Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 05-04-2011) 03-10-2011, n. 35694 Ignoranza della legge

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Rovigo, sez distaccata di Adria, con sentenza in data 8 marzo 2010 ha condannato P.A. alla pena di 250 Euro di ammenda per il reato di cui all’art. 161 c.n., per aver occupato due specchi d’acqua demaniali senza la prevista concessione demaniale, in (OMISSIS).

L’imputato, tramite il proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione, per i seguenti motivi:

1. Nullità della sentenza impugnata per violazione della legge penale e segnatamente dell’art. 5 c.p., contraddittorietà ed insufficienza manifesta della motivazione, in quanto l’imputato, titolare di una concessione demaniale per l’impianto di sifoni di prelevamento dell’acqua di mare, asserviti allo stabilimento di depurazione e stabulazione molluschi denominato (OMISSIS), è stato condannato solo per avere omesso di chiedere il rinnovo della concessione relativa alle condotte per il prelievo dell’acqua marina, scaduta il 31.12.2001, condotta frutto di un errore scusabile sulla legge penale, causato dalla farraginosità e dalla frammentarietà (ammessa dallo stesso Giudice di prime cure) della normativa che regola le concessioni demaniali del tipo di cui si tratta, caratterizzata dal passaggio di competenze nella gestione amministrativa dei demanio marittimo, dall’Autorità centrale (Guardia Costiera), agli Enti Locali.

In base alla normativa, l’imputato era legittimato a ritenere che la concessione demaniale marittima, la cui scadenza era successiva all’entrata in vigore della legge di modifica della disciplina n. 88 del 2001, fosse assoggettata alla disciplina del rinnovo automatico per sei anni. Solo successivamente, e cioè con l’art. 13 della L. 8/7/2003 n. 172, il Legislatore aveva "interpretato autenticamente" la normativa dei 2001, stabilendo che il rinnovo automatico si applica alle sole concessioni per attività turistico – ricreative.

Ma la citata legge di interpretazione autentica non era conoscibile, in quanto contenuta in un provvedimento legislativo avente ad oggetto "Disposizioni per il riordino e il rilancio della nautica da diporto e del turismo nautico". Attraverso le testimonianze di entrambi gli operanti di P.G. sarebbe stato confermato che l’imputato non avrebbe potuto ottenere dall’Autorità amministrativa, per il citato passaggio di competenze tra enti. Erroneamente quindi il giudice ha escluso la buona fede dell’imputato in considerazione del fatto che egli chiese il rinnovo della concessione scaduta, in quanto ciò avvenne nell’anno 2007, e dunque successivamente all’accertamento operato dalla Capitaneria di Porto.

2. Nullità della sentenza impugnata per violazione della legge penale sostanziale e dell’art. 1161 c.n., in quanto l’imputato avrebbe dovuto essere assolto perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato. E’ stato erroneamente ritenuto che l’occupazione dell’area demaniale, assentita regolarmente dall’Amministrazione sino alla scadenza della concessione, sarebbe divenuta arbitraria successivamente allo spirare di tale termine, mentre la fattispecie incriminatrice non appare suscettibile di essere applicata alla fattispecie concreta, posto che l’occupazione arbitraria del suolo demaniale, a cui consegue impedimento del pubblico godimento dei beni del demanio marittimo, deve essere caratterizzata o dall’originaria assenza di un titolo abilitativo o da arbitrarietà "sopravvenuta", nei caso in cui il titolo abilitativo originariamente rilasciato venga meno, per scadenza o per revoca. La situazione rendeva impossibile ed inesigibile l’attivazione da parte del P. per la cessazione dell’occupazione, poichè le opere oggetto della concessione avevano natura inamovibile e per le opere inamovibili è prevista una disciplina specifica, ad opera dell’art. 49 c.n., ed esse, al termine della validità della concessione demaniale, vengono acquisite al patrimonio dello Stato. Inoltre, nel caso di specie, la condotta sembrerebbe caratterizzata da assoluta carenza di offensività concreta, come attestato anche dal successivo rinnovo della concessione demaniale, per quelle stesse condotte di adduzione e abduzione dell’acqua di mare, negli stessi termini di cui alla concessione precedentemente scaduta.

Motivi della decisione

1. Il primo motivo di ricorso risulta infondato. Infatti, quanto alla asserita impossibilità di conoscere la normativa, non può darsi rilevanza alla pretesa scusabilità dell’ignoranza delle procedure di rinnovo delle concessioni demaniali marittime solo sulla scorta di una "farraginosità" della disciplina e sul rilievo della difficoltà di reperire corrette informazioni per il trasferimento di competenze alla regione.

Con la L. 16 marzo 2001, n. 88, art. 10, il D.L. n. 400 del 1993, art. 1, comma 2, convertito nella L. n. 494 del 1993, era stato modificato prevedendo che le concessioni demaniali marittime, indipendentemente dalla natura o dal tipo degli impianti previsti per lo svolgimento dell’attività, hanno durata di 6 anni, con rinnovo automatico alla scadenza; con la L. n. 172 del 2003, è stato precisato che il rinnovo automatico deve essere applicato alle sole concessioni per attività turistico – ricreative. Come correttamente rilevato dal giudice di merito, anche a voler ritenere dubbia la comprensibilità della disciplina vigente, tale dubbio avrebbe potuto al più portare ad una situazione di incertezza fino al 2003, quando poi fu emanata la disposizione di interpretazione autentica e non già fino al 2006, anno in cui il P. ha poi provveduto a chiedere il rinnovo della concessione demaniale. Peraltro, atteso il tempus commissi delicti, anche volendo accogliere la suggestiva tesi, favorevole all’imputato, della "equivocità normativa", il fatto non assumerebbe alcun rilievo nel giudizio.

Prendendo infatti le mosse dall’arresto delle Sezioni Unite (sulla scia della sentenza n. 364 del 1988della Corte costituzionale) i limiti della inevitabilità, e quindi della non colpevolezza, dell’ignoranza della legge penale, che scusa l’autore dell’illecito, debbono essere individuati in relazione allo specifico soggetto agente: mentre per il cittadino comune è sufficiente l’ordinaria diligenza nell’assolvimento di un dovere di informazione di tipo generico, attraverso la corretta utilizzazione dei normali mezzi di informazione, di indagine e di ricerca dei quali disponga, "tale obbligo è particolarmente rigoroso per tutti coloro che svolgono professionalmente una determinata attività, i quali rispondono dell’illecito anche in virtù di una "culpa levis" nello svolgimento dell’indagine giuridica. Per l’affermazione della scusabilità dell’ignoranza, occorre, cioè, che da un comportamento positivo degli organi amministrativi o da un complessivo pacifico orientamento giurisprudenziale, l’agente abbia tratto il convincimento della correttezza dell’interpretazione normativa e, conseguentemente, della liceità del comportamento tenuto", (cfr. SSUU, n. 8154 del 10/6/1994, P.G. in proc. Calzetta Rv. 197885, Sez. 5, n. 41476 del 25/9/2003, Izzo, Rv. 227042, Sez. 3, n. 172 del 06/11/2007, Picconi, Rv. 238600). Non è quindi consentita un’inerzia del cittadino, il quale è tenuto ad informarsi, facendo sorgere l’obbligo in capo all’organo amministrativo di dare una risposta sul punto o sorgere, ed essendo particolarmente rigoroso il dovere di attivarsi ed informarsi, per l’agente che svolga professionalmente una attività in un determinato settore (Sez. 4^, n. 32069 del 15/7/2010, P.M. in proc. Albuzza, Rv. 248339). Proprio in tema di tutela del demanio, la giurisprudenza ha ritenuto che debba essere escluso l’elemento psicologico del reato di occupazione abusiva di spazio demaniale quando la condotta dell’agente riveli una volontà contraria alla violazione di legge e l’agente abbia assolto all’onere della prova di aver fatto tutto il possibile per uniformarvisi (in tal senso, Sez. 3^, n. 31134 del 29/5/2008, Marino, Rv. 240823).

Alla luce di tali precedenti, ritiene questo Collegio di dover affermare il principio che nè il carattere di frammentarietà di una disciplina normativa, nè il fatto che sull’applicazione della stessa si siano formati diversi orientamenti, tanto da giustificare l’emanazione di una norma di interpretazione autentica, possono essere invocati a causa di ignoranza incolpevole della legge penale, o comunque della legge integratrice del precetto penale, facendo venir meno l’elemento soggettivo del reato, quando il soggetto che svolga professionalmente una specifica attività non abbia dimostrato di aver fatto tutto il possibile per richiedere alle autorità competenti i chiarimenti necessari e per informarsi in proprio, ricorrendo ad esperti giuridici, con ciò adempiendo allo stringente dovere di informazione sullo stesso gravante.

Nel caso di specie, non solo il ricorrente non aveva adotto elementi che dimostrassero l’adempimento di tale dovere di specifica diligenza, ma anzi, dalle dichiarazioni rese a dibattimento dai verbalizzanti era stato evidenziato che lo stesso non aveva pagato i canoni relativi alla concessione, rendendo con ciò evidente che non ritenesse affatto di avere beneficiato di un rinnovo della concessione, il quale, se fosse stato effettivo, avrebbe comportato il pagamento del relativo canone concessorio.

2. Quanto al secondo motivo di ricorso, lo stesso è del pari privo di fondamento. Il reato di cui agli artt. 54 e 1161 c.n., ha natura permanente e "consiste non solo nella esecuzione di nuove opere in una zona protetta del demanio marittimo, ma anche nel mantenere tale zona indisponibile, per effetto della detta esecuzione, agli usi cui è deputata, per cui la permanenza cessa solo con la rimozione delle opere, ovvero con il conseguimento dell’autorizzazione" (Cfr. Sez. 3^, n. 4401 del 10/3/2000, P.M. in proc. Parisi e altro, Rv. 215883).

Non può infatti essere considerata applicabile al caso di specie la decisione richiamata dal ricorrente relativa ad un condotta sottomarina servente un ente comunale, la quale di certo possiede il requisito dell’inamovibilità richiesto per l’acquisizione dell’opera allo Stato ex art. 49 c.n., non riconoscibile in relazione ai due sifoni per prelievo e restituzione di acqua marina, installati dalla società ittica gestita dal P. a seguito di concessione ormai scaduta. Il ricorso deve pertanto essere rigettato ed al rigetto consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ex art. 616 c.p.p..

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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