T.A.R. Lazio Roma Sez. II, Sent., 31-10-2011, n. 8320 Assegnazione di alloggi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

In data 1.5.1980 l’Istituto Autonomo Case Popolari della Provincia di Roma assegnava al Sig. F.F. – padre del ricorrente – l’immobile sito in Roma, Via del Peperino n.4 (lotto B, scala M, interno 10).

Il 24.11.1982 detto assegnatario proponeva "domanda di cambio consensuale" del suo alloggio con quello della Sig.ra Teresa Voto, assegnataria dell’alloggio sito in Roma, Via dell’Usignolo n.3 (ed.E, scala B, interno 9), oggi (rinominata) Via delle Paradisee n.3 (pal.C, scala B, interno 9).

Nel 2000, a causa di divergenze con la moglie (sfociate poi in separazione e successivo divorzio), il ricorrente, Sig. S.F., rientrava nella casa paterna (in Via delle Paradisee) ricongiungendosi all’originario nucleo familiare.

Il padre del ricorrente comunicava all’Amministrazione tale situazione.

A seguito della morte dei genitori il ricorrente continuava ad abitare nell’alloggio per cui è causa, pagando il relativo canone.

Con nota prot. 32625 del 10.9.2010, notificata il 12.10.2010, la Direzione Politiche Abitative del Comune comunicava al ricorrente l’avvio del procedimento volto al rilascio dell’immobile, a cagione della sua occupazione abusiva.

In pari data l’Amministrazione sporgeva querela contro il ricorrente per il reato di cui all’art.633 del codice penale.

Con nota prot. 38427 del 12.10.2010 la Direzione Politiche Abitative del Comune di Roma diffidava il ricorrente al rilascio dell’immobile.

A questo punto, in data 16.10.2010 il ricorrente avanzava, tramite il suo legale, "domanda di voltura" del contratto.

Infine, con nota n.41631 del 7.9.2010 l’Amministrazione adottava il provvedimento impugnato, con cui ha definitivamente intimato al ricorrente di rilasciare l’immobile entro e non oltre quindici giorni, con avviso che in caso contrario avrebbe proceduto all’esecuzione anche forzosa e senza ulteriori avvisi.

Con il ricorso in esame il ricorrente ne chiede l’annullamento, con vittoria di spese, per le conseguenti statuizioni di condanna.

Ritualmente costituitasi, l’Amministrazione ha eccepito l’infondatezza del ricorso chiedendone il rigetto con vittoria di spese.

Nel corso del giudizio le parti hanno insistito nelle rispettive domande ed eccezioni.

Con ordinanza n.5504 del 20.12.2010 questo TAR ha accolto la domanda cautelare avanzata dal ricorrente.

Infine, all’udienza del 13.7.2011, la causa è stata posta in decisione.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è infondato.

1.1. Con il primo mezzo di gravame il ricorrente lamenta violazione della legge regionale n.12 del 1999, eccesso di potere per difetto di istruttoria, deducendo di aver diritto a subentrate (mediante ottenimento della "voltura" del contratto) nel rapporto di locazioneassegnazione già instauratosi fra suo padre (ormai defunto, del quale è erede) e l’Amministrazione.

La doglianza non può essere condivisa.

Dall’istruttoria è emerso che anche il padre del ricorrente occupava senza titolo l’alloggio, posto che il c.d. "cambio consensuale di alloggio" che Egli aveva effettuato in accordo con la formale intestataria (alla quale aveva ceduto il suo, sito in Roma, Via del Peperino n.4, in cambio di quello per cui è causa) non è stato mai autorizzato dall’Istituto Autonomo Case Popolari di Roma, né dall’attuale concessionariogestore.

Sicchè appare evidente che anche il ricorrente è subentrato nella situazione irregolare del padre; e che come quest’ultimo occupa sine titulo l’alloggio in questione.

Alloggio del quale l’Amministrazione chiede legittimamente – pertanto – di rientrare in possesso.

1.2. Con il secondo mezzo di gravame il ricorrente lamenta la lesione del c.d. "diritto alla casa" ed eccesso di potere per difetto di istruttoria, deducendo di essere "un soggetto socialmente debole, divorziato, con un figlio a suo carico e invalido al 50%".

La doglianza non merita accoglimento.

Nessun soggetto – per quanto socialmente debole – ha il diritto di occupare abusivamente un alloggio popolare.

E dalla situazione di disagio che il ricorrente descrive, non sorge automaticamente il diritto di ottenere un alloggio popolare; né, comunque, di ottenerlo anche in deroga alla normativa di settore e ledendo eventuali diritti o legittime aspettative di altri soggetti (che vantino "maggior titolo").

1.3. Con il terzo mezzo di gravame il ricorrente lamenta eccesso di potere e violazione di legge (artt.3 e 21 ter della L. n.241 del 1990) per lesione del diritto di difesa, deducendo che nell’impugnato provvedimento non è stato indicato il termine entro cui era possibile impugnarlo innanzi al TAR.

La doglianza è inammissibile per difetto d’interesse.

1.3.1. Il vizio non ha impedito, infatti, il concreto esercizio del diritto di difesa, com’è dimostrato dal fatto che il ricorrente ha impugnato tempestivamente il provvedimento.

Il che evidenzia come non vi sia alcun concreto interesse, attuale e diretto, alla coltivazione della doglianza.

1.3.2. In ogni caso, secondo un principio giurisprudenziale costituente ormai jus receptum nell’Ordinamento, la mancata indicazione del termine per l’impugnazione nel contesto provvedimentale non determina l’inefficacia del provvedimento, né lo rende illegittimo, ma sospende convenzionalmente il decorso del tempo ai fini dell’impugnazione (id est: faculta il ricorrente ad impugnare anche oltre il prescritto termine decadenziale).

Sicchè il provvedimento resiste alla doglianza sotto ogni profilo

1.4. Con il quarto mezzo di gravame il ricorrente lamenta violazione degli artt.3 ed 11 della L. n.241 del 1990, violazione dei principii generali posti a garanzia del c.d. "giusto procedimento" ed eccesso di potere per difetto di motivazione, deducendo che dal provvedimento non si comprende la ragione per la quale il destinatario sia stato considerato "occupante abusivo".

La doglianza non merita accoglimento.

1.4.1. Prima dell’adozione del provvedimento definitivo, l’Amministrazione comunale di Roma ha provveduto a comunicare al ricorrente l’avvio del procedimento (note prot.32625 del 12.10.2010 del Dipartimento del Patrimonio e della Casa – Direzione Politiche Abitative; e prot. TCR 10/23775 del 12.10.2010) informandolo della circostanza che ad avviso della stessa Egli occupa abusivamente l’alloggio ed invitandolo a prendere visione della documentazione dimostrativa relativa all’assunto (e a fornire eventuali chiarimenti, documenti o note difensive al riguardo).

E poiché il provvedimento impugnato fonda la sua specifica motivazione proprio sulla documentazione dimostrativain questione (dalla quale emerge la carenza originaria di titolo del dante causa dell’odierno occupante), il ricorrente – che ha partecipato al procedimento (producendo documenti volti a giustificare la sua condotta) e che pertanto ben conosce la posizione argomentativa dell’Amministrazione – non può credibilmente affermare di non aver compreso la ragione per la quale gli viene intimato il rilascio.

1.4.2. D’altro canto l’affermazione contenuta nel provvedimento conclusivo, secondo cui il ricorrente occupa abusivamente l’alloggio, era (ed è) di per sé sufficiente chiara ed idonea a far comprendere cosa l’Amministrazione stesse contestando, essendo evidente che l’onere di dimostrare la sussistenza del (rectius: l’onere di mostrare il) legittimo titolo di occupazione di un alloggio popolareincombe comunque (anche) su chi lo abita e non già (esclusivamente) sull’Ente pubblico proprietario o sul soggetto concessionario gestore (che chieda all’occupante di giustificare le ragioni dell’occupazione).

Argomento, questo, che trancia ogni ulteriore questione in ordine alla intelligibilità della richiesta dell’Amministrazione.

Ed alla comprensibilitàdella motivazione del provvedimento, chiaramente basato sul fatto che alla richiesta di mostrare il (o di dimostrare la sussistenza di un legittimo) titolo fondativo dell’occupazione, l’occupante non ha potuto né saputo fornire adeguata (rectius: alcuna) risposta.

1.5. Con il quinto mezzo di gravame il ricorrente lamenta violazione degli artt.7, 10 ed 11 della L. n.241 del 1990 ed eccesso di potere per carenza istruttoria, deducendo:

a) che egli non è stato posto nelle condizioni di partecipare al procedimento;

b) e che l’Amministrazione non ha tenuto in considerazione le sue argomentazioni e la documentazione da lui prodotta (per dimostrare la regolarità della sua occupazione).

La doglianza non merita accoglimento.

1.5.1. Lo stesso ricorrente ammette di aver partecipato al procedimento producendo documenti volti a dimostrare la regolarità della sua posizione.

Il che rende contraddittorio il primo profilo di doglianza.

1.5.2. Il ricorrente ammette, poi, che dal provvedimento emerge che l’Amministrazione lo ha adottato in quanto ha ritenuto che Egli non abbia prodotto alcuna utile controdeduzione in merito alle contestazioni mossegli.

Il che sconfessa – in buona sostanza – anche il secondo profilo di doglianza, essendo evidente che l’Amministrazione ha adottato il provvedimento non già in carenza di istruttoria (e in assenza di ponderate valutazioni), ma in quanto ha ritenuto – proprio a seguito di un analitico esame – che i documenti prodotti dal ricorrente non fossero idonei a "sanare" l’originaria carenza di titolo del suo dante causa, posto che non è mai intervenuto un provvedimento amministrativo che lo autorizzasse formalmente ad effettuare il c.d. "cambio consensuale" di alloggio.

1.6. Con il sesto mezzo di gravame il ricorrente lamenta la violazione del principio della tutela dell’affidamento, deducendo che – con il suo comportamento acquiescente – l’Amministrazione ha ingenerato in lui la convinzione di aver ottenuto l’autorizzazione ad abitare nell’alloggio.

La doglianza non può essere condivisa.

1.6.1. Il padre del ricorrente sapeva perfettamente:

di aver proposto una domanda alla quale l’Amministrazione non ha mai risposto affermativamente (e cioè di non aver mai ottenuto un formale provvedimento di autorizzazione al c.d. "cambio consensuale" dell’alloggio popolare che gli era stato concesso);

e dunque di occupare sine titulo l’alloggio per cui è causa.

E poiché il ricorrente ha acquisito, in qualità di erede, la medesima posizione giuridica del (de cuius) suo "dante causa", non può affermare di essere stato in buona fede.

1.6.2. Per il resto, l’avvenuta proposizione da parte del ricorrente della domanda di volturazione del contratto (in suo favore ed a suo nome), non dimostra affatto che Egli sia stato e fosse in buona fede; né ha potuto determinare in Lui un plausibile affidamento (o una legittima aspettativa).

La domanda è stata presentata, infatti, dal ricorrente solamente dopo la ricezione della comunicazione dell’avvio del procedimento a suo carico e dopo la prima diffida a rilasciare l’immobile.

E poiché l’Amministrazione non ha risposto proprio perché aveva ormai "azionato" la sua pretesa recuperatoria (dichiaratamente basata sull’abusività dell’occupazione), non si vede come (dalla data di avvenuta proposizione della domanda di volturazione) il ricorrente possa aver maturato un affidamento in ordine alla regolarità e/o addirittura alla regolarizzabilità della sua posizione.

Né può aver ingenerato alcun affidamento il fatto che la c.d. "bollettazione" emessa dall’Amministrazione abbia sempre fatto riferimento, come causale, al "pagamento del canone di locazione".

E’ infatti evidente che i "bollettini" in questione non sono atti negoziali aventi funzione ricognitiva (o addirittura costitutiva) di diritti.

1.7. Con il settimo mezzo di gravame il ricorrente lamenta eccesso di potere per disparità di trattamento, deducendo che in casi analoghi l’Amministrazione ha concesso la "sanatoria" di cui alla L. reg. Lazio n.26 del 2007.

La doglianza non merita accoglimento.

1.7.1. Lo stesso ricorrente ammette di non aver potuto presentare la c.d. "domanda di sanatoria" (rectius: di "regolarizzazione") in quanto alla data del 20 novembre 2006 risiedeva con il padre nell’alloggio per cui è causa.

Senonchè tale argomentazione appare incongrua.

Se, infatti, a quella data il ricorrente occupava abusivamente l’alloggio, seppur con il padre, ben avrebbe potuto avanzare la domanda di regolarizzazione.

In ogni caso avrebbe dovuto (e potuto) presentarla il padre, occupante abusivo.

1.7.2. La doglianza è comunque inammissibile (per genericità) in quanto il ricorrente omette di indicare nominativamente i soggetti che, a parità di condizioni, sarebbero stati beneficiati.

2. In considerazione delle superori osservazioni, il ricorso va respinto.

Si ravvisano giuste ragioni per compensare le spese fra le parti.

P.Q.M.

definitivamente pronunciando, respinge il ricorso in esame.

Compensa le spese fra le parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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