Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 15-07-2011) 04-10-2011, n. 35889 Intercettazioni telefoniche

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

A.M., C.C., P.P., previo riconoscimento della circostanza aggravante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80 sono stati condannati con sentenza del 4 giugno 2008dal GUP del tribunale di Roma per l’introduzione in Italia, unitamente ad altri imputati non ricorrenti, di Kg. 21,038 di cocaina, dalla quale potevano ricavarsi 113.578 dosi, L’affermazione di colpevolezza risulta fondata sulle risultanze delle intercettazioni telefoniche ed altre indiziarie, oltre al rinvenimento dello stupefacente, trasportato dai due imputati non ricorrenti.

La corte di appello di Roma, in parziale riforma della decisione di primo grado ha concesso agli imputati le circostanze attenuanti generiche ritenendole equivalenti alla aggravante di cui all’art. 80, riducendo le pene inflitte e ad un anno la durata minima della misura di sicurezza della libertà vigilata.

Propongono in questa sede ricorso A., C. e P. in particolare deducendo:

A.:

1) inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche in quanto aventi ad oggetto comunicazioni effettuate all’estero in assenza di rogatoria ed in quanto eseguite fuori dai locali della Procura della Repubblica;

2) violazione di legge e vizi di motivazione in ordine alla valutazione delle risultanze indiziarie; ritenendosi in particolare non decisive le risultanze dell’attività di intercettazione espletata;

3) violazione di legge e vizio di motivazione per la mancata esclusione dell’aggravante dell’art. 80, risultando tra l’altro omessa qualsiasi considerazione sullo specifico mercato di riferimento.

4) violazione di legge e vizio di motivazione sulla negata concessione delle attenuanti generiche in misura prevalente rispetto all’aggravante e, comunque, per violazione dell’art. 133 c.p.p..

C..

1.1) violazione dell’art. 192 c.p.p. e vizio di motivazione in ordine alla valutazione delle risultanze indiziarie;

2.1) violazione di legge e vizio di motivazione per la mancata esclusione dell’aggravante dell’art. 80, risultando tra l’altro omessa qualsiasi considerazione sullo specifico mercato di riferimento;

3.1) violazione dell’art. 597, comma 3 in quanto in appello, senza che vi fosse impugnazione del pubblico ministero, è stata determinata da una pena base per la continuazione superiore a quella ritenuta in primo grado;

4.1) violazione degli artt. 228 e 230 c.p. mancando la motivazione in ordine all’accertamento in concreto della pericolosità sociale del prevenuto ed avendo la corte di appello omesso di rispondere alle doglianze formulate dalla difesa nei motivi d’appello circa la mancanza dell’accertamento indicato anche da parte del giudice di primo grado nonchè sullo stato di indigenza dell’imputato medesimo.

P..

1.2) carenza ed illogicità della motivazione risultando il contenuto delle intercettazioni oggetto di ragionamento inferenziale e mancando qualsiasi certezza in assenza di prove dirette.

2.2) violazione di legge per la mancata esclusione dell’aggravante dell’art. 80, nonchè in ordine alla negata concessione delle attenuanti generiche in misura prevalente rispetto all’aggravante e, comunque, per inosservanza dei criteri indicati dall’art. 133 c.p.p..

MOTIVI DELLA DECISIONE Sono da rigettare i ricorsi di A. e P..

Esaminando nell’ordine le questioni poste dai ricorrenti si rileva quanto segue.

1. A..

1.1 Con il primo motivo il ricorrente ha dedotto l’inutilizzabilità delle intercettazioni in quanto effettuate su utenze estere con la procedura dell’istradamento e contesta altresì la legittimità di esse con riferimento alla procedura di remotizzazione affermandosi essere avvenuta fuori dagli impianti della Procura della Repubblica non solo la fase di ascolto ma anche quella di registrazione in contrasto con quanto affermato dalle Sezioni Unite della Corte con la sentenza n. 36359 del 2008, ric. Carli.

Le due questioni vanno esaminate separatamente concernendo problematiche diverse.

1.2 Sulla questione relativa alla intercettazione di utenze estere il ricorrente, ribadendo la posizione già fatta valere dinanzi ai giudici di merito, evidenzia in questa sede come la cd. procedura di istradamento costituisca nella pratica un espediente per aggirare la normativa sulle rogatorie internazionali, seppure allo scopo di evitare macchinose procedure talora oggettivamente inadeguate per fronteggiare fenomeni criminosi complessi e transnazionali. Si fa rilevare, tuttavia, come ciò comporti aspetti di incostituzionalità per la violazione del diritto alla segretezza delle comunicazioni di cittadini stranieri e come in tal modo si produca l’effetto che un soggetto sottoposto alla giurisdizione di altro Stato venga ad essere limitato nell’esercizio di un diritto inviolabile.

Sul punto, come correttamente ricorda il ricorrente, sia il GUP che la corte di appello hanno già risposto richiamando i pronunciamenti di questa Corte, costanti nell’affermare la legittimità della procedura di istradamento.

Anche il Collegio condivide ovviamente tali orientamenti che, invero, si sono già fatti carico di affrontare le questioni sollevate in questa sede. Rispetto alle considerazioni svolte dal ricorrente si ritiene opportuno richiamare in particolare le motivazioni della Quarta sezione, nella sentenza n. 13206 del 28/02/2008 – RV 239288.

Nell’occasione, con motivazioni del tutto condivisibili, si è, infatti, già rilevato che poichè l’attività cd. di "istradamento" consente la captazione di telefonate che transitano dalle centrali collocate nel territorio dello Stato italiano, e cioè attraverso i cc.dd. "ponti telefonici", ne consegue che l’attività di intercettazione viene eseguita esclusivamente se la telefonata, pur avendo ad oggetto un’utenza straniera, od essendo compiuta all’estero, si avvale di una delle centrali collocate in Italia per collegarsi con altra utenza, ovvero nel caso inverso che altra utenza si colleghi a quella estera usufruendo dei "ponti telefonici" siti in Italia.

Ciò non comporta la violazione delle norme sulle rogatone internazionali, in quanto in tal modo tutta l’attività di intercettazione, ricezione e registrazione delle telefonate, viene compiuta completamente sul territorio italiano (Cass. 2.11.2004 n. 7258; Cass. 14.5.2004 n. 32924; Cass. 28.1.2003 n. 11908; Cass. 26/6/2002 n. 38823; Cass. 2/7/1998 n. 4401).

1.3 Passando ora all’esame della ulteriore questione concernente la cd. remotizzazione delle intercettazioni si rileva quanto segue.

Il ricorrente, richiamando la sentenza delle Sezioni Unite numero 36359 del 2008, Carli, fa rilevare in questa sede come tale arresto giurisprudenziale imponga che nell’ambito dell’attività di intercettazione, la registrazione sia effettuata presso uffici della procura e che nella specie si è violato tale principio in quanto, stando ai decreti di intercettazione telefonica ed ai successivi verbali di trascrizione, sarebbe possibile evincere dai primi che si è proceduto alla delega "delle operazioni di ascolto, di registrazione ed a quelle di acquisizione dati" agli ufficiali di PG;

dai secondi che presso la sala di ascolto del comando in intestazione è stata "intercettata" e non semplicemente ascoltata la conversazione.

Richiama in proposito l’ A. il decreto del 25 settembre 2007 del pm e il verbale del 20 luglio 2007 i quali tuttavia non risultano allegati al ricorso.

Ora va anzitutto in premessa rilevato che, per il principio di autosufficienza del ricorso, gli atti indicati dal ricorrente andavano comunque allegati in copia o integralmente citati per consentire le opportune valutazioni, tanto più che essi non sono ricompresi tra gli atti inviati in Corte.

Il che già appalesa un profilo di inammissibilità del motivo dovendosi anzitutto verificare i termini fattuali della questione prospettata, come si evidenzierà anche oltre.

Ma vi è anche un altro aspetto da considerare anch’esso decisivo che proprio a questo profilo sul piano logico direttamente si ricollega.

Esaminando la motivazione della decisione delle Sezioni Unite citata dal ricorrente, si rileva anzitutto come nell’occasione sia stata operata una distinzione tra le varie fasi della attività di intercettazione.

Si è puntualizzato che condizione necessaria per l’utilizzabilità delle intercettazioni è che l’attività di "registrazione" – avvenga nei locali della Procura della Repubblica mediante l’utilizzo di impianti ivi esistenti, mentre non rileva che negli stessi locali vengano successivamente svolte anche le ulteriori attività di "ascolto", "verbalizzazione" ed eventuale "riproduzione" dei dati così registrati, che ben possono dunque essere eseguite "in remoto" presso gli uffici della polizia giudiziaria anche se il ricorrente, in questa sede come nei motivi di appello, ha espresso dissenso in relazione alla attività di "ascolto".

La Corte, nell’occasione, dopo avere puntualizzato che la registrazione deve essere tenuta distinta dalla attività di captazione delle telefonate – che legittimamente avviene presso l’operatore telefonico – , nonchè, in relazione agli sviluppi della tecnologia da quella di ascolto (un tempo non separabile, invece, dalla registrazione), ha chiarito che le operazioni di "registrazione", che in forza dell’art. 268 c.p.p., comma 3, parte prima, debbono essere compiute esclusivamente per mezzo degli impianti installati nella procura della Repubblica, consistono nella immissione dei dati captati presso la centrale dell’operatore telefonico e trasmessi agli impianti in Procura nella memoria informatica centralizzata (cd. server) che si trova nei locali della Procura della Repubblica a ciò destinati.

I menzionati apparati permettono altresì di "remotizzare" agevolmente (attraverso il sistema cd. client-server) l’ascolto – nonchè, volendo, anche una registrazione (ovviamente derivata da quella effettuata in Procura, e da non potersi a questa sostituire) deviando il flusso in entrata anche verso molteplici punti di ricezione, collocabili in qualsiasi luogo (e dunque anche all’esterno degli uffici di Procura) e collegati con il sistema centrale verso cui l’operatore telefonico ha trasmesso il flusso di dati captati.

Ora, recependo l’indicazione delle S.U., si deve concludere che l’intercettazione va ritenuta illegittima solo se l’impianto presente in Procura sia utilizzato come una sorta di mero "ripetitore" e, cioè, esclusivamente per l’instradamento del flusso di dati dall’operatore telefonico a quello di polizia, senza l’inserimento e la "registrazione" di quei dati nel server (memoria informatica centralizzata) esistente nei locali della Procura.

Solo in questo caso hanno precisato, infatti, le Sezioni Unite l’intercettazione diventa illegittima non consentendo alcun controllo sull’attività di registrazione.

Ma è chiaro che tale circostanza deve essere specificamente accertata attraverso una verifica di ordine fattuale.

Al riguardo le stesse Sezioni Unite indicano come il difensore ben possa avvalersi delle facoltà riconosciute dall’art. 268 c.p.p., comma 6 anche al fine di verificare che l’impianto di Procura non sia stato utilizzato come mero "ripetitore".

In questo senso non risulta effettuato alcun accertamento nella fase di merito nè al riguardo può ritenersi sufficiente il passaggio del decreto del PM citato dal ricorrente in quanto, a tutto concedere, non esclude comunque che presso gli impianti della Procura siano stati conservati i dati captati.

E’ nella fase di merito, dunque, che si sarebbe dovuto affrontare in punto di fatto la questione, eventualmente ricorrendo agli accertamenti indicati dalle S.U..

Ciò non è avvenuto ed anzi le motivazioni di primo e secondo grado sembrano presupporre proprio l’esistenza di una registrazione dei dati anche presso l’ufficio della procura. La motivazione del GUP espressamente richiama, infatti, tra le altre, la sentenza della Quarta Sezione n. 41253 del 2007 che faceva riferimento proprio alla registrazione integrale della comunicazione presso la Procura per indicare l’effettività della tutela delle garanzie dell’imputato e nei motivi di appello il difensore non contesta specificamente tale dato fattuale, indicandone le ragioni – come rilevato anche dai giudici di appello – limitandosi, invero a dissentire con la tesi delle S.U. che hanno ritenuto legittimo l’ascolto delle telefonate presso le strutture della PG. Di conseguenza la questione dedotta in nessun caso può essere affrontata in questa sede.

2. Appartengono al merito le censure oggetto del secondo motivo.

Il ricorrente contesta infatti, tra l’altro, il valore concludente attribuito ad alcune telefonate e che per il giudizio di colpevolezza siano stati utilizzati dati non riscontrati ed incerti. Al riguardo, si deve tuttavia rilevare come la motivazione dei giudici di merito si appalesi certamente logica e congruente rispetto al coinvolgimento dell’ A., correttamente dedotto dal materiale di intercettazione, dai rapporti con gli altri imputati, dall’attività di osservazione in ordine ai viaggi all’estero in compagnia degli altri imputati; dalla telefonata in cui si accenna alla modifica del camper utilizzato per il trasporto della droga. Inoltra la corte di merito si fa correttamente carico di affrontare le questioni dedotte nei motivi appello, spiegando le telefonate contestate ed insistendo sui rapporti dell’ A. con gli altri imputati.

3) In ordine al terzo motivo ritiene il Collegio corretto ed aderente all’orientamento maggioritario della giurisprudenza di legittimità il ragionamento seguito dai giudici di appello in merito alla circostanza aggravante del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80. Si è affermato, infatti che la circostanza aggravante della quantità’ ingente, deve ritenersi sussistente quando il quantitativo, pur non raggiungendo valori massimi, sia tale da creare condizioni di agevolazione del consumo nei riguardi di un elevato numero di tossicodipendenti, secondo l’apprezzamento del giudice di merito (sez. 4 sent. n. 30075 del 21/06/2006 rv 235180) e che la circostanza aggravante in questione deve ritenersi sussistente quando sia tale da costituire un rilevante pericolo per la salute pubblica, in quanto idonea a soddisfare, per un notevole periodo di tempo, le esigenze di un numero elevato di tossicodipendenti, anche indipendentemente dalla valutazione della portata complessiva della domanda di mercato, trattandosi di un elemento di difficile accertamento, considerata l’impossibilità di disporre al riguardo di dati certi e verificabili in concreto. (Sez. 6 sent. n. 10384 23/01/2008 rv 239210).

4) Rientrano, infine, nella valutazione di merito le questioni concernenti il trattamento sanzionatorio nel suo complesso, tenuto conto, peraltro, della riduzione di pena operata in appello.

P..

1.1) Il ricorrente con il primo motivo contesta la logicità del ragionamento accusatorio nonchè la coerenza del quadro indiziario che si sostiene privo dei caratteri di gravità, precisione e concordanza, soprattutto sul ruolo di finanziatore e di trasportatore delle tavole per l’occultamento della cocaina, evidenziando tra l’altro come sia stato frainteso il significato delle trasferte contestate, nonchè l’assenza di prove decisive in ordine alla affermazione della responsabilità. Al riguardo si fa rilevare tra l’altro come l’unico sequestro di stupefacente sia avvenuto nei confronti di persone diverse, come talora siano confusi la valenza indiziaria e gli interlocutori delle telefonate. Ciò posto ritiene il collegio che le doglianze si pongano i limiti dell’inammissibilità sostanziandosi in realtà in censure di merito a fronte della decisione che correttamente pone in evidenza l’esistenza di contatti con gli altri imputati in circostanze rilevanti per l’attività contestata; indica il ruolo dell’imputato rispetto alla pianificazione del trasporto in Italia dello stupefacente; fornisce coerente e logica spiegazione del materiale di intercettazione, in cui si fa riferimento, tra l’altro, anche ad un episodio in cui il F. avrebbe subito imposizioni da parte dello stesso P.. Ne, tenuto conto del quadro complessivo del materiale indiziario, e delle motivazioni senz’altro esaustive del giudice di primo grado che, in quanto conformi, integrano quelle dell’appello, sono rinvenibili errori e/o omissioni di rilievo nell’attività di valutazione del materiale probatorio.

2.1) Rispetto al trattamento sanzionatorio, si richiamano quanto all’aggravante del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80 le considerazioni già svolte in precedenza, sulla irrilevanza dell’area di mercato in presenza di ingenti quantitativi di stupefacente. Per il resto le deduzioni si appalesano sostanzialmente di merito, in presenza peraltro, di una attenuazione di pena connessa al riconoscimento delle attenuanti generiche, apparendo corretto il riferimento dei giudici di appello alla entità dei fatti ed alla personalità dell’imputato.

Per quanto concerne la posizione di C. il ricorso è fondato, invece, limitatamente ai motivi sub 3.2 e 4.2. Ed, invero:

3.2) Questa Corte ha già affermato più volte il principio cui anche il Collegio intende uniformarsi, condividendone le motivazioni, secondo cui il divieto della reformatio in peius", in caso di reato continuato, investe ogni componente che concorre alla determinazione della pena complessiva, per cui detto divieto deve ritenersi violato, quando appellante sia il solo imputato, non solo se la pena base sia indicata in misura superiore a quella precedentemente stabilita ma anche se sìa indicato in misura superiore alla precedente l’aumento di pena per taluno dei reati ritenuti in continuazione (Sez. 6 sent. n. 33007 del 30.4.2005, RV 231657). Di conseguenza essendo stata indicata in appello la pena base per la continuazione in anni 12 in luogo di quella di anni 11 indicata dal primo giudice, e ciò nonostante l’appello sia stato proposto dal solo imputato, la sentenza deve essere annullata con rinvio sul punto.

4.2) Ugualmente deve essere accolto il quarto motivo di ricorso. Il giudice di appello, infatti, come rilevato dalla ricorrente, in relazione all’applicazione della misura di cure ha omesso di fornire qualsiasi motivazione in ordine alle doglianze avanzate dalla difesa nei motivi di appello circa il mancato accertamento da parte del giudice di primo grado dell’attualità della pericolosità sociale del prevenuto. Anche per tale aspetto va pertanto disposto l’annullamento con rinvio della sentenza.

Vanno invece disattesi gli altri motivi di ricorso.

1.2) appartengono infatti al merito le censure dedotte con il primo motivo di ricorso risultando la sentenza correttamente e logicamente motivata con riferimento al ruolo del C. di cui è indicata l’attiva partecipazione all’attività illecita accertata, attraverso l’aggiornamento dei correi sull’attività di trasporto dello stupefacente, nonchè attraverso il trasferimento di denaro all’estero e, logicamente si ritiene ininfluente fronte della accertata partecipazione all’attività criminosa, la difficoltà nel riempimento di moduli di invio del denaro all’estero. Devono ritenersi quindi implicitamente rigettati i rilievi formulati in sede di appello dall’odierno ricorrente.

2.2) Si richiamano, infine, in ordine all’aggravante del D.P.R. n. 390 del 1990, art. 80 le considerazioni già svolte in relazione alla posizione degli altri due ricorrenti per affermare la correttezza del ragionamento seguito dalla corte di appello.

Conclusivamente la sentenza va annullata con rinvio per il solo C. limitatamente alla determinazione della pena ed alla misura di sicurezza, mentre devono essere rigettati i ricorsi di A. e di P. i quali vanno pertanto entrambi condannati al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Annulla la sentenza impugnata nei confronti dei C.C. limitatamente alla determinazione della pena ed alla misura di sicurezza. Rigetta nel resto il ricorso del C.. Rigetta i ricorsi degli altri imputati che condanna singolarmente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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