Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 21-09-2011) 04-10-2011, n. 35896 Poteri della Cassazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 24 Maggio 2007 il Tribunale di Napoli ha condannato il ricorrente, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche, alla pena di 4 anni di reclusione in relazione al reato previsto dall’art. 609 bis c.p., commi 1 e 2, n. 1, (fatto commesso il (OMISSIS)), con condanna al risarcimento dei danni in favore della parte civile, da liquidarsi in separata sede, e assegnazione alla stessa della somma di 7.000,00 euro a titolo di provvisionale immediatamente esecutiva.

Al giudizio si è giunti dopo che la Corte Suprema di cassazione con sentenza del 30 Novembre 2005 ha annullato su ricorso del Pubblico Ministero la sentenza con la quale in data 19 Novembre 2004 il Tribunale di Napoli aveva dichiarato non doversi procedere nei confronti dell’imputato per mancanza di querela.

Il Tribunale di Napoli con la sentenza 24 Maggio 2007 ha ritenuto accertato che il Sig. P., dipendente dell’ente sanitario, compì atti sessuali in danno di una paziente ricoverata presso il centro di igiene mentale di (OMISSIS). A tale conclusione il Tribunale è giunto ritenendo credibili le dichiarazioni della persona offesa in ordine ai fatti e al loro autore, valutando il contenuto della testimonianze della dr.ssa A., che vide l’imputato "fuggire" precipitosamente dai locali inseguito dalla persona offesa, nonchè quello delle dichiarazioni dei due psichiatri del centro (dr.ssa A. e dr.ssa C.) in relazione alle condizioni di salute della vittima e all’assenza di vizi incidenti sulla capacità a testimoniare, considerando altresì le dichiarazioni del consulente della difesa, Dr. L., relative a questi ultimi aspetti.

Con la sentenza oggi impugnata la Corte di Appello di Napoli ha respinto le censure contenute nei motivi di appello, ritenendo priva di vizi la ricostruzione operata dal Tribunale sia con riferimento al verificarsi degli atti sessuali sia con riferimento alla identificazione del Sig. P. quale autore degli stessi. A tale proposito la Corte territoriale esamina comparativamente tutte le dichiarazioni in atti e giunge alla conclusione che il contrasto interno alle dichiarazioni della dr.ssa A. in relazione alla presenza dell’imputato presso il centralino debba essere sciolto alla luce delle dichiarazioni del teste F., che portano ad accreditare la versione dibattimentale della dottoressa.

Avverso tale decisione propone ricorso il Sig. P. tramite il Difensore, in sintesi lamentando:

1. carenza e vizio di motivazione ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. e), per avere la Corte illogicamente e senza offrire adeguata motivazione concluso in favore della attendibilità della persona offesa; in particolare, lamenta il ricorrente che la Corte territoriale abbia omesso di dare conto degli elementi di critica contenuti nell’atto di impugnazione;

2. carenza e vizio di motivazione ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. e), per avere la Corte illogicamente e senza offrire adeguata motivazione ricostruito i fatti con riferimento alla presenza dell’imputato nei pressi del centralino;

3. mancata assunzione di prova decisiva ex artt. 125, 507 e 519 c.p. in relazione all’art. 606 c.p., lett. c) e d) per avere la Corte territoriale omesso di integrare la prova, erroneamente rifiutata dal primo giudice, con riferimento alle testimonianze degli infermieri S. e S. ritualmente richieste fin dai motivi di appello;

4. carenza e vizio di motivazione ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. e), per avere la Corte illogicamente e senza motivazione adeguata omesso di qualificare il fatto ai sensi dell’art. 606 bis c.p., comma 3.

OSSERVA 1. Premesso che i motivi di ricorso ricalcano per la maggior parte quelli posti a fondamento dell’atto di appello e oggetto di motivata risposta da parte della Corte territoriale, il contenuto delle censure impone una premessa di ordine generale.

La Corte ricorda che il giudizio di legittimità rappresenta lo strumento di controllo della corretta applicazione della legge sostanziale e processuale e non può costituire un terzo grado volto alla ricostruzione dei fatti oggetto di contestazione. Si tratta di principio affermato in modo condivisibile dalla sentenza delle Sezioni Unite Penali, n. 2120, del 23 novembre 1995-23 febbraio 1996, Fachini (rv 203767) e quindi dalla decisione con cui le Sezioni Unite hanno definito i concetti di contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione (n. 47289 del 2003, Petrella, rv 226074). Una dimostrazione della sostanziale differenza esistente tra i due giudizi può essere ricavata, tra l’altro, dalla motivazione della sentenza n. 26 del 2007 della Corte costituzionale, che (punto 6.1), argomentando in ordine alla modifica introdotta dalla L. n. 46 del 2006 al potere di impugnazione del pubblico ministero, afferma che la esclusione della possibilità di ricorso in sede di appello costituisce una limitazione effettiva degli spazi di controllo sulle decisioni giudiziali in quanto il giudizio avanti la Corte di cassazione è "rimedio (che) non attinge comunque alla pienezza del riesame di merito, consentito (invece) dall’appello".

Se, dunque, il controllo demandato alla Corte di cassazione non ha "la pienezza del riesame di merito" che è propria del controllo operato dalle corti di appello, ben si comprende come il nuovo testo dell’art. 606 c.p.p., lett. e), non autorizzi affatto il ricorso a fondare la richiesta di annullamento della sentenza di merito chiedendo al giudice di legittimità di ripercorrere l’intera ricostruzione della vicenda oggetto di giudizio.

Tale impostazione è stata ribadita, anche dopo la modifica della lette) dell’art. 606 c.p.p. apportata dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8, comma 1, lett. b), dalle sentenze della Seconda Sezione Penale, n. 23419 del 23 maggio-14 giugno 2007, PG in proc. Vignaroli (rv 236893) e della Prima Sezione Penale, n. 24667 del 15-21 giugno 2007, Musumeci (rv 237207). Appare, dunque, del tutto convincente la costante affermazione giurisprudenziale secondo cui è "preclusa al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti" (fra tutte:

Sezione Sesta Penale, sentenza n. 22256 del 26 aprile-23 giugno 2006, Bosco, rv 234148).

2. In applicazione del principio ora ricordato, la Corte ritiene manifestamente infondati ed estranei all’applicazione della previsione ex art. 606 c.p.p., lett. e), i primi due ed il quarto dei motivi di ricorso.

Alla luce dell’ampia motivazione del provvedimento impugnato, va escluso che la Corte di Appello abbia omesso di affrontare i temi sottoposti alla sua attenzione con l’atto di impugnazione e di conseguenza, una volta ritenuto che la motivazione non sia incorsa nel vizio di manifesta illogicità, non sussistono i presupposti perchè questa Corte possa sindacare il percorso argomentativo adottato in sede di merito e riesaminare gli elementi di prova e la loro coerenza.

Ciò vale anche per la lamentata valutazione in ordine alla circostanza prevista dall’ultima parte dell’art. 609 bis c.p.: la Corte di Appello ha esposto gli elementi di fatto e gli argomenti valutativi che giustificano in modo nè incoerente nè illogico la scelta di non ricondurre i fatti entro il limite della minore gravità e la censura proposta sul punto appare manifestamente infondata.

3. Maggiore attenzione deve essere dedicata al terzo motivo di ricorso, col quale il Sig. P. lamenta una grave violazione dei diritti della difesa per avere il Tribunale e la Corte di Appello omesso di accogliere la richiesta di assunzione testimoniale che si rendeva necessaria alla luce dell’integrazione della contestazione operata dal Pubblico Ministero in corso di udienza. Premesso che gli elementi essenziali del fatto di reato e della condotta sono stati contestati tempestivamente all’indagato e che costui ha potuto esercitare in modo effettivo il proprio diritto di difesa sia in sede di giudizio sia anteriormente, la Corte non ritiene manifestamente illogiche le motivazioni con cui la Corte territoriale ha ritenuto accertati i fatti e non necessario procedere a integrazione probatoria mediante la rinnovazione parziale del dibattimento (si veda pag. 6 della motivazione).

Deve essere, poi, considerato, in relazione al disposto dell’art. 603 c.p.p., che dalla sentenza di primo grado emerge che tutti i testimoni indicati nelle liste depositate dalle parti furono ammessi, così che la richiesta di rinnovazione del dibattimento contenuta nei motivi di appello deve essere valutata alla luce dell’interpretazione giurisprudenziale che ritiene giustificato il supplemento d’istruttoria in sede di appello soltanto se ritenuto assolutamente necessario rispetto ai fatti oggetto di prova. In questo senso non può non rilevarsi che i giudici di merito hanno dato conto in modo non manifestamente illogico delle ragioni per cui i fatti comunque accertati non rendevano necessario procedere all’integrazione probatoria richiesta.

Alla luce delle considerazioni fin qui esposte il ricorso deve essere respinto e il ricorrente condannato, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese del presente grado di giudizio. Stanti i principi in tema di soccombenza, deve essere condannato, altresì, alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile, liquidate in complessivi euro duemila, oltre accessori di legge.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese della parte civile, liquidate in complessivi euro duemila, oltre accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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