Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 28-02-2012, n. 3035 Pensioni, stipendi e salari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La sentenza attualmente impugnata – in parziale accoglimento dell’appello dell’Ordine dei medici chirurghi e degli odontoiatri della provincia di Chieti avverso la sentenza del Tribunale di Chieti n. 708 dell’8 giugno 2006 – dichiara la decadenza di D.S. G. per i crediti anteriori al 1 luglio 1998 e, per il resto, conferma la sentenza di primo grado, che ha riconosciuto alla D. S. il diritto all’attribuzione di differenze retributive per l’attività svolta alle dipendenze del suddetto Ordine professionale nel periodo compreso dal 1 luglio 1998 al 23 dicembre 1999.

La Corte d’appello dell’Aquila, per quel che qui interessa, precisa che:

a) si controverte della retribuzione dovuta ad un pubblico impiegato anche per attività lavorativa svolta prima del 1 luglio 1998;

b) in base al D.Lgs. n. 80 del 1998, per le controversie in materia di pubblico impiego anteriori alla suddetta data la giurisdizione è rimasta al giudice amministrativo;

c) ciò è quanto si verifica nella specie e non vale eccepire in contrario che, decorso il termine del 15 settembre 2000, posto a pena di decadenza per adire il giudice amministrativo, l’azione rimarrebbe esperibile comunque dinanzi al giudice ordinario;

d) infatti, in questo modo si darebbe all’interessato la facoltà di scegliere, a suo piacimento, il giudice a cui rivolgersi con la possibilità anche di adire prima il giudice amministrativo o dopo quello ordinario, facendo applicazione di una norma sopravvenuta quando la prescrizione era già maturata ( D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69, comma 7);

e) ne consegue che, in accoglimento del primo motivo di appello, deve essere dichiarata la decadenza della D.S. per i crediti relativi al periodo anteriore al 1 luglio 1998;

f) nel successivo periodo compreso dal 1 luglio 1998 al 23 dicembre 1999, la lavoratrice ha svolto attività di impiegata alle dipendenze del suindicato Ordine professionale;

g) all’epoca ella era l’unica dipendente dell’Ordine, come è emerso dalle risultanze processuali non contrastate in modo efficace;

h) tale elemento di fatto rende superabile l’obiezione secondo cui le mansioni svolte dalla D.S. non sono state conferite con un provvedimento formale del datore di lavoro, visto che un simile atto, in considerazione del suindicato assetto del rapporto, sarebbe stato inutile e neppure astrattamente configurarle;

i) non può attribuirsi rilevo alle contestazioni sulla determinazione della retribuzione dovuta, in quanto non si è costituito alcun contraddittorio sui relativi criteri per la liquidazione e sulla liquidazione, visto che la sentenza di primo grado contiene sul punto mere enunciazioni, le quali non solo non determinano, ma non rendono neppure determinabile la somma dovuta;

1) l’unico punto controverso resta, pertanto, l’unico sul quale il Tribunale ha statuito e, cioè, se la lavoratrice abbia diritto al trattamento retributivo erogatole, corrispondente alla qualifica di archivista, ovvero se le competa il trattamento migliore, rivendicato per le dedotte mansioni di assistente amministrativa;

m) la sentenza di primo grado, che ha riconosciuto il trattamento migliore, deve essere sul punto confermata, in quanto la attività lavorativa svolta deve reputarsi come "di concetto" e non semplicemente "di ordine", in considerazione dei molteplici compiti presumibilmente affidati alla D.S., nella sua qualità di unica segretaria dipendente dell’Ordine professionale, la cui attività è naturalmente rivolta ad una platea di utenti e a molteplici servizi, n) nè assume valore in contrario la circostanza dello svolgimento delle attività di maggiore impegno da parte di amministratori, in quanto tale tipo di attività deve essere supportata da altra attività che sia almeno del livello tipico dell’impiegato di concetto;

o) le due qualifiche di ordine e di concetto – tipiche della mansione della segretaria sono parzialmente sovrapponibili in quanto riguardano entrambe attività di supporto rispetto ad altre principali, la cui qualità si riflette anche sulla qualificazione dell’attività di supporto;

p) ne consegue che quando la prestazione di segreteria si riferisce ad una attività principale di livello professionale elevato – come si verifica nella specie – non può non essere qualificata come "di concetto". 2- Il ricorso di D.S.G. domanda la cassazione della sentenza per un motivo; resiste, con controricorso, l’Ordine dei medici chirurghi e degli odontoiatri della provincia di Chieti. che propone, a sua volta, ricorso incidentale per due motivi nonchè ricorso incidentale condizionato per un motivo.

Il suddetto Ordine professionale deposita anche memoria ex art. 378 cod. proc. civ..

Motivi della decisione

I ricorsi devono essere riuniti perchè proposti contro la medesima sentenza.

1 – Profili preliminari.

1- Preliminarmente deve essere esaminata la questione – proposta dall’Ordine sia nel controricorso sia nella memoria depositata in prossimità dell’udienza e, comunque, rilevabile d’ufficio, riguardando la ammissibilità del ricorso principale – relativa alla tempestività della notificazione del suindicato ricorso.

Si precisa, al riguardo che: 1) il ricorso della lavoratrice risulta essere stato notificato il 28 settembre 2009; 2) la sentenza impugnata è stata depositata il 3 giugno 2008; 3) trattandosi di controversia in materia di lavoro, non si applica la c.d. sospensione dei termini processuali nel periodo feriale.

Conseguentemente, il ricorso dovrebbe considerarsi tardivo perchè notificato oltre il termine annuale di cui all’art. 327 cod. proc. civ..

A tale conclusione, tuttavia, non si perviene in quanto – diversamente da quanto sostenuto dall’Ordine – si deve applicare la sospensione dei termini processuali prevista dal D.L. 28 aprile 2009, n. 39, art. 5 (Interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici nella regione Abruzzo nel mese di aprile 2009 e ulteriori interventi urgenti di protezione civile), pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 28 aprile 2009, n. 97 e convertito, con modificazioni, dalla L. 24 giugno 2009, n. 77.

Va, infatti, osservato che – come precisato anche da Cass. 13 aprile 2011, n. 8455 – l’indicato art. 5 nei commi 1, 1 bis, 2 e 3 prevede diverse ipotesi di sospensione dei processi civili (non di esecuzione) e amministrativi.

In particolare, nel presente caso – diversamente da quanto si è verificato nel giudizio conclusosi con la citata sentenza n. 8455 del 2011 – viene in considerazione l’ipotesi del comma 1, secondo cui:

"Fino al 31 luglio 2009, sono sospesi i processi civili e amministrativi e quelli di competenza di ogni altra giurisdizione speciale pendenti alla data del 6 aprile 2009 presso gli uffici giudiziari aventi sede nei comuni di cui all’art. 1, comma 2, ad eccezione delle cause di competenza del tribunale per i minorenni, delle cause relative ad alimenti, ai procedimenti cautelari, ai procedimenti per l’adozione di provvedimenti in materia di amministrazione di sostegno, di interdizione, di inabilitazione, ai procedimenti per l’adozione di ordini di protezione contro gli abusi familiari, a quelli di cui all’art. 283 cod. proc. civ. e in genere delle cause rispetto alle quali la ritardata trattazione potrebbe produrre grave pregiudizio alle parti. In quest’ultimo caso, la dichiarazione di urgenza è fatta dal presidente in calce alla citazione o al ricorso, con decreto non impugnabile, e, per le cause già iniziate, con provvedimento del giudice istruttore o del collegio, egualmente non impugnabile".

Infatti, l’attuale giudizio alla data del 6 aprile 2009 era ancora "pendente" presso la Corte d’appello dell’Aquila (comune compreso tra quelli elencati nel decreto Commissariale 16 aprile 2009, n. 3, richiamato dal medesimo D.L. n. 39 del 2009, art. 1, comma 2) in quanto, a quella data, il termine annuale per l’impugnazione era ancora in corso e, pertanto, la vicenda giudiziaria instauratasi presso la Corte aquilana non si era esaurita. E’, infatti, evidente che tale non può considerarsi quella in cui ancora sia ancora in corso il termine per proporre il ricorso per cassazione, visto che tale proposizione comporta la necessità per il ricorrente di venire in contatto come risulta essere, nella specie, accaduto – con la cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata, onde potere adeguatamente rispettare gli oneri posti a suo carico dall’art. 369 cod. proc. civ., comma 2, n. 4 e comma 3, e dall’art. 366 cod. proc. civ., n. 6 (vedi: Cass. SU 3 novembre 2011, n. 22726).

Ne risulta che – in applicazione del D.L. n. 39 del 2009, art. 5, comma 1, su riprodotto – il termine per impugnare (che, in base all’ordinaria disciplina, sarebbe scaduto il 3 giugno 2009) è rimasto sospeso dal 6 aprile 2009 al 31 luglio 2009. Ora, poichè tra il 6 aprile 2009 e il 3 giugno 2009 intercorrono 58 giorni, al 1 agosto 2009 (giorno in cui il termine per impugnare ha ripreso il suo corso) vanno aggiunti i suddetti 58 giorni, per completare l’anno a disposizione per l’impugnazione. In base a tale calcolo, si perviene a domenica 27 settembre 2009 e, quindi, a lunedì 28 settembre 2009, che è il giorno in cui il ricorso delle D.S. risulta essere stato notificato.

Di qui la tempestività e, quindi, l’ammissibilità del ricorso stesso.

2 – Sintesi del motivo del ricorso principale.

2.- Con il motivo del ricorso principale, illustrato da quesiti di diritto, si denuncia: a) in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3, violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 69, comma 7; b) in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, omessa e insufficiente motivazione sul fatto decisivo del giudizio che l’azione dannosa e illegittima dell’Ordine è sorta prima del 30 giugno 1998 ed è cessata dopo a suddetta data.

Si contesta, principalmente, la dichiarazione dell’intervenuta decadenza della D.S. per i crediti anteriori al 1 luglio 1998, avendo l’interessata fatto valere tempestivamente le proprie pretese dinanzi al giudice amministrativo, dichiaratosi sfornito di giurisdizione.

Si rileva che la ricorrente, avendo svolto attività lavorativa alle dipendenze dell’Ordine dal 1 ottobre 1963 al 23 dicembre 1999 (data di cessazione del rapporto per raggiunti limiti di età della D. S.), ha rivendicato – per il periodo compreso tra il 1983 e la suddetta data di cessazione del rapporto – a) gli adeguamenti retributivi inerenti alla propria qualifica professionale di appartenenza, derivanti dalla corretta applicazione in suo favore dei benefici previsti dalla L. 24 maggio 1970, n. 336 (Norme a favore dei dipendenti civili dello Stato ed Enti pubblici ex combattenti ed assimilati) e dal D.P.R. 31 marzo 1983, n. 364, art. 17 (Approvazione del regolamento per lo svolgimento delle elezioni dei componenti del Consiglio nazionale di polizia); b) le differenze retributive derivanti dalle mansioni superiori svolte, nel suindicato periodo, per l’espletamento dell’attività di assistente.

In un primo momento, per gli emolumenti relativi al periodo antecedente il 1 luglio 1998, la D.S. ha adito tempestivamente, ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69, ma il TAR per l’Abruzzo, sede di Pescara, adito con sentenza n. 528 del 2001 passata in giudicato, pur confermando la tempestività dell’azione, ha declinato la propria giurisdizione in favore di quella del giudice ordinario, cui conscguentemente si è rivolta la ricorrente.

Il Tribunale di Chieti, nell’accogliere il ricorso della D.S., ha respinto l’eccezione di carenza di giurisdizione proposta dall’Ordine, per due ordini di ragioni: a) la sentenza del TAR ha precisato che la domanda è stata proposta tempestivamente, conseguentemente in un caso del genere è il giudice ordinario che deve scrutinare e decidere la controversia, anche se inerente ad un periodo lavorativo antecedente il 30 giugno 1998; b) comunque, l’Ordine non ha impugnato la suddetta sentenza del TAR, sicchè essa è divenuta definitiva, con la conseguenza che l’Ordine non ha più titolo e potere di sollevare eccezioni o contestazioni, anche in altra sede giudiziaria, relativamente alla devoluzione dei fatti di causa al giudice ordinario.

Dalle suesposte considerazioni si desume l’erroneità della statuizione della Corte d’appello di accoglimento dell’eccezione di decadenza, neanche sollevata dall’Ordine se non sub specie di prescrizione, avendo la lavoratrice adito tempestivamente il giudice amministrativo.

Ciò risulta ancora più evidente per effetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 77 del 2007 e della sentenza delle Sezioni Unite 22 febbraio 2007, n. 4109, che hanno sancito l’operatività della c.d. traslatio judicii non soltanto all’interno del medesimo ordine giurisdizionale, ma anche nei rapporti tra ordini giurisdizionali diversi tutte le volte in cui vi sia una pronuncia sulla giurisdizione, con la conseguente conservazione degli effetti interruttivi della prescrizione e impeditivi della decadenza.

3 – Sintesi del motivo del ricorso incidentale condizionato.

3- Con il motivo del ricorso incidentale condizionato, illustrato da quesiti di diritto, si denuncia, in relazione all’eccezione di prescrizione: a) motivazione insufficiente, illogica e contraddittoria circa un punto decisivo della controversia, ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5; b) violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2948 cod. civ., ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 3.

Si censura la sentenza impugnata per non avere esaminato l’eccezione di prescrizione del credito della lavoratrice alla rivendicate differenze retributive, già rigettata dal giudice di primo grado.

Infatti, il suddetto credito è soggetto a prescrizione quinquennale che decorre anche in costanza di rapporto di lavoro assistito da stabilità – quale è quello di "pubblico impiego" in oggetto – sicchè la controparte avrebbe dovuto specificamente allegare e dimostrare l’esistenza di atti interruttivi, mentre ciò non è avvenuto, essendosi il giudice di primo grado limitato a fare riferimento alle esistenza agli atti di numerose richieste formali di pagamento e di messa in mora dell’Ordine aventi ad oggetto le suddette differenze retributive.

Conseguentemente, il primo valido atto interruttivo dovrebbe essere considerato il ricorso al TAR Abruzzo, sezione di Pescara, del 2000 e pertanto i crediti della lavoratrice relativi al periodo 1983-1995 sarebbero prescritti, mentre potrebbero essere legittimamente valutati solo con riguardo al periodo 1995-23 dicembre 1999. 4 – Sintesi dei motivi del ricorso incidentale autonomo.

4- Con il primo motivo del ricorso incidentale autonomo, illustrato da quesiti di diritto, si denuncia: 1) nullità della sentenza d’appello per contrasto tra motivazione e dispositivo, nel capo relativo alle pretese retributive derivanti dalla L. n. 336 del 1970, ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 4, e art. 156 cod. proc. civ.; 2) in via subordinata, e sempre con riferimento all’avvenuto riconoscimento delle pretese retributive derivanti dalla L. n. 336 del 1970: a) motivazione insufficiente, illogica e contraddittoria sul suddetto punto decisivo della controversia, ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5; b) violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., nonchè dell’art. 2697 cod. civ., per essere state ritenute provate le suddette pretese retributive.

Si sostiene che la statuizione, contenuta nel dispositivo della sentenza impugnata, in base alla quale, dopo la dichiarazione della decadenza della lavoratrice per i crediti anteriori al 1 luglio 1998, è stata confermata "per il resto" la sentenza di primo grado, sarebbe in contrasto con il punto della motivazione ove la Corte aquilana ha precisato che l’unico punto controverso restante era quello relativo a stabilire se il trattamento da riconoscere alla lavoratrice fosse quello corrispondente alla qualifica da archivista (riconosciutole) ovvero quello più elevato (rivendicato).

Poichè tale ultima affermazione è successiva a quella sulla irrilevanza delle contestazioni sulla determinazione della retribuzione dovuta, basate sulla rivendicazione delle differenze retributive maturate in base ai benefici derivanti dalla L. n. 336 del 1970 e riferite all’intero periodo lavorativo, non risulterebbe chiaro se la Corte d’appello: 1) abbia inteso respingere la domanda relativa alle suddette differenze retributive tout-court, nel qual caso andrebbe dichiarato il passaggio in giudicato di questa statuizione, che la lavoratrice non ha impugnato; 2) ovvero se si sia verificato un insanabile contrasto sul punto tra motivazione e dispositivo, che porterebbe alla dichiarazione di nullità della sentenza in oggetto.

In via subordinata, rispetto alle suesposte censure, il ricorrente incidentale sostiene che, qualora la sentenza fosse interpretata sul punto nel senso di aver disposto l’accoglimento (limitatamente al periodo di lavoro successivo al 1 luglio 1998) della domanda della lavoratrice sui miglioramenti retributivi derivanti dalla L. n. 336 del 1970, allora sarebbero rinvenibili il vizio di omessa o insufficiente motivazione nonchè il vizio di violazione o falsa applicazione delle norme in tema di prove nel processo civile.

In particolare, sarebbe da censurare il fatto che la Corte d’appello, dopo aver ritenuto insufficiente la motivazione espressa sul punto nella sentenza di primo grado, ne ha poi confermato la relativa statuizione e, d’altra parte, il Tribunale ha accolto, sul punto, la domanda della lavoratrice nonostante risultasse la corresponsione degli emolumenti richiesti, da documenti prodotti in giudizio dall’Ordine e non contestati.

5- Con il secondo motivo del ricorso incidentale autonomo, illustrato da quesiti di diritto, si censura la sentenza impugnata, nella parte in cui ha riconosciuto le mansioni superiori alla D.S., denunciando al riguardo: a) motivazione insufficiente, illogica e contraddittoria circa un punto decisivo della controversia, ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5; b) violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., nonchè degli artt. 2697, 2727 e 2729 cod. civ., ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 3; c) violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 3 del 1957, art. 31, del D.Lgs. n. 29 del 1993, artt. 56 e 57, nei diversi testi vigenti durante il periodo oggetto della presente controversia, compreso tra il 1983 e il 1999.

Si rileva, principalmente, che la Corte d’appello ha ritenuto accertato lo svolgimento di mansioni superiori sulla base di una presunzione semplice, a sua volta fondata sulla circostanza di fatto dell’essere stata la D.S. l’unica dipendente dell’Ordine, circostanza quest’ultima non accertata giudizialmente, mai sostenuta dalla stessa interessata e anzi contraddetta dai documenti versati in atti.

5 – Esame del ricorso principale 6.- Il ricorso principale è fondato.

6.1- Dalla sentenza n. 528 del 25 maggio 2001 del TAR per l’Abruzzo, sede di Pescara, richiamata anche nella sentenza di primo grado (presenti in atti ed esaminabili, in considerazione del tipo di censure prospettate), risulta che il giudice amministrativo ha ritenuto di non avere la giurisdizione per le prestazioni rese dalla D.S. in data anteriore al 30 giugno 1998 aderendo alla tesi – peraltro minoritaria nell’ambito della giustizia amministrativa secondo cui il D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 45, comma 17 (oggi D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69, comma 7), ove stabilisce che le controversie in materia di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, riguardanti questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro anteriore al 30 giugno 1998, "restano attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e debbono essere proposte, a pena di decadenza, entro il 15 settembre 2000", deve essere inteso nel senso che, entro quest’ultima data, il relativo ricorso deve essere non solo notificato, ma anche depositato.

Pertanto, pur dando atto dell’avvenuta notifica dei ricorso prima del 15 settembre 2000, il TAR ha dichiarato il proprio difetto di giurisdizione per essere stato effettuato il deposito in Segreteria dopo il 15 settembre 2000.

Successivamente, la lavoratrice in data 20 marzo 2002 – quindi entro un anno dal deposito della sentenza del TAR (avvenuto, come si è detto, il 25 maggio 2001) e perciò tempestivamente, in base alla normativa applicabile ratione temporis – ha depositato presso il Tribunale di Chieti il ricorso introduttivo del presente giudizio.

In questa situazione – diversamente da quanto ritenuto dalla Corte d’appello – è da escludere che possa essere dichiarata la decadenza della D.S. per i crediti relativi al periodo anteriore al 1 luglio 1998, per le ragioni di seguito precisate.

6.2- Va, in primo luogo, ricordato che, per consolidati e condivisi orientamenti di questa Corte:

a) in materia di rapporti di lavoro instaurati con lo Stato o con altre pubbliche amministrazioni, il D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 45, comma 17 (oggi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69, comma 7) – che ha trasferito al giudice ordinario le controversie in materia di pubblico impiego privatizzato e ha dettato la relativa disciplina transitoria – utilizzando a tal fine la locuzione generica e atecnica di "questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro successivo al 30 giugno 1998" ovvero "anteriore a tale data", non collega rigidamente il discrimine temporale del trasferimento delle controversie alla giurisdizione ordinaria ad elementi come la data del compimento, da parte dell’amministrazione, dell’atto di gestione del rapporto che abbia determinato l’insorgere della questione litigiosa, oppure l’arco temporale di riferimento degli effetti di tale atto, o, infine, il momento di insorgenza della contestazione, e deve essere invece interpretato nel senso che deve aversi riguardo al dato storico costituito dall’avverarsi dei fatti materiali e delle circostanze – così come posti a base della pretesa avanzata – in relazione alla cui giuridica rilevanza sia insorta la controversia (vedi, per tutte: Cass. SU 30 gennaio 2003, n. 1511; Cass. SU 3 maggio 2005, n. 9101; Cass. SU 28 giugno 2006, n. 14846);

b) nella suddetta materia, ai fini della declaratoria della giurisdizione, non rileva neppure l’avvenuto superamento della data del 15 settembre 2000 di cui al D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 45, comma 17 (oggi D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69, comma 7), in quanto tale termine non costituisce un limite alla persistenza della giurisdizione amministrativa, ma un termine di decadenza sostanziale per la proponibilità della domanda giudiziale, con conseguente attinenza ai limiti interni della giurisdizione di ogni questione sul punto, quale quella concernente la operatività della traslatio judicii e la conseguente eventualità che la riassunzione, dopo la suddetta data del 15 settembre 2000, davanti al giudice amministrativo della causa già introdotta davanti a quello ordinario prima della medesima data impedisca il verificarsi della decadenza (Cass. SU 30 gennaio 2003, n. 1511; Cass. SU 3 maggio 2005, n. 9101;

Cass. SU 17 novembre 2005, n. 23236; Cass. SU 24 marzo 2006, n. 6573;

Cass. SU 28 giugno 2006, n. 14846; Cass. SU 8 maggio 2007, n. 10371;

Cass. 6 dicembre 2010, n. 24690);

c) nell’ipotesi di inquadramento in ruolo nel pubblico impiego in seguito a ricorso in giudizio dinanzi al giudice amministrativo, con retrodatazione della nomina a fini giuridici, ma non a quelli economici, la controversia instaurata nei confronti della P.A., avente ad oggetto le differenze retributive spettanti per un periodo del rapporto di lavoro antecedente al 30 giugno 1998, appartiene alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ai sensi del D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 45, comma 17 (ora D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69, comma 7), essendo il rapporto di lavoro costituito fin dalla data stabilita giudizialmente. Per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 77 del 2007, la domanda proposta dinanzi al giudice ordinario potrà essere proseguita dinanzi al giudice amministrativo, con salvezza degli effetti sostanziali e processuali (Cass. SU 16 novembre 2007, n. 23738);

d) in linea generale, la traslatio iudicii – in virtù della quale occorre fare riferimento all’originario atto introduttivo al fine di verificare l’ammissibilità della domanda in relazione ai termini di decadenza eventualmente stabiliti per la proponibilità della medesima, anche nel caso di domanda originariamente proposta ad un giudice appartenente ad un ordine giurisdizionale diverso da quello cui va correttamente indirizzata – anche prima dell’entrata in vigore della L. n. 69 del 2009, art. 59, comma 2, è divenuta una regola certa dell’ordinamento in seguito alla sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte 22 febbraio 2007, n. 4109 e alla coeva sentenza della Corte costituzionale 12 marzo 2007 n. 77, ove è stato affermato il principio generale, secondo cui gli effetti, sostanziali e processuali, prodotti dalla domanda proposta a giudice privo di giurisdizione si conservano, a seguito di declinatoria di giurisdizione, nel processo proseguito davanti al giudice munito di giurisdizione, atteso che l’opposto principio – non formulato espressamente in una o più disposizioni di legge, ma presupposto dall’intero sistema dei rapporti tra giudice ordinario e giudici speciali e tra i giudici speciali – per cui la declinatoria della giurisdizione comporta l’esigenza di instaurare ex novo il giudizio senza che gli effetti sostanziali e processuali prodotti dalla domanda originariamente proposta si conservino nel nuovo giudizio, "deve essere espunto, come tale, dall’ordinamento" (arg. ex Cass. SU 4 giugno 2007, n. 13048; Cass. SU. 22 novembre 2010, n. 23596; Cass. SU 21 aprile 2011, n. 9130);

e) a ciò consegue che il processo iniziato davanti ad un giudice – che ha poi dichiarato il difetto di giurisdizione – e riassunto nel termine di legge davanti al giudice, indicato dal primo come dotato di giurisdizione, non costituisce un nuovo ed autonomo procedimento, ma la naturale prosecuzione dell’unico giudizio per quanto inizialmente introdotto davanti a giudice carente della, giurisdizione; conseguentemente non è necessario riproporre ex novo della domanda, in quanto i principi costituzionali di effettività e certezza della tutela giurisdizionale impongono che la funzione di dare giustizia – pur articolata secondo il sistema della Costituzione attraverso una pluralità di ordini giurisdizionali – non sia da questa ostacolata; ne deriva l’effetto di una riduzione ad unità del processo dalla domanda alla decisione finale, con la connessa privazione di rilevanza impeditiva, così come per la competenza, all’errore iniziale della parte nella individuazione del giudice provvisto di giurisdizione (Cass. SU. 22 novembre 2010, a 23596;

Cass. SU 21 aprile 2011, n. 9130).

6.3.- La Corte d’appello dell’Aquila non si è attenuta ai suddetti principi ove ha dichiarato la decadenza della D.S. per i crediti retributivi riferentisi al periodo anteriore al 1 luglio 1998, specialmente perchè:

1) ha attribuito al termine del "15 settembre 2000" un ruolo – di fissazione di una decadenza nei confronti del giudice ordinario – che non trova alcuna corrispondenza, come risulta anche dalle citate sentenze di questa Corte, nell’interpretazione letterale e teleologia del D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 45, comma 17, (oggi D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69, comma 7), da cui si desume che la fissazione del suddetto termine è stata principalmente finalizzata ad evitare l’ulteriore protrarsi della giurisdizione del giudice amministrativo, onde consentire una migliore organicità e operatività della riforma del lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione, prevedente la devoluzione al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, delle relative controversie su questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro successivo al 30 giugno 1998;

2) non ha tenuto conto della sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte 22 febbraio 2007, n. 4109 e della coeva sentenza della Corte costituzionale 12 marzo 2007 n. 77, ove è stato affermato il principio generale e immediatamente operativo, secondo cui la traslatio iudicii è una regola da applicare anche nei rapporti tra processi devoluti a giudici appartenenti ad un ordini giurisdizionali diversi, in base ai suddetti principi costituzionali.

Per quanto si è detto il motivo del ricorso principale deve essere accolto.

6 – Assorbimento del ricorso incidentale condizionato e del primo motivo del ricorso incidentale autonomo.

7.- L’accoglimento del ricorso principale, comporta la dichiarazione dell’assorbimento dell’unico motivo del ricorso incidentale condizionato e del primo motivo del ricorso incidentale autonomo, onde consentire alle parti di confrontarsi in sede di giudizio rinvio – nel rispetto dei principi su affermati in ordine alla decadenza, oltre che del carattere "chiuso" di tale ultimo giudizio – su tutte le questioni riguardanti l’incidenza della prescrizione e la esatta determinazione degli emolumenti dovuti alla D.S. (Cass. 29 febbraio 2008, n. 5513; Cass. 6 giugno 2006, n. 13259; Cass. 3 aprile 1978, n. 1503).

7 – Esame dei motivi del ricorso incidentale autonomo.

8- Il secondo motivo del ricorso incidentale autonomo non è fondato.

8.1.- Nonostante il formale richiamo alla violazione di norme di legge contenuto nell’intestazione del motivo, tutti i profili di censura si risolvono nella denuncia di vizi di motivazione della sentenza impugnata per errata valutazione del materiale probatorio acquisito, ai fini della ricostruzione dei fatti.

Al riguardo va ricordato che la deduzione con il ricorso per cassazione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata non conferisce al Giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito della vicenda processuale, bensì la sola facoltà di controllo della correttezza giuridica e della coerenza logica delle argomentazioni svolte dal Giudice del merito, non essendo consentito alla Corte di Cassazione di procedere ad una autonoma valutazione delle risultanze probatorie, sicchè le censure concernenti il vizio di motivazione non possono risolversi nel sollecitare una lettura delle risultanze processuali diversa da quella accolta dal Giudice del merito (vedi, tra le tante: Cass. 20 aprile 2011, n. 9043; Cass. 13 gennaio 2011, n. 313; Cass. 3 gennaio 2011, n. 37; Cass. 3 ottobre 2007, n. 20731; Cass. 21 agosto 2006, n. 18214; Cass. 16 febbraio 2006, a 3436; Cass. 27 aprile 2005, n. 8718).

Nella specie le valutazioni delle risultanze probatorie operate dal Giudice di appello, sul punto relativo al riconoscimento delle mansioni superiori alla lavoratrice, sono congruamente motivate e l’iter logico-argomentativo che sorregge la decisione è chiaramente individuabile, non presentando alcun profilo di manifesta illogicità o insanabile contraddizione.

8.2- D’altra parte, si deve ricordare che, secondo consolidati e condivisi indirizzi di questa Corte:

a) la violazione del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ., si configura soltanto nell’ipotesi che il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne è gravata secondo le regole dettate da quella norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, il giudice abbia errato nel ritenere che la parte onerata abbia assolto tale onere, poichè in questo caso vi è soltanto un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5 (Cass. 5 settembre 2006, n. 19064; Cass. 24 febbraio 2004, n. 3642; Cass. 14 febbraio 2001, n. 2155; Cass. 10 febbraio 2006, n. 2935);

b) in tema di valutazione delle risultanze probatorie, in base al principio del libero convincimento del giudice, la violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., è apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5, e deve emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non già dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità (Cass. 20 giugno 2006, n. 14267; Cass. 12 febbraio 2004, n. 2707; Cass. 13 luglio 2004, n. 12912; Cass 20 dicembre 2007, n. 26965; Cass. 18 settembre 2009, n. 20112).

Ne consegue che il presente motivo deve essere rigettato in quanto, oltre ad essere formulato in contrasto con il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, sostanzialmente consiste in una critica al modo in cui la Corte aquilana ha effettuato la valutazione – di propria competenza, nonchè esplicitata in modo plausibile e logico – del materiale probatorio in atti, al fine di giungere alla conclusione – che, peraltro, si risolve in un apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito ed incensurabile in sede di legittimità se, come accade nella specie, congruamente motivato – dell’avvenuto esercizio, da parte della lavoratrice, di mansioni superiori.

Nè assume rilievo in contrario il fatto che, nella sentenza, si attribuisca alla D.S. il ruolo di "unica dipendente", anzichè di "unica impiegata", come, più precisamente, indicato nella sentenza di primo grado (consumabile, in considerazione del tipo di censura prospettata). Tale improprietà terminologica, infatti, non scalfisce il senso logico e giuridico della motivazione sul punto controverso in argomento.

8 – Conclusioni.

9.- In sintesi, deve essere accolto il ricorso principale, con assorbimento del ricorso incidentale condizionato e del primo motivo del ricorso incidentale autonomo. Il secondo motivo del ricorso incidentale autonomo va, invece, rigettato.

Conseguentemente la sentenza impugnata va cassata, in relazione alle censure accolte, con rinvio, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Campobasso.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi. Accoglie il ricorso principale, assorbiti il ricorso incidentale condizionato e il primo motivo del ricorso incidentale autonomo; rigetta il secondo motivo del ricorso incidentale autonomo. Cassa la sentenza impugnata, in relazione alle censure accolte, e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Campobasso.

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