Cass. civ. Sez. III, Sent., 28-02-2012, n. 3006 Somministrazione di energia elettrica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

p.1. De.Pa.Mi., D.P.M., P.F., Pi.Br., B.M.C., L.M.E., Pe.Gi. e P.D. hanno proposto ricorso per cassazione contro l’Enel Distribuzione s.p.a. e il Gestore dei Servizi Elettrici (GE), già Gestore della rete di Trasmissione Nazionale (GRTN) avverso la sentenza del 9 novembre 2009, con la quale il Tribunale di Vibo Valentia – provvedendo su una serie (precisamente 716) di giudizi di appello riuniti, fra cui quelli di cui erano parti i ricorrenti, in riforma delle sentenze rese da giudici di pace del circondario ed in particolare, quanto alle controversie di cui erano parti i ricorrenti, dal Giudice di Pace di Serra san Bruni – ha riformato le sentenze di primo grado con gravame di spese. p.2. Ognuno dei ricorrenti, con l’atto introduttivo del giudizio di primo grado aveva convenuto l’Enel Distribuzione e il GSE per sentirli condannare al risarcimento dei danni, patrimoniali e morali, a loro dire sofferti nella misura equitativamente indicata di Euro 200,00, a causa dell’interruzione del servizio di erogazione dell’energia elettrica occorsa senza preavviso alle loro utenze il 28 settembre 2003 dalle ore 3.30 alle ore 9.00 e dalle ore 11.30 alle ore 18.30.

Nei giudizi davanti ai giudici di pace i convenuti non avevano contestato l’evento interruttivo dell’erogazione, ma avevano eccepito che esso non era dipeso da causa loro imputabile e che non vi era prova del danno lamentato. Inoltre, il GSE aveva eccepito il difetto di giurisdizione dell’A.G.O. in favore dell’A.G.A..

Il Giudice di Pace di Serra San Bruno, dopo avere disatteso l’eccezione di difetto di giurisdizione del GSE, ne dichiarava il difetto di legittimazione passiva, mentre accoglieva la domanda contro l’Enel Distribuzione. p.3. Le decisioni del Giudice di Pace venivano appellate in via principale dall’Enel Distribuzione. Nei relativi giudizi si costituivano la B., la L., il Pe. e P.D., contestando la fondatezza dell’appello principale e – per quello che si legge nell’esposizione del fatto del ricorso – in via subordinata "chiedendo … di accertare e dichiarare l’illegittimità del comportamento della G.R.T.N. S.p.A. ex art. 2043 c.c. e, conseguentemente, di condannare la G.R.T.N. S.p.A. al risarcimento dei danni in favore dell’utente". La GSE si costituiva – sempre per quello che si legge nella detta esposizione del fatto – "insistendo nella dichiarazione del difetto di giurisdizione del giudice ordinario in favore del giudice amministrativo" e riproponendo le difese svolte i primo grado.

A seguito di provvedimento del Presidente del Tribunale gli appelli dei qui ricorrenti e tutti gli altri venivano chiamati avanti di lui alla stessa udienza del 15 giungo 2009, nella quale nei rispettivi procedimenti si costituivano gli altri ricorrenti e veniva disposta la riunione con rinvio all’udienza del 9 novembre 2009, nella quale venivano precisate le conclusioni ed a seguito di discussione la sentenza qui impugnata. p.4. Al ricorso per la sua cassazione hanno resistito con separati controricorsi l’Enel Distribuzione e il GSE. p.5. I ricorrenti hanno depositato memoria.

Motivi della decisione

p.1. Preliminarmente il Collegio rileva che, essendo il litisconsorzio, realizzatosi a seguito delle riunione disposta in appello, fra i qui ricorrenti e tutti gli altri utenti, riconducibile all’art. 103 c.p.c., comma 1, in relazione all’art. 274 c.p.c., sotto la specie del cumulo per riunione di più domande aventi ad oggetto identità di questioni, si verte in tema di scindibilità delle cause ai sensi dell’art. 332 c.p.c. ed essendo ormai preclusa l’impugnazione da parte degli altri utenti non è necessario provvedere si sensi di detta norma. p.2. Con il primo motivo si denuncia "violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., art. 343 c.p.c., commi 1 e 2 in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 1, 3 e 4", per avere il Tribunale di Vibo Valentia omesso di esaminare le domande proposte in via incidentale dai convenuti B.M.C., L.M. E., Pe.Gi., P.D. e dal GSE".

Con una prima censure si lamenta che il Tribunale abbia erroneamente omesso di "prendere cognizione della domanda incidentale proposta" dai predetti ricorrenti, la quale viene identificata assumendosi che "dagli atti processuali dell’unico procedimento (ottenuto a seguito di riunione degli appelli)" emerge che i suddetti "si erano costituiti con comparsa depositata nel rispetto dei termini di cui agli artt. 343 e 166 c.p.c. (oltre 20 giorni prima della data d’udienza indicata nel relativo atto di appello) proponendo appello incidentale nei confronti del Gestore della Rete di Trasmissione Nazionale (GRNT)" e chiedendo al "Tribunale di accertare e dichiarare l’illegittimità del comportamento del G.R.N.T. S.p.A. ex art. 2043 c.c., e, conseguentemente, condannare la G.R.N.T. S.p.A. al risarcimento dei danni i favore dell’utente (v. pag. 6 comparsa di risposta)".

Con una seconda censura, dopo che si è osservato che il GSE, nel rispetto dell’art. 343 c.p.c., comma 2, si era costituito, eccependo "preliminarmente il difetto di giurisdizione del giudice ordinario in favore di quello amministrativo", si sostiene che il Tribunale avrebbe dovuto esaminare anche le sue richieste ed eccezioni e, particolarmente, quella sull’eccezione di giurisdizione. p.2.1. Entrambe le censure sono inammissibili perchè non rispettano il requisito di ammissibilità di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6, che costituisce il precipitato normativo del cd. principio di autosufficienza e concerne anche gli atti processuali sui quali il ricorso si fonda. p.2.1.1. Quanto alla prima censura il motivo omette di riprodurre il motivo dell’appello incidentale di ognuno dei ricorrenti di cui trattasi nella parte in cui avrebbe espresso l’appello incidentale:

infatti, ci si limita a riportare fra virgolette solo quella che sarebbe stata la richiesta formulata, cioè l’espressione virgolettata sopra riportata, secondo cui si sarebbe chiesto al "Tribunale di accertare e dichiarare l’illegittimità del comportamento del G.R.N.T. S.p.A. ex art. 2043 c.c, e, conseguentemente, condannare la G.R.N.T. S.p.A. al risarcimento dei danni i favore dell’utente (v. pag. 6 comparsa di risposta)". In tal modo, una volta considerato che questa frase rappresenta solo il petitum, in ipotesi, che avrebbe concluso il motivo di appello incidentale ed in particolare un petitum del quale non si sa quali fossero le ragioni giustificatrici, resta del tutto oscuro quale fosse il contenuto dell’appello incidentale, sul quale vi sarebbe stata l’omissione di pronuncia addebitata alla sentenza impugnata. I ricorrenti, per rispettare l’art. 366 c.p.c., n. 6, avrebbero dovuto riprodurre la parte dell’atto di costituzione in appello nel quale l’appello incidentale era stato svolto almeno nella parte di esso che evidenziava il suo tenore. In assenza di tale riproduzione, che dovrebbe individuare in che cosa ciascuno dei ricorrenti individuava il proprio appello incidentale, resta inammissibilmente demandato a questa Corte di procedere a tale individuazione, con il rischio che il risultato non corrisponda all’intento dei ricorrenti e soprattutto con totale pretermissione da parte loro dell’onere di individuare i fatti processuali che supportano la censura qui svolta, il che tradisce la logica di impugnazione e, quindi, di domanda rivolta al giudice dell’impugnazione, propria del ricorso per cassazione, come di qualsiasi mezzo di impugnazione. In particolare, resterebbe affidato alla Corte di raccordare il suddetto petitum ad un motivo di appello che potrebbe corrispondere a quello del cui mancato esame i ricorrenti si dolgono.

Inoltre, l’onere di indicazione specifica non risulta adempiuto nemmeno con la necessaria indicazione del se e dove la comparsa di costituzione in appello di ciascuno dei predetti ricorrenti sia stata prodotta in questa sede di legittimità ed in particolare se si intenda fare riferimento alla sua presenza nel fascicolo d’ufficio, riguardo al quale doveva specificarsi – ai effetti dell’art. 366 c.p.c., n. 6 – dove ciascuna comparsa sarebbe presente.

La giurisprudenza di questa Corte anche di recente ha sottolineato il valore del requisito di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6 a proposito dell’onere di indicazione specifica degli atti processuali anche quanto alla sede in cui dovrebbero essere esaminabili se prodotti (si veda, da ultimo, Cass. sez. un. n. 22726 del 2011, che ne ha ribadito la portata, esaminando la diversa questione del requisito di procedibilità di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, che afferisce alla concreta produzione degli atti). p.2.1.2. La censura sarebbe, d’altro canto, inammissibile anche perchè non si fa carico della motivazione della sentenza impugnata, là dove essa ha sottolineato che sussisteva un problema di specificità del motivo di appello sulla giurisdizione evocando l’art. 342 c.p.c. e, quindi, ha escluso il requisito di specificità del motivo di appello dicendo "che il capo della sentenza di primo grado relativo al rigetto della eccezione di difetto di giurisdizione ordinaria è passato in giudicato, in quanto non è stato investito da specifica impugnazione": affermazione questa che parrebbe evidenziare che il motivo di appello incidentale proposto dai ricorrenti quanto alla domanda contro il gestore, che necessariamente doveva attingere l’eccezione di difetto di giurisdizione ritenuto dal primo giudice, era stato articolato senza il rispetto dell’art. 342 c.p.c..

In tale situazione viene in rilievo il principio di diritto secondo cui il motivo di ricorso per cassazione deve necessariamente farsi carico della motivazione della sentenza impugnata e, dunque, criticarla, perchè altrimenti non è idoneo allo scopo (si veda, ex multis, Cass. n. 359 del 2005, secondo cui "Il motivo d’impugnazione è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, in quanto per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un "non motivo", è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 4"). p.2.2. Riguardo alla seconda censura si osserva che anche della domanda proposta dal GSE non si fornisce l’identificazione ai sensi dell’art. 36 c.p.c., n. 6 e nemmeno si critica la motivazione della sentenza impugnata, là dove parla di decadenza del medesimo dalla domanda perchè tardivamente costituitosi. Non senza che debba osservarsi che, alla stregua del criterio dell’interesse, non si comprende come e perchè dell’ipotetica omissione di pronuncia su una domanda, o meglio su un appello incidentale altrui, possa dolersi un’altra parte. p.2.3. Il primo motivo è, dunque, dichiarato inammissibile. p.3. Con il secondo motivo si denuncia "violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., art. 343 c.p.c., commi 1 e 2 in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 1, 3 e 4, per avere il Tribunale di Vibo Valentia omesso di esaminare l’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dal GSE".

Il motivo riguarda sempre i ricorrenti cui si riferisce il primo motivo ed è prospettato nuovamente evocando la domanda di ognuno di essi contro il GSE ed il relativo motivo di appello incidentale, nonchè l’eccezione di difetto di giurisdizione proposta dal GSE. L’approdo è che la sentenza avrebbe omesso di esaminare la domanda dei ricorrenti e, ravvisato il difetto di giurisdizione, rimetterla al giudice amministrativo e, di riflesso, rimettergli tutta la causa perchè non sarebbe stata possibile una translatio parziale.

Erroneamente il Tribunale avrebbe affermato che "ai sensi degli artt. 343 e 166 c.p.c. … il Gestore va dichiarato decaduto dalla domanda poichè costituitosi tardivamente", perchè avrebbe dovuto "prendere cognizione della domanda incidentale proposta" dai detti ricorrenti. p.3.1. Il motivo, che può essere esaminato da questa Sezione semplice, perchè non pone direttamente una questione di giurisdizione e nemmeno di ammissibilità di un motivo direttamente afferente alla giurisdizione, bensì nuovamente la questione dell’omessa pronuncia su domanda già evocata dal primo motivo, è nuovamente inammissibile per le stesse ragioni indicate rispetto al primo motivo.

Non senza che si debba rilevare che è anche scarsamente comprensibile: infatti, se il giudice di primo grado aveva declinato la giurisdizione contro il GSE, lo aveva fatto sulla domanda contro di esso proposta e, dunque, non si comprende che cosa riguardo ad essa i ricorrenti avrebbero chiesto in appello. Essi potevano chiedere solo che fosse riesaminata la declinatoria di giurisdizione.

E semmai, se il giudice di pace aveva omesso di rimettere la domanda contro il GSE al giudice amministrativo, negando la translatio su di essa di questo ci si sarebbe dovuto dolere. La stessa cosa dicasi riguardo alla prospettiva della rimessione di tutta la causa, cioè anche quanto alla domanda rivolta contro l’Enel Distribuzione. p.4. Il terzo motivo denuncia "violazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 perchè il Tribunale di Vibo Valentia ha posto a base della sua decisione fatti e circostanza non esplicitamente dedotti nell’atto di appello dall’Enel Distr. S.p.A.".

Vi si deduce che il Tribunale sarebbe "incorso nel vizio di ultra e/o extrapetizione ritenendo che l’Enel abbia contestato "la concreta ed attuale utilizzazione dell’immobile al tempo del black-out"", mentre "contrariamente a quanto affermato nella sentenza impugnata non esisteva alcun atto in cui nè Enel, nè GSE hanno contestato l’effettiva dimora degli odierni ricorrenti … nelle loro abitazioni e/o il consumo di energia elettrica per uso domestico provato mediante la produzione della bolletta per il bimestre settembre- ottobre 2003", In tal modo il Tribunale avrebbe posto a fondamento della decisione un fatto non esplicitamente dedotto dalla parte che se ne sarebbe avvantaggiata. p.4.1. Il quarto motivo denuncia "violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto decisivo per il giudizio e con esso ci si duole della motivazione della sentenza impugnata nel punto in cui ha ritenuto nono dimostrati dai ricorrenti gli eventi dannosi conseguenti al black-out.

In particolare, si censura la motivazione della sentenza impugnata nella parte, peraltro riportata con le omissioni che di seguito si pongono tra parentesi quadra, in cui, dopo avere premesso "che nel giudizio di primo grado l’attore, cui incombeva l’onere, non ha offerto alcuna prova in ordine ai danni subiti", si è così espressa: "su parte attrice incombeva in primis l’onere di dimostrare gli antecedenti fattuali delle voci di danno ovvero la concreta utilizzazione dell’immobile al tempo del black-out, il possesso di un frigorifero o altro elettrodomestico non potendosi di norma escludere una diversa destinazione dell’immobile (uno studio, disabitato, occupato stagionalmente) o la inesistenza, per qualsiasi ragione, di tale elettrodomestico ed infine la detenzione in esso di generi alimentari e il conseguente deterioramento; per converso nessuna prova veniva offerta in tale direzione tanto risolvendosi dunque nella mancala prova dello stesso danno lamentato in tute le sue componenti. Il giudice di prime cure ha colmato le evidenziate lacune probatorie ricorrendo ad una serie di assunti – quali la effettiva occupazione dell’immobile da parte dell’attore al momento del black- out". La censura è motivata sull’assunto che ad assolvere a detti oneri probatori sarebbe stata sufficiente la produzione della fattura relativa al consumo per il periodo settembre-ottobre 2003. p.4.2. Il quinto motivo deduce "violazione delle regole ermetiche di cui agli artt. 1362-1365 cod. civ. e violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto decisivo per il giudiziose con esso nuovamente si censura la motivazione della sentenza impugnata nella stessa parte evocata dal motivo precedente, questa volta riportata integralmente e, quindi, relativamente alla conclusione che non era stata data prova dei danni- evento che erano stati allegati. p.4.4. L’esame del terzo, quarto e quinto motivo può procedere congiuntamente, perchè essi, che appaiono rivolti contro l’Enel Distribuzione, sono tutti e tre inammissibili, per la stessa ragione, cioè per il fatto che il loro scrutinio, se anche – in ipotesi che comunque dovrebbe essere verificate al lume di altre necessarie valutazioni in punto di ammissibilità e pertinenza con la motivazione in parte qua – si concludesse favorevolmente per i ricorrenti, lascerebbe intatta una parte della motivazione della sentenza impugnata che da sola è sufficiente a giustificare l’esito dell’appello nel senso della riforma della sentenza di prime cure e del rigetto della domanda dei ricorrenti. La ragione è che tale parte non è stata in alcun modo impugnata e, pertanto, su di essa si è formata la cosa giudicata che da sola è idonea a giustificare il dispositivo della sentenza vibonese.

Quest’ultima, infatti, è pervenuta all’accoglimento dell’appello non solo quanto al motivo relativo alla mancata dimostrazione da parte dei ricorrenti degli eventi dannosi che avevano lamentato, bensì anche quanto al motivo concernente la dimostrazione del danno risarcibile, riguardo ala quale ha censurato la sentenza di primo grado per avere erroneamente proceduto alla liquidazione del danno ai sensi dell’art. 1226 c.c., ravvisando i presupposti per l’applicazione del procedimento di liquidazione equitativa.

All’esito di un’ampia motivazione, che, nella pagina 62 inizia con la quinta proposizione e precisamente con l’affermazione che "l’appello va altresì accolto anche in relazione ai motivi concernenti la esatta quantificazione del danno risarcibile", il Tribunale, nella terzultima proposizione della stessa pagina è pervenuto ad affermare che "l’attore, infatti, come si è detto, non ha provato nè di aver subito un danno, nè le componenti dello stesso ed inoltre non sussiste nel caso di specie, a differenza di quanto dedotto dal giudice di prime cure in sentenza, l’assoluta difficoltà o impossibilità di provare il quantum del danno subito".

Ora, in tal modo (e come risulta ribadito conclusivamente anche dalla proposizione seguente) la riforma della sentenza di primo grado ed il rigetto della domanda risultano giustificati sia per il fatto che i ricorrenti non avrebbero provato i danni-evento lamentati, sia per il fatto che non avrebbero dato la dimostrazione delle conseguenze economiche della loro verificazione e, quindi del quantum debeatur, mentre invece dovevano, ad avviso del Tribunale dare tale prova, non potendo soccorrere al riguardo la liquidazione equitativa.

L’una e l’altra ragione risultano idonee a giustificare la decisione impugnata in via autonoma, posto che la seconda, se anche la prima cadesse per effetto dei motivi in esame, sarebbe comunque sufficiente a reggere la decisione stessa.

Ebbene, nessuno dei tre motivi attinge questa parte della motivazione, che come tale, giusta o sbagliata che sia, in mancanza di impugnazione, comporta che la sentenza impugnata sia passata in cosa giudicata quanto al rigetto delle domande (secondo la condivisibile prospettazione di Cass. n. 14740 del 2005, secondo cui "Allorquando la sentenza assoggettata ad impugnazione sia fondata su due diverse "rationes decidendi", idonee entrambe a giustificarne autonomamente le statuizioni, la circostanza che l’impugnazione sia rivolta soltanto contro una di esse, e non attinga l’altra, determina una situazione nella quale il giudice dell’impugnazione (ove naturalmente non sussistano altre ragioni di rito ostative all’esame nel merito dell’impugnazione) deve prendere atto che la sentenza, in quanto fondata sulla "ratio decidendi" non criticata dall’impugnazione, è passata in cosa giudicata e desumere, pertanto, che l’impugnazione non è ammissibile per l’esistenza del giudicato, piuttosto che per carenza di interesse") o la mancanza di interesse allo scrutinio dei tre motivi di cui si discorre per carenza di interesse (secondo altro filone di giurisprudenza della Corte: ex multis, Cass. (ord.) n. 22753 del 2011).

La conseguenza è che i tre motivi sono comunque inammissibili. p.5. L’inammissibilità di tutti e cinque i motivi comporta l’inammissibilità del ricorso.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna i ricorrenti alla rifusione alla parte resistente delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro millequattrocento, di cui duecento per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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