Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 20-04-2011) 03-10-2011, n. 35707 Reato continuato e concorso formale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di appello di Trieste, con sentenza depositata il 24 giugno 2010, ha confermato la sentenza del Tribunale di Trieste del 30 maggio 2007, che ha condannato D.V.M.D. alla pena di anni due, mesi due di reclusione ed Euro 800.000 di multa, per il reato di cui agli art. 81 cpv., art. 110 c.p., D.P.R. n. 43 del 1973, art. 291 bis, perchè in concorso con altri introduceva o faceva introdurre, trasportava e comunque detenevano o facevano detenere nel territorio dello Stato Kg. 217 di T.L.E., fatti accertati fino al 25 ottobre 2003. L’imputato, tramite il proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione chiedendo l’annullamento della sentenza per i seguenti motivi:

1. Violazione di legge ed l’illogicità della motivazione in riferimento agli artt. 533, 192 c.p.p. in relazione ai criteri di valutazione della prova, in quanto era necessario che la colpevolezza del ricorrente fosse provata al di là di ogni ragionevole dubbio, mentre risultava dalla motivazione del provvedimento che i giudici hanno disatteso la versione fornita dall’imputato in ordine alla sua presenza nel luogo del commesso reato, ritenuta irrilevante sulla base di una regola di probabilità statistica che risulta invece mera congettura; mancherebbero indizi gravi, precisi e concordanti;

2. Violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) in relazione all’art. 133 c.p. per erronea applicazione della legge penale, in ordine ai criteri di determinazione della pena, non essendo stati considerati gli elementi indicati nella disposizione.

Motivi della decisione

1. Il motivo di ricorso avanzato dall’imputato risulta infondato, in quanto si risolve nell’invocare una valutazione in ordine al contesto probatorio diversa, e più favorevole, da quella effettuata dai giudici di merito; tale prospettazione, in quanto comporta una rilettura degli elementi di fatto, esula dal controllo della Suprema Corte (cfr. Sez. 5, n. 7569 del 21/4/1999, Jovino, Rv. 213638).

Compito del giudice di legittimità è infatti quello di stabilire se i giudici di merito abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione e se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, applicando in maniera esatta le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre. Nè può costituire vizio della motivazione qualunque omissione valutativa che riguardi singoli dati estrapolati dal contesto, in quanto è solo l’esame del complesso probatorio entro il quale ogni elemento sia contestualizzato che consente di verificare la consistenza e la decisività degli elementi medesimi, oppure la loro ininfluenza ai fini della compattezza logica dell’impianto argomentativo della motivazione (Sez. 2, n. 18163 del 22/4/2008, Ferdico, Rv. 239789).

Orbene, non sussiste la violazione delle regole stabilite in ordine ai criteri di valutazione della prova, mentre il dedotto vizio di motivazione dissimula una mera critica alle posizioni probatorie che spettano al giudice di merito, e che sono state trasfuse in una diffusa e perspicua trama argomentativa, immune da vizi di sorta, oltre che aderente alle risultanze acquisite.

La sentenza impugnata, infatti, nel confermare le valutazioni già esposte dal giudice di prime cure, ha fornito compiuta risposta alle doglianze già avanzate con i motivi di appello, evidenziando come la sorpresa in flagranza nel garage dapprima del complice B., intento a scaricare il carico di TLE, il quale aveva ammesso i fatti fornendo indicazioni, seppure generiche, anche sui "lombardi" che avrebbero ritirato la merce con un Fiorino, e due giorni dopo dello stesso ricorrente che, con il complice M., era venuto a prelevare il carico con un furgone tipo Fiorino, unitamente ai riscontri forniti dagli acclarati contatti telefonici con utenze slovene, area di provenienza del carico di T.L.E., erano tutti elementi che dimostravano la responsabilità dello stesso per il reato ascritto.

I giudici di appello hanno anche spiegato le ragioni per le quali hanno ritenuto di dover disattendere la giustificazione, priva di altri riscontri, fornita dall’imputato, in merito all’accertata condotta di arrivo con il furgone all’ingresso del garage e alla predisposizione al carico (era stato aperto il portellone del mezzo), relativa alla sua diversa intenzione di caricare del vino che si doveva trovare in tale garage; tali ragioni non sono state fondate su massime di esperienza, come asserito nel ricorso, ma sono state rese evidenti attraverso un percorso argomentativo di convincente logicità. 2. Quanto al secondo motivo di ricorso, con lo stesso si finisce per invocare una nuova valutazione circa i criteri che i giudici di merito hanno posto a base della dosimetria della pena, criteri aderenti alle risultanze acquisite, indicati espressamente nella sentenza.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato ed al rigetto consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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