Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 05-04-2011) 03-10-2011, n. 35695 Violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte d’Appello di Catanzaro con sentenza emessa il 9 giugno 2010, in parziale riforma, in punto pena, della sentenza dell’11 febbraio 2007 emessa all’esito di giudizio abbreviato dal Gup presso il Tribunale di Lamezia Terme, che aveva dichiarato L.T. colpevole del delitto di cui all’art. 600 quater c.p., lo ha condannato alla pena di Euro 3.000 di multa.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso l’imputato, tramite il proprio difensore, chiedendone l’annullamento per i seguenti motivi:

1. Inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 441 c.p.p., comma 5 e art. 423 c.p.p., comma 1 e 2, in relazione alla modifica dell’imputazione e violazione ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. e): la Corte d’appello ha ritenuto infondata l’eccezione di nullità della modifica del capo di imputazione con la quale era stata sostituita la contestazione di divulgazione del materiale pedopornografico di cui all’art. 600 ter c.p. con quella di detenzione di cui all’art. 600 quater c.p., perchè la stessa era derivata dalla integrazione istruttoria disposta dal giudice e non si tratterebbe di fatto nuovo. Di contro la contestazione suppletiva sarebbe diretta a rimediare ad una insufficienza già apprezzabile sulla base degli stessi atti di indagine: le condotte sono completamente diverse, in quanto la detenzione diventa un antefatto non punibile, perchè assorbito in una delle condotte di cui all’art. 600 ter c.p., solo quando vi sia identità di materiale detenuto o diffuso.

2. Inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 600 quater c.p. (nella formulazione vigente al momento del fatto, prima della novella del 2006), nella parte in cui puniva la disponibilità di materiale pornografico prodotto mediante lo sfruttamento sessuale di minori, e mancanza e manifesta illogicità di motivazione: la Corte di appello di Catanzaro avrebbe ritenuto dimostrata la provenienza dallo sfruttamento sessuale di minori, per il concreto pericolo di diffusività delle immagini pedopornografiche. Ma la diffusività è concetto diverso in quanto attiene non alla produzione del materiale pornografico, ma alla mera postuma diffusione, mentre il giudice avrebbe dovuto verificare la "consistenza" della condotta degli autori della produzione del materiale pornografico.

3. Mancanza e manifesta illogicità della motivazione con la quale è stato confermato che il materiale ritraesse minori degli anni diciotto, poichè non esiste una regola di esperienza che consenta di affermare, secondo l’id quod plerumque accidit, che alle sembianze da minorenne corrisponda la reale minore età del soggetto raffigurato.

Motivi della decisione

1. Il primo motivo di ricorso è infondato. Risulta evidente che l’ipotesi di divulgazione di materiale pedopornografico (art. 600 ter c.p.), contestata inizialmente, contiene dal punto di vista concettuale quella di detenzione inclusa nella ipotesi oggetto di modifica dell’imputazione di cui all’art. 600 quater c.p. (procurarsi o detenere) ritenuta all’esito dell’integrazione istruttoria, peraltro richiesta dallo stesso imputato quale condizione all’accesso al rito abbreviato. Infatti la giurisprudenza di legittimità ha affermato il principio che la divulgazione di materiale illecito presuppone la sua detenzione, perchè non si può evidentemente divulgare volontariamente "materiale pedopornografico" se non si è in possesso e non si detiene consapevolmente il materiale stesso (cfr., Sez. 3, n. 11169 del 07/11/2008 Gaudino Rv. 242992, ed anche parte motiva di Sez. U, n. 13 del 31/5/2000, PM in proc. Bove).

Conferma dell’assunto è costituita anche dalla impossibilità di ritenere le due ipotesi concorrenti in caso di identità del soggetto autore delle condotte (cfr. Sez. 3, n. 1814 del 20/11/2007, Marchionni, Rv. 238567 che ha precisato che in tali situazioni la detenzione costituisce un "post factum" non punibile).

Quindi poichè all’esito della perizia tecnica non aveva consentito di accertare che i files pedopornografici scaricati dall’imputato con il programma Kazaa fossero stati condivisi con altri utenti tramite programmi di file sharing, l’originaria contestazione di divulgazione, che assorbiva la detenzione, era stata "derubricata" dal pubblico ministero nell’imputazione di cui all’art. 600 quater c.p., nella formulazione vigente all’epoca dei fatti, peraltro anch’essa munita della cd. clausola di sussidiarietà: quindi la contestazione suppletiva aveva rappresentato una riqualificazione giuridica, peraltro spettante anche al giudice di merito con la decisione, come puntualmente evidenziato nella parte motiva della sentenza impugnata, e non già contestazione di un fatto nuovo.

D’altra parte, è bene precisare che nel rito abbreviato la stessa previsione di cui all’art. 441 bis c.p.p. – che stabilisce la possibilità per l’imputato di chiedere che il processo prosegua con rito abbreviato a fronte delle contestazioni di cui all’art. 423 c.p.p. (modificazione dell’imputazione per fatto diverso, reato connesso ex art. 12, comma 1, lett. b) o circostanza aggravante) – non si applica se le nuove contestazioni non derivano da nuove emergenze, ma riguardano fatti o circostanze già in atti e, quindi, noti all’imputato allorchè ebbe ad avanzare la richiesta di rito abbreviato (in tal senso, Sez. 5, n. 7047 del 27/11/2008, Reinhard, Rv. 242962).

2. Del pari infondato anche il secondo motivo, che vorrebbe interpretare la dizione di "sfruttamento" contenuta nella precedente formulazione dell’art. 600 quater c.p., applicabile al caso di specie ratione temporis, attualmente sostituita con quella di "utilizzazione", nel senso di ritenere necessaria la prova della realizzazione dell’utilità economica in capo ai produttori del materiale pedopornografico. E’ principio consolidato che il concetto di sfruttamento va inteso come approfittamento del minore, per cui rientra nella fattispecie il coinvolgimento del minore nella realizzazione del materiale pornografico (Cfr. Sez. 3, n. 26256 del 28/5/2009, Malena e altri, Rv. 244440 e sez. 3, n. 34201 del 19/5/2010, G., Rv 248226).

3. Manifestamente infondato è l’ultimo motivo, con il quale si propone in verità a questa Corte una rilettura di fatto degli elementi probatori acquisiti agli atti e posti a base del convincimento di colpevolezza dei giudici di merito, espresso con motivazione ampia, congrua e priva di smagliature logiche. Peraltro è bene precisare che la sentenza impugnata, lungi da affermare massime di esperienza nell’ambito della verifica della minore età di una persona, ha dato atto che le immagini pornografiche acquisite al processo ritraevano ragazzine pre-buberi, prive dei caratteri fisici sessuali tipici di donne adulte e, quanto al video, era lo stesso titolo ("Sara 16 anni") a rendere evidente che il soggetto ivi ripreso era minorenne.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato ed il ricorrente deve essere condannato, ai sensi del disposto di cui all’art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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