai sensi dell’art.117, 2° comma, del c.p.a. – il termine di trenta giorni decorrenti dalla notifica, a cura delle ricorrenti, della presente sentenza.

Infine, si ravvisano giuste ragioni – correlate al tortuoso andamento dell’orientamento giurisprudenziale (peraltro collegato alle innovazioni normative che hanno riguardato l’intera materia ed il rito processuale) – per compensare le spese fra le parti.

P.Q.M.

Dichiara il ricorso in parte improcedibile; e per il resto lo accoglie, dichiarando l’obbligo dell’Amministrazione di provvedere sull’istanza del ricorrente entro il termine e con le modalità stabilite in motivazione.

Compensa le spese fra le parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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