Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 28-02-2012, n. 3037 Contratto a termine

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Poste italiane spa chiede l’annullamento della sentenza della Corte d’appello di Milano, pubblicata l’11 gennaio 2010, che ha rigettato il suo appello contro la decisione con la quale il Tribunale di Varese aveva accolto il ricorso di F.E..

2. Poste italiane spa ha utilizzato il lavoro temporaneo della F., sulla base di contratti di fornitura stipulati con "Obiettivo lavoro". In base ad un primo contratto di fornitura Obiettivo lavoro ha sottoscritto con la F. un contratto di prestazioni di lavoro temporaneo per il periodo 18 febbraio – 21 febbraio 2004 per le mansioni di addetta al recapito nell’ufficio postale di (OMISSIS). In base al secondo contratto di fornitura ha stipulato, poi, un secondo contratto di prestazioni temporanee il 24 febbraio 2004, con scadenza 31 maggio 2004, con le medesime mansioni, ma questa volta svolte nell’ufficio postale di (OMISSIS).

3. La F. ha impugnato in giudizio tali contratti, chiedendo che venisse accertata la nullità del termine e che venisse dichiarato costituito con l’impresa utilizzatrice Poste italiane spa un rapporto di lavoro a tempo indeterminato a decorrere dal 18 febbraio 2004, ordinando alla società di riassumerla e di corrisponderle le retribuzioni dalla data di cessazione illegittima del rapporto.

4. Il Tribunale ha accolto il ricorso con riferimento al contratto del 24 febbraio 2004. 5. La Corte d’appello ha confermato il giudizio sulla illegittimità del contratto di lavoro temporaneo "per la genericità della causale dell’assunzione, in quanto tale contratto reca unicamente un generico riferimento ai casi previsti dal contratto collettivo nazionale di lavoro per ragioni tecniche, organizzative e produttive, senza alcuna specificazione". Inoltre, la Corte ha ritenuto che Poste non abbia adempiuto all’onere, a suo carico, di provare l’esistenza della dedotta esigenza temporanea, ed ha valutato la prova svolta nel senso che la lavoratrice venne destinata a coprire carenze di organico e quindi a sopperire ad esigenze permanenti e non già temporanee.

6. Quanto alle conseguenze dell’illegittimità la Corte ha affermato che il combinato disposto della L. n. 196 del 1997, art. 10 e della L. n. 1369 del 1960, art. 1, comma 5, comporta la vigenza di un contratto a tempo indeterminato con l’impresa utilizzatrice.

Conseguenza ulteriore è la condanna al pagamento delle retribuzioni dalla messa in mora alla riammissione in servizio.

7. La società propone cinque motivi di ricorso. La lavoratrice ha notificato e depositato controricorso. Poste italiane spa ha inoltre depositato una memoria per l’udienza.

8. Con il primo motivo la società denunzia un vizio di "omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia". Il punto è così delineato: la Corte non avrebbe motivato perchè l’asserita mancanza di prova sulla effettiva esistenza della dedotta esigenza temporanea possa essere sanzionato con la trasformazione del rapporto di lavoro in capo all’utilizzatrice, quando la ben più grave violazione della carenza della forma scritta ovvero l’assenza di tutti i requisiti di forma e contenuto previsti della L. n. 196 del 1997, art. 3, comma 3, è sanzionata con la conversione del contratto a tempo indeterminato in capo alla fornitrice". 9. Con il secondo motivo si denunzia una violazione di legge e precisamente della L. n. 196 del 1997, art. 10, nella parte in cui la sentenza afferma che Poste italiane spa non ha provato la effettiva sussistenza della causale riportata nel contratto di lavoro temporaneo. La censura è sintetizzata nel quesito di diritto con il quale si chiede alla Corte di stabilire se il richiamo operato nel contratto di lavoro temporaneo ai "casi previsti dal ccnl di settorè, nonchè alle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo e sostitutivo può ritenersi sufficiente per considerare individuata la causale del contratto e quindi, laddove l’impresa utilizzatrice non abbia stipulato un regolare contratto di lavoro temporaneo, ai sensi della L. n. 196 del 1997, artt. 1 e 3, sia possibile, comunque, dichiarare la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato ed a tempo indeterminato tra l’impresa utilizzatrice ed il lavoratore interinale in conseguenza dell’indicazione, quale causale, di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo". 10. Con il terzo motivo si denunzia violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., per aver ritenuto la Corte che dalla prova testimoniale fosse emerso che l’assunzione non era avvenuta per esigenze temporanee e comunque perchè "la causale del contratto di lavoro temporaneo non richiede affatto l’utilizzazione del lavoratore in particolari attività, diverse da quelle ordinarie". 11. Con il quarto motivo si denunzia violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18, perchè la Corte d’appello ha condannato la società al ripristino del rapporto ed al pagamento delle retribuzioni maturate dalla messa in mora fino alla riammissione in servizio, mentre deve escludersi che alla materia in esame sia applicabile la L. n. 300 del 1970, art. 18, anche perchè la reintegrazione presuppone che sia stato intimato un licenziamento, il che nella specie non è avvenuto.

12. Con il quinto motivo si denunzia ancora violazione e falsa applicazione di legge nella parte in cui la sentenza ha condannato la società a corrispondere le retribuzioni dalla messa in mora e non dalla effettiva ripresa del servizio.

13. Con i cinque motivi su riassunti Poste italiane spa pone una serie di questioni, che devono essere esaminate nel loro ordine logico.

14. La prima questione, seguendo tale ordine, concerne la legittimità del contratto di lavoro temporaneo contenente una indicazione della causale come quella contenuta nel contratto in esame. Il contratto di lavoro temporaneo stipulato il 24 febbraio 2004 tra la lavoratrice e "Obiettivo lavoro" così indica la causale:

"per ragioni tecnico organizzative/produttive a tempo determinato ai sensi della L. n. 196 del 1997, art. 1, comma 2". La Corte d’appello, confermando il giudizio del Tribunale, ha ritenuto che tale causale sia "generica, in quanto reca unicamente un riferimento generico ai casi previsti dal contratto collettivo nazionale di lavoro per ragioni tecniche, organizzative e produttive, senza alcuna specificazione". La Corte aggiunge poi che la effettiva sussistenza di tale causale non è stata provata e che anzi la prova acquisita porta ad escludere la sua sussistenza.

15. Due sono quindi le affermazioni a fondamento della decisione. La prima da esaminare è quella relativa alla necessità o meno di una specificazione causale.

16. L’esame della normativa porta ad una risposta affermativa.

Infatti, la L. n. 196 del 1997, art. 3, che disciplina la materia, dopo aver definito "il contratto di lavoro per prestazioni di lavoro temporaneo" (comma 1), averne delineato i tipi e i caratteri (comma 2), con il comma 3, ne impone la forma scritta ed elenca gli elementi che lo stesso deve contenere. Si tratta di otto elementi, indicati dalle lett. da a) a h) della norma. Il primo di essi, (lett. a) è costituito dai "motivi di ricorso alla fornitura di prestazioni di lavoro temporaneo". I "motivi" del ricorso alla assunzione di un lavoratore con contratto di lavoro temporaneo devono, pertanto, essere specificati nel contratto.

17. Deve anche ritenersi che tale obbligatoria indicazione non può risolversi nel richiamo ai casi in cui è possibile la stipulazione del contratto di fornitura che sta a monte del contratto di prestazioni di lavoro temporaneo, perchè altrimenti il legislatore non avrebbe richiesto la specificazione dei motivi in sede di contratto tra impresa fornitrice e lavoratore.

18. Nel caso in esame la Corte d’appello ha ritenuto che l’indicazione dei motivi contenuta nel contratto di lavoro temporaneo sia generica e non si può non concordare con tale giudizio. Infatti, dire "per ragioni tecnico organizzative/produttive a tempo determinato ai sensi della L. n. 196 del 1997, art. 1, comma 2", significa solo indicare il genere dei motivi, senza spiegare quali sono le specifiche ragioni tecnico, produttive, organizzative su cui si basa la assunzione. E’ una formula generica e tautologica che indica il tipo di ragioni, ma non permette di comprendere in cosa consistono tali ragioni nel caso concreto.

19. Peraltro la Corte, come si è visto, ha ritenuto che non sia stata provata la effettiva esistenza di tali ragioni, con valutazione di merito, adeguatamente motivata, che non può essere rimessa in discussione in sede di giudizio di legittimità, se non per vizi di motivazione che sul punto non sono stati prospettati.

20. Diverso, anche se collegato, è il problema delle conseguenze della mancanza o della genericità dei motivi la cui specificazione è richiesta dalla L. n. 196 del 1997, art. 3, lett. a).

21. La tesi di Poste italiane spa è che la norma che prevede le sanzioni non collega a tale omissione una specifica sanzione. Tale norma è la medesima L. n. 196 del 1997, art. 10. Il comma 2, prevede le sanzioni per il caso in cui il contratto di lavoro temporaneo stipulato tra l’impresa fornitrice e il lavoratore sia privo di forma scritta o sia privo della indicazione della data di inizio e di scadenza dello svolgimento dell’attività lavorativa. La sanzione è che il contratto "si trasforma in contratto a tempo indeterminato alle dipendenze della impresa fornitrice". La tesi di Poste italiane spa è che mancherebbe analoga sanzione per il caso m cui l’elemento assente non sia la forma scritta o l’indicazione della decorrenza e della scadenza, ma siano i motivi richiesti dall’art. 3, comma 3, lett. a).

22. Questa Corte ha già affermato più volte che, anche in questo caso, alla violazione corrisponde la sanzione costituita dalla costituzione di un rapporto di lavoro direttamente con l’impresa utilizzatrice. Tale effetto, anche nella ipotesi di mancanza o genericità dei motivi, si determina non in forza dell’art. 10, comma 2, ma per una ragione di ordine sistematico e del richiamo contenuto nella L. n. 196 del 1997 alla L. n. 1369 del 1960 sulla intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro. Stante questo collegamento normativo, "il contratto di lavoro con il fornitore interposto, ai sensi della L. n. 1369 del 1960, art. 1, u.c., si considera a tutti gli effetti instaurato con l’utilizzatore interponente" (Così: Cass. 24 giugno 2011 n. 13960; Cass. 5 luglio 2011 n. 14714; Cass. 21 luglio 2011, n. 16014, alle cui articolate motivazioni si rinvia; le medesime sentenze hanno anche spiegato perchè quello risultante dalla trasformazione soggettiva su indicata è un contratto a tempo indeterminato).

23. Questa ricostruzione porta al rigetto dei primi due motivi di ricorso.

24. Il terzo motivo è inammissibile per una duplice ragione. Perchè si basa sul presupposto che la Corte di Milano abbia fondato il suo ragionamento sul fatto che le esigenze non erano temporanee, mentre la sentenza, più a monte, afferma che la causale non era specifica, il che è, di per sè, sufficiente a determinare le conseguenze esaminate. Le considerazioni sulla temporaneità non sono pertanto decisive. Una ragione ulteriore di inammissibilità è poi costituita dal fatto che con la formale denunzia di violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., vengono poste questioni che attengono al merito della decisione, senza peraltro indicare specifici vizi nella motivazione.

25. Infondato è poi il quarto motivo perchè il ripristino del rapporto non deriva dall’applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18, come ipotizza la ricorrente, ma dalla trasformazione del rapporto nel senso prima indicato (direttamente con l’impresa utilizzatrice e a tempo indeterminato). Questa Corte ha sottolineato che in tal caso non può individuarsi un licenziamento illegittimo, ma deve più radicalmente ritenersi la inesistenza di un licenziamento, con le relative conseguenze sul rapporto di lavoro (Cfr., ampie, Cass. 23 novembre 2010, n. 23684).

26. Il quinto motivo, concernente la messa in mora, è inammissibile.

La Corte d’appello ha affermato che la società deve essere condannata al pagamento delle retribuzioni dalla messa in mora fino alla riammissione in servizio. La società ricorrente non pone una questione di diritto, riconoscendo che il lavoratore avrebbe diritto alle retribuzioni qualora avesse costituito in mora il datore di lavoro offrendo espressamente la prestazione lavorativa (cfr. ricorso, quesito di diritto, pag. 18). La censura, pertanto, è di merito essendo basata sulla interpretazione dell’atto, giudicato idoneo dalla Corte e inidoneo dalla ricorrente a determinare la costituzione in mora. L’inammissibilità del motivo deriva da una duplice ragione: in violazione del principio di autosufficienza, nel ricorso non viene riportato il testo della dichiarazione e, inoltre, quella in tal modo proposta è una censura prettamente di merito proponibile solo per vizio di motivazione o violazione delle regole sulla interpretazione del negozio giuridico dettate dall’art. 1362 c.c., e segg., vizi che non vengono ipotizzati.

27. L’inammissibilità di quest’ultimo motivo, comporta il passaggio in giudicato del capo della decisione sul risarcimento del danno e rende quindi inammissibile, in radice, la richiesta di applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, formulata con la memoria per l’udienza.

28. Il ricorso, quindi, deve essere rigettato. Le spese devono essere poste a carico della parte che perde il giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente alla rifusione alla controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 50,00, nonchè Euro 3.000,00 per onorari, oltre I.V.A., C.P.A. e spese generali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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