Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 28-02-2012, n. 3029 Contratto a termine

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con la sentenza n. 1831 del 28 dicembre 2006, la Corte d’Appello di Catanzaro rigettava l’appello proposto da Poste italiane spa, nei confronti di R.M., in ordine alla sentenza del Tribunale di Paola che aveva dichiarato la nullità del termine apposto al contratto di lavoro stipulato per il periodo 2 ottobre 2000-31 gennaio 2001, con la condanna della suddetta società alla riammissione in servizio del R..

2. Per la cassazione della suddetta sentenza ricorre Poste italiane spa, prospettando otto motivi di impugnazione.

3. L’intimato non ha svolto difese.

4. Parte ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c., con la quale, nell’insistere nelle conclusioni già rassegnate, ha chiesto, anche in riferimento alla L. n. 183 del 2010, art. 32, che al presente giudizio fosse riunito il successivo giudizio r.g. n. 20178 del 2011, relativo alla sentenza n. 951 del 2010 della Corte d’Appello di Catanzaro che pronunciava sulle conseguenze economiche scaturenti dalla declaratoria di nullità del termine apposto al contratto di lavoro a termine in questione.

Motivi della decisione

1. Non si ritiene di accogliere l’istanza di rinvio a nuovo ruolo, intesa a permettere la riunione della presente causa, avente ad oggetto la reintegrazione del lavoratore illegittimamente privato del posto di lavoro, con la causa concernente la determinazione quantitativa del danno conseguente all’illegittimo comportamento del datore.

Il rinvio nuocerebbe alla speditezza del processo, voluta dall’art. 111 Cost., comma 2, nè sussiste il pericolo di contrasto tra giudicati, che giustificherebbe l’applicazione dell’art. 274 c.p.c..

Opportuna sarebbe stata, invece, l’istanza di riunione prima che le cause fossero state fissate a ruolo.

2. Con il primo motivo di ricorso, assistito dal prescritto quesito, è dedotta la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 112 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 4.

Espone la ricorrente di aver prodotto all’udienza del 7 novembre 2006, una nota datata 13 maggio 2006 con la quale il lavoratore, successivamente all’operato ripristino del rapporto di lavoro, rassegnava le dimissioni dal servizio, e di aver, quindi, evidenziato l’intervenuta cessazione della materia del contendere; su tale argomentazione difensiva la Corte d’Appello aveva omesso di statuire.

2.1. Il motivo è inammissibile.

Occorre osservare che è preliminare la corretta qualificazione giuridica del motivo di impugnazione. La censura, non attiene al mancato esame di un motivo di appello, sussumibile nell’ambito dei vizi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, quanto all’omessa valutazione di risultanze istruttorie, basandosi l’odierna censura sull’omessa motivazione circa il valore di un documento prodotto in udienza.

Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, il ricorso per cassazione – per il principio di autosufficienza – deve contenere in sè tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di fare rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito. Pertanto il ricorrente che denuncia, sotto il profilo di omessa o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, l’omessa o erronea valutazione delle risultanze istruttorie ha l’onere di indicarne specificamente il contenuto (Cass., n. 15952 del 2007).

Nella specie il motivo d’impugnazione non soddisfa tali requisiti, in quanto non è trascritto, nella parte qui rilevante, il contenuto della nota, nè sono specificate le modalità dell’eccezione di cessazione della materia del contendere, tenuto conto, altresì, che la riammissione in servizio (rispetto alla quale il ricorrente deduce l’eccezione disattesa di cessazione della materia del contendere, quale principale domanda) rinviene necessario presupposto logico- giuridico nell’accoglimento della domanda di nullità del termine apposto al contratto.

3. Con il secondo motivo di ricorso, rispetto al quale è stato articolato il quesito di diritto, è prospettata violazione e falsa applicazione di norme di diritto, in relazione all’art. 1372 c.c., comma 1, artt. 1175, 1375, 2697, 1427, 1431, c.c. ( art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

Essa ricorrente aveva eccepito dinanzi al giudice di primo grado l’intervenuta risoluzione consensuale del contratto, resa palese dalla prolungata inerzia del lavoratore. Tale eccezione era stata disattesa, e la relativa statuizione era stata impugnata in appello.

Il rigetto, sul punto, della Corte d’Appello violerebbe le suddette disposizioni.

Il motivo non è fondato.

La Corte territoriale ha fornito una motivazione, in fatto, congrua, adeguata e priva di vizi logici, evidenziando che il solo decorso del tempo, peraltro dalla cessazione del rapporto di lavoro all’esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione e non alla proposizione dell’iniziativa giudiziaria, non può assurgere a fatto idoneo ad esprimere la volontà della lavoratore, poichè in tal modo si conferirebbe un significato concludente al comportamento inerte di una delle parti, successivamente alla scadenza del termine, in presenza, invece, della equivocità del significato attribuibile, sul piano giuridico, al silenzio.

Tale decisione è conforme al principio più volte affermato da questa Corte secondo cui "nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento di un contratto a tempo indeterminato (sul presupposto dell’illegittima apposizione del termine scaduto) per la configurabilità di una risoluzione del rapporto per mutuo consenso è necessario accertare – sulla base del lasso di tempo lasciato trascorrere dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonchè alla stregua delle modalità di tale conclusione, del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali significative circostanze – che sia presente una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di volere, d’accordo tra loro, porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo; la valutazione del significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto compete al Giudice del merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto" (v. Cass., n. 26935 del 2008).

Tale principio va enunciato anche in questa sede, rilevando, inoltre, che, come pure è stato precisato, nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato per nullità del termine apposto a successivi contratti, per la configurabilità di una risoluzione per mutuo consenso, è necessario accertare che sia presente una volontà chiara e certa delle parti di volere, d’accordo fra loro, porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo, laddove la prova del significato e della portata di siffatte circostanze deve essere fornita dal deducente l’eccezione, in base alla regola generale sull’onere della prova (Cass. n. 17070 del 2002).

4. Con il terzo motivo di ricorso è dedotta omessa e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, precisato nella individuazione degli ulteriori elementi rispetto al mero decorso del tempo che possono valere a qualificare il contegno del lavoratore, successivamente alla cessazione del rapporto, in termini solutori del rapporto e sulla valenza dello svolgimento, da parte del dipendente, di altra attività lavorativa in epoca successiva alla cessazione del rapporto di lavoro a termine in questione.

4.1. Il motivo è inammissibile per le ragioni esposte nell’esaminare il primo motivo di ricorso. Il ricorrente, si limita a rinviare alla memoria in primo grado, le cui relative statuizioni non costituivano oggetto di impugnazione, ma venivano solo reiterate per relationem in appello, senza offrire, a mezzo della trascrizione e della specificazione del contenuto dei mezzi istruttori richiesti, elementi in ordine alla rilevanza e decisività degli stessi.

5. Con il quarto motivo di ricorso, in uno al quesito di diritto, è prospettata violazione e falsa applicazione della L. n. 230 del 1962, artt. 1 e 2, nonchè della L. n. 56 del 1987, art. 23 (art. 360 c.p.c., n. 3).

Erroneamente la Corte d’Appello ha ritenuto che l’introduzione da parte dei contraenti collettivi di nuove ipotesi di assunzioni a termine sarebbe soggetta a pretesi limiti temporali.

6. Con il quinto motivo di ricorso, assistito dal prescritto quesito di diritto, è dedotta violazione e falsa applicazione della L. n. 56 del 1987, art. 23, dell’art. 8 CCNL del 26 novembre 1994, nonchè degli accordi sindacali del 25 settembre 1997, del 16 gennaio 1998, del 27 aprile 1998, del 2 luglio 1998, del 24 maggio 1999 e del 18 gennaio 2001, in connessione con l’art. 1362 c.c., e segg..

La ricorrente deduce che la Corte d’Appello avrebbe errato nell’individuare nel 30 aprile 1998 il preteso termine ultimo di validità ed efficacia temporale dell’accordo integrativo del 25 settembre 1997. 7. Con il sesto motivo di ricorso è prospettata insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, avendo la sentenza d’appello esposto in modo inidoneo le ragioni circa il rapporto, asseritamente sussistente, tra il contratto collettivo, l’Accordo sindacale del 25 settembre 1997 e i successivi c.d. accordi attuativi, in relazione al supposto limite temporale a cui sarebbero subordinate le assunzioni a termine effettuate dalla società. 8. Con il settimo motivo di ricorso è dedotta insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, individuato, una volta esclusa dalla Corte d’Appello la riconducibilità della fattispecie alla L. n. 56 del 1987, art. 23, nella alternativa possibilità di riconduzione della previsione ad una delle ipotesi di legittima apposizione del termine di cui alla L. n. 230 del 1962, art. 1. 9. Con l’ottavo motivo di ricorso, in ordine al quale è stato articolato il quesito di diritto, è dedotta violazione e falsa applicazione della L. n. 230 del 1962, art. 1, comma 2, lett. c), degli artt. 1362 e 1363 c.c. ( art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3). Ad avviso della ricorrente, la L. n. 230 del 1962, art. 1, non impone che la ragione legittimante l’assunzione a termine debba letteralmente riprodurre una di quelle normativamente individuate, occorrendo, invece, operare una verifica in concreto, attraverso una ricostruzione del significato letterale e complessivo delle espressioni utilizzate dalle parti.

10. Il quarto, il quinto, il sesto, il settimo ed l’ottavo motivo di ricorso, devono essere trattati congiuntamente in ragione della loro connessione, riguardando, sotto diversi profili, la disciplina giuridica del contratto a termine in questione.

11. Gli stessi non sono fondati.

La Corte d’Appello, con motivazione congrua e logica conforme ai principi di diritto enunciati da questa Corte, ha ritenuto illegittimo il termine apposto al contratto di lavoro in esame, stipulato per il periodo 2 ottobre 2000/31 gennaio 2011, in quanto, in ragione della giurisprudenza di legittimità in materia, era priva di giustificazione l’apposizione del termine, sempre dichiaratamente finalizzato a sopperire a esigenze eccezionali, atteso che oltre la data del 30 aprile 1998 (prorogata di un mese in relazione al periodo delle ferie) cessava l’efficacia della disposizione contrattuale che consentiva l’apposizione di un termine, formalmente ed anche sostanzialmente, atteso che le parti sociali, evidentemente, valutando le esigenze eccezionali della società, le avevano ritenute apprezzabili per quel periodo e non oltre.

Come questa Corte ha più volte affermato, per i contratti che ricadono temporalmente nella previsione di cui al D.L. n. 510 del 1996, art. 9, convertito nella L. n. 608 del 1996, opera la previsione che "che le assunzioni a tempo determinato effettuate dall’ente poste nel periodo compreso dal 26 novembre 1994 al 30 giugno 1997 decadono allo scadere del termine finale di ciascun contratto e non possono quindi dare luogo a rapporti di lavoro a tempo indeterminato" (v. Cass., n. 13515 del 2001, Cass., n. 668 del 2002, Cass., n. 2615 del 2002).

Tale norma eccezionale (che, giustificata da esigenze peculiari nella fase di transizione tra il regime pubblicistico e il regime privatistico, ha superato il vaglio di costituzionalità, v. C. coSt. n. 419 del 2000), "esprime con chiarezza l’intento di rendere temporaneamente inoperanti, a tutti i contratti conclusi nel determinato arco di tempo, le disposizioni della L. n. 230 del 1962 e successive modifiche" (v. Cass., n. 2615 del 2002 cit.).

Per i contratti successivi al detto periodo ed anteriori al CCNL dell’11 gennaio 2001 (nonchè al nuovo regime previsto dal D.Lgs. n. 348 del 2001), tra i quali va ricompreso quello oggetto della fattispecie in esame, vanno applicati i principi più volte affermati da questa Corte in materia, in base ai quali, sulla scia di Cass., S.U., n. 4588 del 2006, è stato precisato che l’attribuzione alla contrattazione collettiva, della L. n. 56 del 1987, ex art. 23, del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali, sulle necessità del mercato del lavoro, idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali e di provare la sussistenza del nesso causale fra le mansioni in concreto affidate e le esigenze aziendali poste a fondamento dell’assunzione a termine (v. fra le altre Cass., n. 15981 del 2009, Cass., n. 21063 del 2008, v. anche Cass., n. 9245 del 2006, Cass. n. 4862 del 2005, Cass. n. 14011 del 2004).

In tale quadro, ove però un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive (anche con accordi integrativi del contratto collettivo), la sua inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione del termine (v. fra le altre Cass., n. 18383 del 2006, Cass., n. 7745 del 2005, Cass., n. 2866 del 2004), per cui, come ripetutamente affermato da questa Corte, deve ritenersi che "in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del CCNL 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo indeterminato, in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, della legge" (v., fra le altre, Cass., n. 20608 del 2007, Cass., n. 7979 del 2008).

Peraltro, tale limite temporale (del 30-4-1998) non riguarda i contratti stipulati ex art. 8 CCNL 1994 per "necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie" (per i quali v. fra le altre Cass. 2 marzo 2007 n. 4933, Cass. 7-3-2008 n. 6204, Cass. 28-3-2008 n. 8122), mentre, per quanto riguarda la proroga di trenta giorni prevista dall’accordo 27-4-1998, per i contratti in scadenza al 30-4-1998, la giurisprudenza costante di questa Corte ne ha affermato la legittimità, sulla base della sussistenza, riconosciuta in sede collettiva, delle esigenze contingenti ed imprevedibili, connesse con i ritardi che hanno inciso negativamente sul programma di ristrutturazione (v. fra le altre Cass., n. 19696 del 1997).

Correttamente, in attuazione dei suddetti principi di diritto, e con congrua motivazione, la Corte d’Appello ha ritenuto che il contratto a termine, essendo stato concluso dopo il 30 aprile 1998 e prima dell’operatività del CCNL 2001, non rinveniva una valida fonte collettiva – attuativa dell’autonomia introdotta dalla delegificazione del 1987 – idonea legittimare l’assunzione a termine del R..

12. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.

13. Nulla per le spese in ragione della mancata costituzione dell’intimato.

P.Q.M.

Motivazione semplificata.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla spese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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