Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 20-04-2011) 03-10-2011, n. 35706 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto Uso personale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La Corte di appello di Palermo, con sentenza del 16 aprile 2010 ha confermato la sentenza del G.U.P. presso il Tribunale di Palermo del 10 marzo 2009, che, all’esito del rito abbreviato ha condannato G.R., previo riconoscimento dell’ipotesi attenuata di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5 e delle circostanze attenuanti generiche, alla pena di mesi cinque e giorni dieci di reclusione ed Euro 1.400,00 di multa, per il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, fatto commesso a (OMISSIS).

2. L’imputato ha proposto ricorso per cassazione chiedendo l’annullamento della sentenza per la violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. a) ed e), in relazione all’art. 192 c.p.p., D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5 e art. 75, in quanto la sentenza ha svolto una motivazione apparente ed inoltre la stessa è stata basata su un isolato arresto giurisprudenziale; inoltre le argomentazioni svolte risulterebbero in contrasto con i dati probatori raccolti attraverso le indagini difensive, in quanto i giudici avrebbero tenuto in considerazione le dichiarazioni rese dai testi L.R. e P., utilizzandole in modo distorto. Dalle dichiarazioni rese dal testi, infatti si poteva evincere come l’acquisto dello stupefacente da parte dell’imputato fosse finalizzato in via esclusiva al consumo di gruppo; infatti, alla luce della giurisprudenza più recente, la detenzione di un quantitativo di droga eccedente la quantità necessaria per un immediato e personale consumo non è sanzionabile penalmente allorchè alla luce degli elementi di fatto possa ritenersi che si tratti di scorta o di provvista destinata al consumo di gruppo, per cui la codetenzione deve considerarsi un mero illecito amministrativo; tale tesi sarebbe valida anche dopo le modifiche intervenute con la novella del 2006 (così Cass. sez. 6, n. 29174 del 10/3/2008, Rv.240580).

Motivi della decisione

1. Osserva la Corte che il ricorso è infondato.

La censura relativa alla motivazione apparente è infondata: infatti deve essere ribadito il principio che nel caso in cui le sentenze di primo e secondo grado concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente e forma con essa un unico complessivo corpo argomentativo (cfr. Sez. 4, n. 15227 dell’11/4/2008, Baretti, Rv. 239735; Sez. 6, n. 1307 del 14/1/2003, Delvai, Rv. 223061). Tale integrazione tra le due motivazioni si verifica allorchè i giudici di secondo grado abbiano esaminato le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli usati dal primo giudice e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione e, a maggior ragione, quando i motivi di appello non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione di primo grado (Cfr. la parte motiva della sentenza Sez. 3, n. 10163 del 12/3/2002, Lombardozzi, Rv. 221116). Il principio va riaffermato e in un caso come quello di cui si tratta l’integrazione è ben possibile, in quanto la sentenza di appello ha espressamente richiamato la decisione di primo grado in riferimento alla ricostruzione in punto di fatto, all’analisi delle risultanze probatorie, esprimendo la propria condivisione per le considerazioni valutative e l’applicazione dei principi di diritto esposti ed ha sviluppato una propria autonoma argomentazione, all’esito dell’esame della censura avanzata dall’appellante.

2. La prospettazione difensiva dell’interpretazione giurisprudenziale in materia di acquisto di sostanza stupefacente per uso di gruppo, che avrebbe dovuto indurre i giudici di appello ad assolvere il ricorrente dal reato di acquisto detenzione e cessione di sostanza stupefacente come contestata non appare corretta.

Di fatti, se pure è vero che sussistono nella giurisprudenza di questa Corte orientamenti non omogenei circa l’ambito di criminalizzazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1 bis, lett. a) dopo le modifiche apportate dalla legge 21 febbraio 2006, n. 49, in relazione all’uso di gruppo, è anche vero che l’orientamento più "favorevole" risulta affidato ad una sola pronuncia (Sez. 6, n. 8366 del 26/01/2011 P.G. in proc. D’Agostino, Rv. 249000) che ha ritenuto non punibile la condotta riferibile ad una situazione individuata nel cd. "mandato di acquisto collettivo", ponendosi in contrasto consapevole con la precedente decisione della Sez. 2, n. 23574 del 6/5/2009, Mazzuca (Rv. 244859) la quale ha escluso, invece, che possa essere ravvisato un uso "esclusivamente personale" della sostanza stupefacente (dizione che sarebbe stata espressamente indicata dal legislatore ai fini dell’irrilevanza penale della condotta) in caso di acquisto di droga per consumo di gruppo. Tale sentenza è stata seguita anche da altre pronunce, che hanno ribadito la penale rilevanza della detenzione di sostanza stupefacente destinata al cosiddetto uso di gruppo (cfr. Sez. 3, n. 7971 del 13/1/2011, Vanghetti, Rv. 249326, Sez. 3, n. 26697 del 2/3/2011, Simonetti, non mass.) ed hanno precisato che l’avverbio esclusivamente assume un significato particolarmente pregnante, proprio sotto il profilo semantico, perchè una cosa è l’uso personale di droga, "altra e ben diversa cosa è l’uso esclusivamente personale, frase che proprio in virtù dell’avverbio non può che condurre ad una interpretazione più restrittiva rispetto a quella che, sotto la previgente normativa, veniva data dal sinallagma uso personale". 3. Ritiene questo Collegio di dover confermare l’orientamento più restrittivo, già espresso da Questa Sezione, per le valutazioni che seguono.

Il precedente assetto interpretativo, che era stato raggiunto sulla formulazione previgente delle disposizioni di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, era stato cristallizzato dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 4 del 28 maggio 1997, PM in proc. Iacolare, Rv.208216 ("Non sono punibili – e rientrano pertanto nella sfera dell’illecito amministrativo di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 75 – l’acquisto e la detenzione di sostanze stupefacenti destinate all’uso personale che avvengano sin dall’inizio per conto e nell’interesse anche di soggetti diversi dall’agente, quando è certa fin dall’inizio l’identità dei medesimi nonchè manifesta la loro volontà di procurarsi le sostanze destinate al proprio consumo"), seguito da numerose, e conformi, pronunce delle diverse Sezioni di Questa Corte, in base alle quali l’acquisto e la detenzione di sostanze stupefacenti effettuate per conto e nell’interesse anche di soggetti diversi dall’agente erano da considerare destinati all’uso personale, sempre che fosse certa, da epoca precedente all’acquisto, l’identità degli stessi e la loro volontà di procurarsi le sostanze destinate al proprio consumo.

Successivamente il legislatore, con il D.L. 30 dicembre 2005, n. 272 (recante Misure urgenti per garantire la sicurezza ed i finanziamenti per le prossime Olimpiadi invernali, nonchè la funzionalità dell’Amministrazione dell’interno. Disposizioni per favorire il recupero di tossicodipendenti recidivi) convertito con L. 21 febbraio 2006, n. 49, ha introdotto una serie di modifiche, contenute in un emendamento governativo sul quale fu posta la fiducia; tali modifiche, come desumibile anche dalla lettura del dibattito del 26 gennaio 2006 nell’aula parlamentare del Senato, evidenziano una chiara ratio legis di tipo restrittivo ("perseguire il reato di spaccio"), anche in riferimento al diritto vivente, che escludeva la responsabilità penale per la detenzione finalizzata all’uso di gruppo (si veda intervento sen. Predese). Se pure è ben noto che i lavori parlamentari possono solo costituire un mero ausilio all’opera interpretativa del giudice, la formulazione vigente della disposizione incriminatrice, contestata nel caso di specie, non appare lasciare adito a dubbi ed il comma 1 bis recita: "è punito chiunque, senza l’autorizzazione di cui all’art. 17, importa, esporta, acquista, riceve a qualsiasi titolo o comunque illecitamente detiene" … sostanze stupefacenti o psicotrope che per quantità, "ovvero per modalità di presentazione, avuto riguardo al peso lordo complessivo o al confezionamento frazionato, ovvero per altre circostanze dell’azione, appaiono destinate ad un uso non esclusivamente personale".

Ora se è vero che, nell’opera di interpretazione della legge, il giudice deve sempre essere guidato dalla esigenza di rispettare i precetti costituzionali e, quindi, ove una interpretazione appaia configgente con uno di essi, è tenuto ad adottare letture alternative della disposizione normativa maggiormente aderenti al parametro costituzionale che possa apparire vulnerato, non sembra davvero che la fattispecie incriminatrice sopra richiamata difetti dei requisiti di determinatezza richiesti dall’art. 25 Cost. perchè avrebbe dovuto affermare in termini espliciti l’illiceità penale dell’uso di gruppo, come asserito nella parte motiva della decisione n. 8366 del 2011. Infatti nella fattispecie viene tipizzata la condotta monosoggettiva di esportazione, acquisto e ricezione di sostanza stupefacente destinata ad uso "non esclusivamente personale", per cui risulta più che evidente la criminalizzazione dei comportamenti aventi per oggetto materiale sostanza stupefacente destinata all’uso "altrui".

Ma v’è di più. La Corte Costituzionale, con la nota sentenza n. 360 del 1995, nel dichiarare l’infondatezza della denunciata disparità di trattamento in ragione della non comparabilità della condotta delittuosa di "coltivazione", prevista dal testo allora vigente del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, con la detenzione, l’acquisto e l’importazione di sostanze stupefacenti per uso personale, precisò che tali ultime condotte sono "collegate immediatamente e direttamente all’uso stesso, e ciò rende non irragionevole un atteggiamento meno rigoroso del legislatore nei confronti di chi, ponendo in essere una condotta direttamente antecedente al consumo, ha già operato una scelta che, ancorchè valutata sempre in termini di illiceità, l’ordinamento non intende contrastare nella più rigida forma della sanzione penale, venendo in rilievo, in un contesto emergenziale di contingente aggravamento delle conseguenze delle tossicodipendenze, il rischio alla salute dell’assuntore ove ogni condotta immediatamente antecedente al consumo fosse assoggettata a sanzione penale". Tale considerazione rappresenta un argomento per ritenere del tutto speciale e specifica la ratio per la quale l’uso esclusivamente personale, vada posto in riferimento solo con il singolo autore della condotta tipica. Nè elementi per una diversa scelta interpretativa possono essere tratti dalla decisione delle Sez. U, Sentenza n. 28605 del 24/4/2008, Di Salvia, Rv. 239921, che ha attentamente esaminato la novella legislativa del 2006, in riferimento all’ipotesi di coltivazione di piante da stupefacenti.

4. D’altra parte l’orientamento giurisprudenziale, per così dire più favorevole all’orientamento giurisprudenziale in tema di destinazione della droga a uso di gruppo, formatosi nel vigore della precedente disciplina, riteneva che il cd. uso di gruppo, qualora sia, per così dire, "premeditato" e predisposto dal punto di vista materiale attraverso la raccolta delle somme per l’acquisto, sia anche una forma di destinazione e consumo "esclusivamente personale".

Seguendo tale iter argomentativo la citata sentenza n. 8366 ha affermato che i requisiti per ritenere sussistente il cd. "mandato all’acquisto collettivo sono: 1) che l’acquirente-mandatario sia anch’egli uno degli assuntori della sostanza stupefacente; 2) che sia certa "sin dall’inizio l’identità dei componenti il gruppo, nonchè manifesta la comune e condivisa volontà di procurarsi la sostanza destinata al paritario consumo personale e si sia del pari raggiunta un’intesa in ordine al luogo ed ai tempi del relativo consumo"; 3) che non vi siano passaggi mediati di sostanza stupefacente, i quali configurerebbero autonome cessioni penalmente rilevanti. Mentre è stato precisato che rimangono sanzionabili tutte le altre diverse "condotte di consumo di gruppo", ossia le situazioni in cui più persone decidano concordemente di consumare, insieme, sostanza stupefacente, già detenuta da uno di loro, in quanto in tali casi "il cedente è originariamente in posizione di estraneità rispetto agli altri consumatori, i quali, pertanto, non possono in alcun modo essere considerati come codetentori della sostanza fin dal momento dell’acquisto, da cui essi fruitori sono rimasti estranei" (cfr. parte motiva della sentenza n. 8366 del 2011).

5. Tale percorso argomentativo non può essere condiviso e non solo perchè l’interpretazione sopra indicata è quella più direttamente ricavabile dal dettato normativo.

Innanzitutto la costruzione prima formulata favorevole all’uso di gruppo (se pure circoscritto agli elementi prima descritti) presuppone la creazione di un istituto (il cd. "mandato di acquisto collettivo") che non può essere introdotto alla luce della stessa teoria del negozio giuridico di diritto civile: si tratterebbe di un mandato in rerum propria avente oggetto illecito (la cessione di sostanza stupefacente) e, come tale, radicalmente nullo ed improduttivo di effetti, nullità – peraltro -rilevabile di ufficio.

Nel caso di acquisto, cessione o altre forme di commercio o scambio di cose delle quali è illecita la detenzione e la loro stessa circolazione, infatti, non può farsi ricorso ad istituti giuridici civilistici per dare una qualche rilevanza (se non liceità) allo scambio/cessione, ma deve essere esaminato il solo fatto materiale del passaggio, indipendentemente dalla qualificazione propria di altro settore (quello civilistico) del diritto: ciò che è indiscusso, e rileva per l’ordinamento penalistico, insomma, è il fatto dell’acquisto o della cessione o della detenzione di una quantità di droga e la successiva suddivisione della stessa, con consegna delle singole dosi ad altri soggetti, a prescindere dalla circostanza che i soggetti riceventi fossero stati parte dell’accordo illecito ed avessero dato, magari, una quota-parte di denaro per pagare la loro frazione di stupefacente (dati che possono avere rilevanza sotto il profilo dell’intensità del dolo od altri aspetti ex art. 62 bis o art. 133 c.p., ad esempio, ma che non possono porre nel nulla le condotte materiali di cessione-ricezione della droga e il suo successivo frazionamento agli altri del lotto acquistato magari solo da uno dei suoi consumatori).

Secondariamente, si darebbe rilevanza esimente all’accordo (illecito) tra gli assuntori, per contestualizzare il proprio consumo, avvalendosi di un solo intermediario, incaricato dell’acquisto: tale accordo preventivo consentirebbe il frazionamento "ideale" dell’intera quantità di droga detenuta dal cd. mandatario che ha provveduto all’acquisto, facendolo diventare il soggetto esponenziale di un "gruppo" e legittimandolo ad acquistare droga per mero "autoconsumo personale di gruppo". Dare rilevanza all’acquisto per conto del gruppo creerebbe, infatti, un possibile sfasamento con l’istituto del concorso di persone nel reato, in quanto, a fronte di possibili condotte di concorso nell’acquisto e nella detenzione di sostanze stupefacenti, l’unione volitiva finirebbe per porre nel nulla sia l’acquisto di una consistente quantità di stupefacente, sia la successiva cessione delle dosi di droga, solo in forza della preordinazione ad un futuro "rituale condiviso" di utilizzazione della droga, facendo assurgere il gruppo al ruolo di soggetto collettivo di un azione scriminata solo in funzione di tali concordate modalità collettive (di uso della sostanza stupefacente), con evidente contrasto con la stessa ratio legis dell’intervento legislativo in materia di stupefacenti e la disciplina generale del concorso di persone nel reato e delle cause di esclusione dell’illecito.

Da ultimo, l’operazione di "frazionamento ideale" della quantità detenuta in virtù del previo accordo, pur limitato alla luce dei requisiti sopraindicati, risulta scardinare l’elemento espressamente indicato nella disposizione di legge, laddove il giudice deve valutare proprio le quantità, le modalità di presentazione, ivi compreso il frazionamento, che è invece radicato sul piano strettamente materiale dell’esame della "res". 6. La sentenza impugnata ha pertanto aderito alla corretta interpretazione della disciplina normativa, richiamando con motivazione più che esaustiva e priva di smagliature logiche, la ricostruzione delle circostanze dell’acquisto della droga (gr. 6,4 circa di marijuana per 28 dosi medie) dalla C., della detenzione di essa e della cessione al P. da parte del ricorrente, già operata dal giudice di prime cure, il quale ha posto in evidenza che l’acquisto e la detenzione di sostanza stupefacente, e la successiva cessione al cd. "mandante", si configurano come condotte penalmente rilevanti. La Corte palermitana ha ritenuto poi che la riforma legislativa ha circoscritto l’ambito sanzionatorio di rilevanza amministrativa in termini di "residualità", alle ipotesi di uso esclusivamente personale, per l’utilizzazione della clausola "in negativo" (l’art. 75 recita: "fuori dalle ipotesi di cui all’art. 73"), con il risultato che è stata attribuita, in via diretta, rilevanza penale a qualsiasi detenzione di droga destinata ad uso promiscuo.

Il ricorso dell’imputato, in conclusione, va respinto e lo stesso va condannato, ex art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 20 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 3 ottobre 2011

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