Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 19-04-2011) 03-10-2011, n. 35703 Violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte d’Appello di Torino con sentenza emessa il 5 marzo 2010, ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale di Alba il 2 novembre 2006, con la quale D.S.N. è stato condannato alla pena di un anno e mesi sei di reclusione in relazione al reato di cui all’art. 609 quater c.p., ritenuta l’ipotesi di cui al comma 4, perchè compiva atti sessuali sulla cugina A.R. di circa sei anni, in (OMISSIS), in data anteriore e prossima all’aprile 2003, consistititi nel farla stendere nel letto accanto a lui, nel carezzarle le gambe e la vagina, sia sopra che sotto il pigiama, nel baciarla sulla bocca e, una volta, nel farsi carezzare il pene sopra i vestiti.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso l’imputato, tramite il proprio difensore, chiedendone l’annullamento per i seguenti motivi:

1. Inosservanza dell’art. 603 c.p.p., comma 1 mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, in quanto la Corte di appello ha rigettato l’istanza di rinnovazione parziale del dibattimento con la quale si era evidenziata la necessità di ascoltare la madre della minore, in base alla valutazione di superfluità in quanto ritenuta inattendibile la eventuale ritrattazione. Con ciò i giudici di appello avrebbero impropriamente anticipato gli esiti del richiesto incombente istruttorio.

2. Manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione, in relazione alla valutazione delle dichiarazioni della dottoressa N., che aveva riferito che la bimba aveva narrato gli abusi commessi quando la madre era al lavoro, circostanza inconciliabile con il verificarsi degli abusi in ora notturna; tale elemento avrebbe condizionato l’esito dell’incidente probatorio successivamente disposto, in quanto l’esperta che introdusse l’esame aveva richiamato tali precedenti dichiarazioni, con ciò formulando un interrogatorio suggestivo; sollevata tale censura i giudici avevano ritenuto semplicemente che tale suggestione era astratta, ma che in concreto la stessa non risultava verificata.

Motivi della decisione

1. I motivi di ricorso sono infondati: con gli stessi si è cercato di proporre una nuova lettura della vicenda processuale ma, come è noto, in tema di sindacato del vizio della motivazione, il compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito, ma quello di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta ai motivi di appello, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre. La struttura motivazionale della sentenza di appello impugnata, che concorda nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione con quella di primo grado, si salda con essa per formare un unico complessivo corpo argomentativo (Cfr. Sez. 2, n. 5606 dell’8/2/2007, Conversa e altro, Rv. 236181; Sez 1, n. 8868 dell’8/8/2000, Sangiorgi, Rv. 216906; Sez. 2, n. 11220 del 5/12/1997, Ambrosino, Rv. 209145). I giudici di secondo grado hanno esaminato le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli usati dal primo giudice e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione (Cfr. la parte motiva della sentenza Sez. 3, n. 10163 del 12/3/2002, Lombardozzi, Rv. 221116).

Inoltre, i giudici di appello hanno fornito una valutazione autonoma dei motivi di appello sui punti specificamente indicati, verificando sia le ragioni dell’attendibilità della minore, alla luce di principi giurisprudenziali in materia, sia gli elementi probatori di riscontro dei fatti, sia la tenuta logica della ricostruzione dell’abuso ascritto al ricorrente.

I giudici di merito hanno infatti fatto buon governo dei principi di diritto affermati in materia di valutazione del contenuto della testimonianza della persona offesa minorenne nei reati sessuali: è ben possibile, per giurisprudenza costante, che il giudice tragga il proprio convincimento circa la responsabilità dell’imputato anche dalle sole dichiarazioni rese dalla persona offesa, sempre che sia sottoposta a vaglio positivo circa la sua attendibilità e senza la necessità di applicare le regole probatorie di cui all’art. 192 c.p.p., comma 3 e 4 che richiedono la presenza di riscontri esterni (cfr., per tutte, Sez. 1, n. 29372 del 27/7/2010, Stefanini, Rv.

248016). In particolare, per i minori è necessario che l’esame della credibilità sia onnicomprensivo e tenga conto di più elementi quali l’attitudine a testimoniare, la capacità a recepire le informazioni, ricordarle e raccordarle, la qualità e natura delle dinamiche familiari e dei processi di rielaborazione delle vicende vissute (Così Sez. 3, n. 29612 del 27/7/2010, P.C. in proc. R. e altri, Rv.

247740).

Nel caso di specie i giudici di appello hanno pienamente condiviso le valutazioni espresse dal Tribunale di attendibilità delle dichiarazioni rese dalla minore nella testimonianza assistita in incidente probatorio, attendibilità che aveva trovato conforto anche nei risultati della perizia sulla bambina, i quali avevano anche offerto particolari utili sulle dinamiche familiari (i genitori erano separati ed in buoni rapporti, la bimba ed il fratello vivevano con la madre ed il nuovo compagno della stessa; il cugino trascorreva molto tempo con loro in quanto i genitori erano molto impegnati nel lavoro), fornendo le ragioni psicologiche per le quali la minore aveva in seguito "ritrattato", parlandone con il padre, il verificarsi delle molestie sessuali da parte del cugino.

Su tali basi, hanno ritenuto che il quadro probatorio consentisse la decisione, senza necessità di disporre una rinnovazione istruttoria – la quale, secondo giurisprudenza costante deve essere disposta solo venga ritenuta "assolutamente necessaria" – per ascoltare la testimonianza della madre, la quale, secondo quanto asserito dalla difesa dell’imputato, avrebbe riferito che la bambina aveva negato gli accadimenti occorsi anche con lei; atteso quanto sopra tale testimonianza non poteva che essere davvero superflua in quanto non in grado di scalfire la valutazione di veridicità del racconto degli accadimenti fornito dalla minore, come riscontrato anche dalle testimonianze delle pediatre dell’ospedale.

La sentenza impugnata ha infine fornito una motivazione più che congrua nel respingere la censura, già proposta in sede di appello, della contraddittorieta tra quanto riferito alla pediatra dott.ssa N. ed il narrato in sede di incidente probatorio.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato ed il ricorrente deve essere condannato, ai sensi del disposto di cui all’art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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