Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 15-06-2010) 03-10-2011, n. 35743

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte d’appello di Catanzaro, con sentenza del 12 aprile del 2010, in parziale riforma di quella pronunciata con il rito abbreviato il 7 dicembre del 2007 dal giudice dell’udienza preliminare presso il tribunale di Vibo Valentia accogliendo l’impugnazione del pubblico ministero, escludeva l’attenuante di cui all’art. 609 bis c.p., comma 3. Riconosciuta dal primo giudice, e rideterminava in anni due e mesi quattro di reclusione la pena che era stata inflitta a D. G., quale responsabile di abuso sessuale continuato in danno di I.V., di anni diciassette all’epoca del fatto, abuso commesso fino al 14 marzo del 2006. Confermava la condanna del prevenuto al risarcimento del danno, da liquidarsi in separata sede, nei confronti della costituita parte civile ed applicava le pene accessorie previste dalla legge.

Secondo la ricostruzione fattuale contenuta in sentenza, D. G., carabiniere in servizio a Tropea e amico di lunga data della famiglia I. (la minore V. era compagna di scuola e amica del cuore della figlia, ed era stata cresimata dalla moglie), aveva indotto in quattro occasioni la ragazza, con minacce e costrizione fisica, a subire toccamenti, rapporti orali e un rapporto sessuale completo. I fatti emergevano dalle dichiarazioni rese dalla minore il 16, 17, 20 marzo e 10 aprile 2006 e dall’interrogatorio reso dal D. il 14 aprile 2006, nel corso del quale l’imputato dapprima aveva negato l’addebito e poi, di fonte alla richiesta di acconsentire alla comparazione del proprio DNA con quello del liquido seminale rinvenuto sul maglione della ragazza, aveva ammesso di avere avuto con lei un rapporto orale il precedente 14 marzo, sostenendo tuttavia essersi trattato di un rapporto consenziente, e di avere mentito per l’imbarazzo dovuto alla situazione e ai rapporti con la famiglia I.. Il primo di tali episodi era avvenuto quattro mesi prima della denuncia-querela sporta il 18 marzo del 2006. In tale occasione il prevenuto accompagnando a casa la minore con la propria macchina aveva deviato dall’ordinario percorso e si era fermato in luogo appartato dove all’improvviso aveva cominciato a palpeggiare la minore. La ragazza si era ribellata, ma l’imputato l’aveva minacciata dicendole che avrebbe riferito a tutti, a cominciare dalla propria figlia, che era stata lei a toccarlo e quindi l’avrebbe svergognata. Nel successivo mese di gennaio l’imputato era andato a prelevare a scuola la figlia e la I. e, dopo avere accompagnato a casa la figlia, per la seconda volta si era appartato con la ragazza ed in questa seconda circostanza l’aveva indotta a masturbarlo e praticargli un rapporto orale tenendole la testa abbassata sul proprio pene. La terza volta, dopo avere prelevato le ragazze a scuola e dopo avere accompagnato la propria figlia a casa, si era appartato con la I. e, sempre con la minaccia che avrebbe riferito a tutti che era stata lei a molestarlo, l’aveva indotta ad un rapporto orale ed a toccamenti vaginali. La quarta volta con le modalità innanzi descritte aveva avuto un rapporto vaginale completo. Dopo qualche giorno da tale ultimo rapporto la minore ha denunciato il fatto alla madre perchè questa si era resa conto che la figlia non era più vergine.

Nel corso delle indagini preliminari, con incidente probatorio, erano disposte sulla vittima due perizie: una ginecologica e l’altra psicologica. La prima confermava che la minore aveva avuto rapporti sessuali completi ( D. aveva ammesso un mero rapporto orale);

la seconda aveva stabilito che la ragazza (di anni 17 anni all’epoca del fatto) era normalmente dotata sul piano percettivo e cognitivo, ma presentava una personalità ingenua e acerba, mancante di intraprendenza e acutezza, e un’età psicologica apparentemente minore della reale.

Tanto premesso in fatto, la Corte, al pari del giudice di primo grado, ritenne attendibile la vittima. In proposito osservava che la maturità psicologica ed emotiva della parte lesa, pur non integrante una condizione di infermità psichica, poteva giustificare l’incidenza su di lei delle minacce del prevenuto come quella che l’avrebbe "svergognata" dicendo a tutti che era stata lei a molestarlo, se non avesse accondisceso alle sue pretese; che la ragazza non aveva denunciato prima il fatto per l’imbarazzo di indicare la ragione per la quale non gradiva più di essere accompagnata a casa dal padre dell’amica.

Ricorre per cassazione l’imputato per mezzo del proprio difensore sulla base di due motivi.

Motivi della decisione

Con il primo motivo il ricorrente lamenta contraddittorietà ed illogicità della motivazione in ordine alla ritenuta attendibilità della parete lesa, in merito alla denunciata costrizione. Assume che l’attendibilità della vittima non era stata vagliata in modo sufficientemente critico e non consentiva di pervenire alla conclusione sicura che i rapporti fossero stati coartati anzichè consenzienti (come alla fine ammesso dal D.). La ragazza aveva riferito di quattro episodi di violenza, tutti avvenuti in occasioni nelle quali era venuta a trovarsi sola in macchina con l’imputato:

non quindi un episodio isolato, nel quale la ragazza poteva essere stata sorpresa dall’iniziativa del padre dell’amica, ma episodi plurimi, nei quali lei non aveva fatto nulla per evitare di rimanere da sola con l’uomo a bordo dell’autovettura; nè la ragazza aveva riferito nulla in famiglia di quanto accaduto, se non quando, dopo il quarto incontro, la madre si era accorta (ed era riuscita a farle ammettere) che non era più vergine, ed era sorta la necessità di giustificare la cosa agli occhi della famiglia; tanto meno era credibile che potesse avere fatto presa su una persona di quasi 18 anni, normalmente dotata sul piano percettivo e cognitivo (come era stata giudicata dalla psicologa che l’aveva esaminata in incidente probatorio), la sola minaccia dell’uomo di accusarla falsamente, se non avesse accondisceso alle sue pretese, di averlo provocato e circuito. Lo stesso GUP si era accorto della incongruenza, riconoscendo che si trattava di minaccia non idonea a coartare "una persona sufficientemente matura e consapevole" fino a indurla a soggiacere a rapporti non voluti, ma aveva attribuito ugualmente attendibilità al narrato della ragazza, in ragione di una sua presunta "ingenuità" e immaturità emotiva, che poteva avere reso efficace la minaccia. Tale valutazione non aveva però fondamento dal punto di vista psicologico e psichiatrico. Al contrario dalla mancanza di indicatori di abuso sessuale, riconosciuta dallo stesso peritoci desumeva che i rapporti erano stati consensuali. Anche la consulenza ginecologica non aveva confermato la presenza di segni di violenza.

Con il secondo motivo lamenta illogicità della motivazione in merito all’esclusione dell’attenuante della minore gravità del fatto.

Sostiene che il Giudice dell’udienza preliminare aveva concesso l’attenuante essendo mancata "una vera e propria violenza fisica" mentre la corte aveva trasformato in violenza fisica quella che la stessa vittima aveva qualificato pressione psicologica. Inoltre la Corte, in contrasto con le risultanze processuali aveva affermato che il rapporto con la sessualità era stato segnato negativamente in modo duraturo, mentre lo stesso perito aveva affermato che all’epoca la ragazza sembrava indenne.

Il ricorso, al limite dell’ammissibilità perchè si risolve sostanzialmente in censure in fatto in ordine all’apprezzamento delle prove, è comunque infondato e va pertanto disatteso.

Premesso che le motivazioni delle sentenze di primo e secondo grado, essendo conformi si integrano a vicenda, va ricordato che la Corte di Cassazione nel controllare la logicità della motivazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga la migliore ricostruzione dei fatti nè deve condividerne la giustificazione ma deve limitarsi a verificare se tale giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento (cfr. per tutte Cass. sez. 4 9.2.2006 Vescio). Essa deve annullare soltanto quando le regole di esperienza poste dal giudice del merito a fondamento della decisione impugnata risultino universalmente e sicuramente rifiutate o manifestamente inaccettabili o palesemente contraddette da conoscenze tecniche e scientifiche. Non può quindi annullare la decisione sotto il profilo dell’illogicità per la possibile ed astratta sussistenza di una ricostruzione alternativa della vicenda. La regola di giudizio dell’"oltre ogni ragionevole dubbio" introdotta con la L. n. 46 del 2006, nulla aggiunge dal punto di vista prescrittivo a quanto già desumibile dal sistema.

Fatta questa premessa i giudici del merito hanno indicato le ragioni per le quali la parte lesa era credibile, precisando in particolare che l’immaturità psicologica ed emotiva della vittima, ancorchè non integrante una condizione d’infermità psichica, aveva potuto giustificare, in un piccolo centro, l’idoneità della minaccia a coartare la volontà della ragazza. Siffatta idoneità va invero valutata, non secondo criteri astratti, ma in base alle modalità del fatto, alle caratteristiche della persona offesa ed ai rapporti tra offeso ed offensore. Nello specifico si è sottolineato che trattatasi di soggetto con età psicologica inferiore a quella effettiva avente personalità fragile, emotivamente immatura, mancante di intraprendenza ed acutezza. D’altra parte il primo atto sessuale era stato imposto con violenza, posta in essere nella forma della repentinità, approfittando peraltro del disorientamento della vittima che non si aspettava tale comportamento dal padre di una sua amica e suo padrino. Invero la violenza richiesta per l’integrazione del reato non è soltanto quella che pone il soggetto passivo nell’impossibilità di opporre resistenza, ma anche quella che si manifesta con il compimento dell’atto in maniera insidiosa e rapida in modo da neutralizzare la contraria volontà della vittima. Dopo quel primo atto di violenza ha coartato la volontà della vittima con la minaccia alla quale prima si è fatto riferimento.

La Corte ha altresì chiarito che il fatto non era stato denunciato prima per l’imbarazzo della ragazza di dovere giustificare il rifiuto a farsi accompagnare a casa dal proprio padrino.

Anche in merito al diniego dell’attenuante della minore gravità del fatto la motivazione non presenta errori giuridici o incoerenze, avendo la Corte valutato globalmente il fatto tenendo conto della modalità dell’azione, della reiterazione dei fatti e dell’incidenza negativa di tali rapporti sulla sessualità della vittima.

Non esiste alcuna incompatibilità logica tra il diniego dell’attenuante della minore gravità del fatto e la concessione delle generiche per l’assenza di precedenti penali, in quanto mentre l’incensuratezza attiene alla personalità del reo, l’attenuante speciale della minore gravita del fatto riguarda la condotta in concreto posta in essere (cfr. cass. sez. 3 19 maggio del 2008, rv 240047).

P.Q.M.

LA CORTE Letto l’art. 616 c.p.p.;

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al rimborso di quelle sostenute in questo grado dalla parte civile liquidate in complessivi Euro 1800.00 oltre accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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