Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 19-04-2011) 03-10-2011, n. 35705 Reato continuato e concorso formale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di appello di Ancona, in data 9 novembre 2009, in riforma della sentenza emessa, all’esito del rito abbreviato, dal G.i.P. presso il Tribunale di Camerino in data 7 giugno 2004, ha condannato alla pena di anni tre e mesi quattro di reclusione, oltre pene accessorie, C.E., per i reati di cui ai capi seguenti, fatti tutti commessi in Camerino, nella qualità di docente universitario presso la facoltà di giurisprudenza dell’Università di Camerino e come tale pubblico ufficiale: g) del reato di cui agli artt. 81 cpv. e 317 c.p., perchè abusando di tale qualità induceva C.S., già laureata e cultrice della materia di diritto agrario ad effettuare in suo favore, all’interno della sua stanza studio presso la facoltà, prestazioni sessuali in particolare ad avere rapporti orali con il medesimo e a farsi denudare e toccare nelle sue parti intime, fatti commessi fino al luglio 1995; h) del reato di cui all’art. 81 cpv. e art. 317 c.p., perchè abusando di tale qualità, all’interno della sua stanza studio presso la facoltà, dopo essersi denudato e aver mostrato il proprio organo genitale a F.N., studentessa in giurisprudenza, la costringeva, dopo averle preso la mano che poneva sopra il suo organo genitale, a toccarlo e masturbarlo ed ancora ad accarezzarlo e baciarlo e a farsi toccare nelle sue parti intime, fatti commessi fino al maggio 2000; i) del delitto di cui all’art. 81 cpv., art. 609 bis, art. 609 septies, comma 4 nn. 3 e 4, art. 61 c.p., n. 5, perchè, trovandosi con la studentessa universitaria M.G., già frequentante le lezioni di diritto commerciale di cui egli era docente ed il corso Jean Monnet da lui organizzato, abusando della sua qualità e con violenza, consistita nel tenerle ferma la testa con le mani ed impedendole altresì di muoversi, la costringeva a subire atti sessuali consistenti nel toccarla con la propria lingua sul collo e sulla bocca e nel baciarla sulla bocca. Fatto aggravato perchè commesso in tempo di notte e profittando di circostanze di luogo (passaggio in auto), fatto commesso tra la fine gennaio e l’inizio febbraio 2001; I) del delitto di cui all’art. 81 cpv., art. 609 bis, art. 609 septies c.p., comma 4, nn. 3 e 4, perchè, trovandosi all’interno della sua stanza studio presso la facoltà con la studentessa universitaria F.N., frequentante le lezioni di diritto commerciale di cui egli era docente ed il corso Jean Monnet da lui organizzato, abusando della sua qualità e con violenza, consistita nello spingere la stessa verso un divano, facendola sedere a forza e trattenendola, così impedendole di allontanarsi e muoversi, e nel prendere con forza le mani della predetta portandole sopra i suoi genitali, dopo essersi spogliato dalla cintola dei pantaloni in giù, la costringeva a compiere in suo favore atti sessuali consistenti nel toccarlo nelle sue parti intime, fatti avvenuti nel marzo 2000; m) del delitto di cui all’art. 81 cpv., art. 609 bis, art. 609 septies c.p., comma 4 nn. 3 e 4, perchè, trovandosi all’interno della sua stanza studio presso la facoltà con la studentessa universitaria F.N., frequentante le lezioni di diritto commerciale di cui egli era docente ed il corso Jean Monnet da lui organizzato, abusando della sua qualità, mentre la stessa era intenta a leggergli il testo della tesi che aveva elaborato, dopo essersi posizionato a fianco della medesima ed essersi abbassato la cerniera dei pantaloni, usando altresì violenza consistita nell’afferrare e trattenere con forza la mano destra della persona offesa sopra i suoi genitali, impedendole in tal modo di allontanarsi e muoversi, la costringeva a compiere in suo favore atti sessuali consistenti nel toccarlo nelle sue parti intime fino all’eiaculazione, fatto avvenuto nel maggio 2000. Avverso la sentenza ha proposto ricorso l’imputato a mezzo del proprio difensore chiedendone l’annullamento per i seguenti motivi:

1. Mancanza e manifesta illogicità della motivazione in riferimento al delitto di cui al capo g), in quanto la persona offesa C. S., era in realtà l’amante dell’imputato da quattro anni e di fatti non ha mai fatto riferimento a minacce da parte del docente, nè ad esortazioni provenienti dallo stesso. I giudici avrebbero ritenuto sussistente un "metus" ed una sorta di concussione ambientale ignorando i dati oggettivi e facendosi influenzare da impressioni ricevute dalla visione del filato in atti, per concludere in ordine ad una soggezione da parte della C., mentre correttamente il giudice di primo grado aveva escluso la sussistenza del reato, in quanto in relazione al tempus commissi delicti, doveva escludersi che la C. ed il C. sapessero antecedentemente al 29 giugno 1995, che il professore avrebbe fatto parte della Commissione per il dottorato di ricerca presso l’Università di Pisa. L’illogicità sarebbe evidente anche in relazione ai fatti che vedono come persona offesa F., nella quale ugualmente viene data rilevanza dalla videoripresa in atti che mostrerebbe l’accondiscendenza della giovane, ma è poi la stessa Corte di appello ad escludere l’suo di violenza o minaccia. Tra l’altro la difesa aveva dimostrato che le dichiarazioni della F. erano menzognere, come riassunto nella sentenza di primo grado, ma i giudici di appello ha sostituito ai criteri di valutazione del processo penale un giudizio etico sui fatti. Del pari illogica la motivazione anche in relazione al reato ascritto al capo i), in danno della M., le cui dichiarazioni sono state ritenute intrinsecamente credibili, laddove invece il primo giudice aveva evidenziato l’incoerenza del comportamento della stessa, senza considerare che non è stato confermato dai testi de relato quanto riferito dalla predetta M., senza considerare che la stessa poteva essere mossa alle accuse da un interesse personale, per giustificare l’esito eccellente dell’esame dalla stessa sostenuto con il professore.

2. Erronea interpretazione dell’art. 317 c.p., nonchè manifesta illogicità della motivazione, poichè atteso che l’utilità del reato di concussione è stata individuata nella prestazione sessuale, la prova della soggezione delle vittime avrebbe dovuto essere ancor più rigorosa; inoltre la decisione non ha tenuto conto la differenza tra l’art. 317 e la violazione delle regole deontologiche: il docente avrebbe dovuto utilizzare la propria qualità ed il suo potere "non solo per raggiungere uno scopo non tutelato dall’ordinamento, ma anche per ottenere un beneficio che il privato non è nella condizione di rifiutare se non a presso della rinuncia a un suo diritto." 3. Erronea interpretazione dell’art. 81 c.p. e violazione dell’art. 15 c.p. la sentenza ha ritenuto di considerare come i reati in concorso, ma l’uso improprio della qualità di pubblico ufficiale ex art. 317 c.p. costituisce elemento oggettivo della modalità dell’azione di minaccia nell’ipotesi di cui all’art. 609 bis e septies c.p.. Poichè c’è dunque coincidenza l’ipotesi di cui all’art. 371 c.p., in quanto inclusiva dell’utilità sessuale, diviene comprensiva della disposizione in materia di reati sessuali.

4. Violazione dell’art. 81 c.p. e manifesta illogicità della motivazione, la Corte avrebbe determinato la pena, considerando come reato base quello per il quale è prevista la pena edittale maggiore nel massimo, salvo che non si voglia applicare il minimo della pena e questo sia più basso rispetto a quello stabilità dal reato avvinto dalla continuazione. I giudici avrebbero ritenuto più grave il delitto di violenza sessuale, nonostante la pena massima risulti inferiore a quella stabilita per l’art. 317 c.p. ed avrebbero determinato la pena base in 6 anni di reclusione che non è però la pena edittale minima nè dell’art. 317 c.p., nè dell’art. 609 bis c.p.. Invece per stabilire il reato più grave deve farsi riferimento alla pena edittale massima stabilita.

La parte civile F.N., in prossimità dell’udienza, ha depositato tramite i propri difensori, memoria scritta con la quale ha chiesto che il ricorso dell’imputato venga respinto.

Motivi della decisione

1. Come è noto in questa sede è preclusa una rilettura degli elementi di fatto posti a base della decisione o l’adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione dei fatti (Sez. 6, n. 22256 del 26/4/2006, Bosco, Rv. 234148): quando il giudice di merito abbia esposto le motivazioni della propria decisione in coerenza con i dati risultanti dal processo, non è ammessa una diversa ricostruzione in fatto della vicenda oggetto del giudizio. I motivi proposti finiscono per proporre una lettura alternativa, ed assolutoria, delle risultanze del processo, richiamando la decisione di primo grado, che è stata modificata proprio attraverso un dettagliato esame degli elementi probatori acquisiti al processo, condotto attraverso un iter argomentativo assolutamente lineare, logico e completo, che ha ritenuto di accogliere solo in parte peraltro, essendo stata confermata l’assoluzione per altre ipotesi di reato allo stesso ascritte.

2. Quanto alla prima censura di manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione, quanto alla valutazione dell’attendibilità della persona offesa M. ed alla ricostruzione in senso stretto degli atti di violenza sessuale e di concussione, posti in essere dall’imputato nei confronti della C. e F., la stessa risulta infondata ed ai limiti dell’inammissibilità, posto che nella sentenza impugnata i giudici hanno riferito di avere visionato alcune delle videocassette allegate al processo, che costituiscono la riproduzione audio filmata degli atti sessuali che il C. imponeva alle persone offese all’interno della Facoltà nel suo studio, prove documentali della stessa consumazione dei reati, che sono state direttamente esaminate dai giudici e poste in correlazione con le singole dichiarazioni rese dalle tre persone offese, per poi giungere al giudizio di affermazione di responsabilità del C. attraverso una ricostruzione coerente e di tranquillizzante tenuta logica di tutto il materiale probatorio.

Per quello che attiene alla violenza posta in essere nei confronti della M., in relazione alla quale non esiste alcun supporto di documentazione filmata, i giudici, con una motivazione ampia e coerente, hanno valutato le dichiarazioni rese dalla persona offesa pienamente attendibili ("intrinsecamente credibili, logiche, coerenti e non contradditene"), fornendo anche le ragioni, condivisibili, della tenuta delle stesse nonostante le testimonianze "non pienamente confermative" dei due studenti, ai quali la stessa aveva dichiarato di aver riferito l’accaduto. La valutazione di attendibilità della M. sono in linea con i principi giurisprudenziali affermati in tema di testimonianza della persona offesa: è ben possibile, per giurisprudenza costante, che il giudice tragga il proprio convincimento circa la responsabilità dell’imputato anche dalle sole dichiarazioni rese dalla persona offesa, sempre che sia sottoposta a vaglio positivo circa la sua attendibilità e senza la necessità di applicare le regole probatorie di cui all’art. 192 c.p.p., comma 3 e 4, che richiedono la presenza di riscontri esterni (cfr., per tutte, Sez. 1, n. 29372 del 27/7/2010, Stefanini, Rv. 248016). Inoltre tali dichiarazioni ricevono anche un riscontro esterno, per gli episodi commessi in danno delle altre donne, reati per i quali emerge una prova granitica, essendo stati "filmati" nella loro "flagranza" dallo stesso C., all’insaputa delle giovani, filmati montati poi dal professore stesso, con intermezzi di volgare autopresentazione delle sue "performances" delittuose.

3. Quanto alla presunta contraddittorietà ed illogicità della motivazione in riferimento alla sussistenza degli elementi del delitto di concussione (la concussione cd. sessuale) evidenziato sempre nel primo motivo di ricorso e ripreso nel secondo motivo, occorre premettere che la giurisprudenza ha precisato che l’elemento oggettivo della concussione è una condotta che abbia oggettiva efficacia intimidatoria, potendosi addirittura prescindere dalla soggezione della persona offesa, che in teoria potrebbe "determinarsi al comportamento richiesto per mero calcolo economico, attuale o futuro, o per altra valutazione di tipo utilitaristico" (in tal senso, in fattispecie analoga, seppure relativa a tentativo, Sez. 6, n. 30764 del 22/5/2009, Zeccardo, Rv. 244867). Pertanto la condotta costrittiva (ed, ancor più, quella induttiva), "può estrinsecarsi semplicemente in una pressione psicologica sul soggetto passivo a sottostare a una ingiusta richiesta", con conseguente oggettivo condizionamento della libertà morale della persona offesa (cfr. Sez. 6, n. 3488 del 17/2/2000, P.M. in proc. Cascini ed altro, Rv.

217116). Naturalmente è necessaria la prova del comportamento costrittivo o induttivo del pubblico ufficiale e della correlativa situazione psicologica del privato (cfr. Sez. 6, n. 24015 del 2/3/2011, Camiolo, Rv. 250085), prova che i giudici di appello, come già indicato, hanno motivatamente tratto dal materiale probatorio in atti. A tale proposito, correttamente, la Corte anconetana ha affermato che l’attività di induzione, tipica della concussione, non è vincolata a forme tassative, essendo sufficiente che il pubblico ufficiale, abusando dei suoi poteri, eserciti una pressione psicologica sulla vittima, tanto da "convincerla" della necessità di compiere la prestazione sessuale richiesta, evidenziando come, nel caso di specie, ed in riferimento alla concussione nei confronti della C., questa situazione era caratterizzata dal fatto che la "sorte accademica" della giovane dipendeva dal docente, per cui il ricatto trovava fertile terreno per esercitare le propria forza persuasiva e la condotta era risultata altresì in equivocamente provata da quanto rappresentato nei filmati, nonostante la C. avesse cercato di minimizzare la condotta di prevaricazione del professore, di fatti i giudici hanno evidenziato che la stessa ebbe a subire sesso orale innumerevoli volte, con atteggiamento rassegnato e "automatico".

Analoghe argomentazioni sono state svolte in relazione agli episodi ascritti in danno di F.N., il primo dei quali è documentato nei supporti audiovisivi ed il quale è stato dettagliatamente descritto e valutato, nella sua penosa realtà fattuale, dai giudici che hanno ritenuto pienamente provati i reati commessi dal C. anche in riferimento al secondo episodio, a seguito del giudizio di piena attendibilità della persona offesa e del riscontro del filmato stesso relativo alla prima violenza sessuale. Anche per la F. i giudici di merito hanno posto in evidenza come il C. abbia posto in essere la condotta oggettiva di concussione, facendo pesare la sua posizione di docente e relatore della tesi di laurea della giovane, che lungi da essere consenziente ai rapporti sessuali, evve a mostrare – secondo quanto indicato dai giudici della parte motiva della sentenza – una "strenua resistenza", per poi finire per cedere alle assillanti richieste del volgare C..

4. Risulta del pari infondata, per quanto sopra riferito in relazione all’elemento oggettivo del delitto di cui all’art. 317 c.p., la doglianza relativa alla omessa motivazione sui profili di tipicità della condotta di concussione, essendo invece ipotizzabile una mera violazione deontologica. Fermo restando che all’epoca dei fatti non esistevano ancora i Codici etici di Ateneo, ora adottati da alcune Università italiane (e peraltro ancora lontani dalla completezza, ed esaustività dei servizi, di The Code of Conduct di una delle tante Università statunitensi), non è chi non veda come nella condotta del reato di concussione, sessuale o meno, essendo la stessa caratterizzata da un abuso di poteri o della qualità ricoperta da parte del pubblico ufficiale, sia necessariamente insita una violazione dei doveri di ufficio, e quindi deontologici.

5. Nè può avere ingresso la censura – avanzata solo in sede di discussione dal difensore – circa la asserita illogicità e/o mancanza di motivazione in riferimento alla possibile non consapevolezza del C. di porre in essere una condotta abusiva. Si tratta di un motivo nuovo che non può avere alcun ingresso e trattazione, in quanto è principio consolidato che i motivi nuovi proposti a sostegno dell’impugnazione devono avere ad oggetto, a pena di inammissibilità, i capi o i punti della decisione impugnata che sono stati enunciati nell’originario atto di gravame (cfr. Sez. 6, n. 27325 del 20/5/2008, D’Antino, Rv. 240367 ed anche SSUU n. 4683 del 25/2/1998, Bono e altri, Rv. 210259).

6. Anche il terzo motivo di ricorso è infondato. Non sussiste alcun concorso apparente di norme: la giurisprudenza di legittimità ha affermato il principio di diritto, ormai consolidato, che "il reato di violenza sessuale commesso mediante abuso della qualità e dei poteri del pubblico ufficiale può concorrere formalmente con il reato di concussione, trattandosi di reati che tutelano beni giuridici diversi, posti a salvaguardia di distinti valori costituzionali, rappresentati dal buon andamento della P.A. e dalla libertà di autodeterminazione della persona nella sfera sessuale" (Così Sez. 6, n. 8894 del 4/11/2010, G., Rv. 249652, Sez. 3, n. 11815 del 20/11/2007, Rizza, Rv 238568) e che i favori sessuali rientrano nella categoria dell’utilità prevista dall’art. 317 c.p., in quanto rappresentano un vantaggio per il funzionario che ne ottenga la promessa o la effettiva prestazione (sin da SSUU, n. 7 dell’11/5/1993, Romano, Rv.193747).

7. Risulta invece fondato il quarto motivo di ricorso. Nel computo della pena la Corte di appello ha determinato la pena base ritenendo erroneamente, quale reato più grave la violenza sessuale, che prevede la pena minima di maggiore entità. Di contro, per determinare il reato più grave, una volta riconosciuta la continuazione, occorre seguire il criterio astratto (cfr., per tutte, SSUU n. 748 del 12/10/1993, Cassata, Rv. 195805), individuando quale reato più grave il delitto per il quale è prevista la pena maggiore nel massimo edittale, avendo cura di stabilire una pena base in misura non inferiore al minimo edittale stabilito per il reato satellite (in tal senso Sez. 3, n. 9261 del 28/1/2010, P.G. in proc. Del Prete e altro, Rv 246236; Sez. 2, n. 19156, del 20/4/2007, P.G. in proc. Cattolico, Rv 236407). Nel caso di specie, il delitto più grave risulta essere quello di concussione, per il quale il legislatore ha stabilito la pena edittale massima di dodici anni (con un minimo di quattro), rispetto alla ipotesi di violenza sessuale (punita con la pena da cinque a dieci anni).

Pertanto la sentenza impugnata deve essere annullata, limitatamente all’individuazione del reato più grave nella violenza sessuale, anzichè in quello di concussione, con rinvio alla Corte di appello di Perugia per nuovo esame in ordine alla rideterminazione della pena, mentre nel resto il ricorso va respinto, con condanna del ricorrente alla rifusione delle spese sostenute da ciascuna delle parti civili, spese che, in assenza di nota, vengono liquidate d’ufficio nella somma di millecinquecento Euro, oltre accessori come per legge.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente all’individuazione del reato più grave nella violenza sessuale anzichè nella concussione con rinvio alla Corte di appello di Perugia per nuovo esame in ordine alla rideterminazione della pena. Rigetta nel resto il ricorso;

condanna il ricorrente alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili che, per ciascuna di loro, liquida in millecinquecento Euro oltre accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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