Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 17-06-2011) 04-10-2011, n. 36014 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza 26/8/10 il Tribunale di Reggio Calabria rigettava la richiesta di riesame proposta da F.G.C.D. avverso l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa nei suoi confronti il 9/6/10 dal Gip dello stesso Tribunale per i reati di estorsione in danno di M.D. (capo V) e detenzione e porto di un’arma da guerra non meglio identificata (capo AA), entrambi i reati aggravati L. n. 203 del 1991, ex art. 7.

Nell’ambito delle indagini di polizia giudiziaria (la cd. operazione "(OMISSIS)") seguita alla cattura del latitante C.P., avvenuta in Pellaro di RC il 18/2/08, si delineavano i nuovi equilibri mafiosi stabilitisi nella città di Reggio Calabria e nelle zone immediatamente vicine nell’ultimo decennio: nell’informativa conclusiva del 14/2/09 dei Ros dei CC si dava conto delle attività estorsive registrate nel territorio cittadino da Villa San Giovanni a Pellaro, delle attività di polizia giudiziaria per la cattura del C., della presenza della cosca Buda-Imerti di Fiumara di Muro e del ruolo degli imprenditori B.D. e V., dell’attività nel capoluogo di C.A. dell’omonima famiglia di Sinopoli.

Nel contesto si delineava la figura del F., che in una conversazione intercettata sulla sua autovettura il 13/1/06 risultava in compagnia di tre soggetti non identificati con i quali stava controllando (come si desume dal complessivo discorso) un’arma da guerra a mitraglia da 20 colpi (è il capo AA).

Del resto, in una conversazione intercettata il 1712/06 tra B. P. e P.D., costoro ricordano un episodio in cui il detto F., peraltro indicato come uno che "si mette con tutti", aveva nascosto un fucile all’interno della cuccia del cane di un suo vicino di casa che, trovatolo, lo aveva buttato via. La seconda imputazione (l’estorsione sub V) basa su una conversazione intercettata tra lo stesso F.G. e il nominato B. P. durante i funerali del figlio di C.D. svoltisi il 18/11/05 a Rosarno. E’ il F. che informa l’altro dell’intervento di suo fratello B.N. e di tale Consolato (Geria) in favore del titolare della pizzeria "Il vecchio mattone" di Rosarno (identificato in M.D. di Dinami) che affermava di non avere soldi per pagare il "pizzo" preteso dal F.. In particolare quella stessa mattina si era incontrato a Gallico con tale d.G.M.F., cui si erano rivolti il M. e la sorella, intervenendo in loro favore anche il già nominato P.D.. Riscontrato il contatto telefonico del giorno prima del F. con B.N..

Il F. risultava soggetto vicino anche ai latitanti B. G. e B.G., che avrebbe più volte incontrato.

Quindi la gravità del quadro indiziario e le conseguenti esigenze cautelari.

Ricorreva per cassazione la difesa del F., deducendo violazione di legge e vizio di motivazione: le conversazioni captate, dal contenuto equivoco, non consentivano di apprezzare con la dovuta certezza il profilo delle condotte in concreto contestate. Apodittica l’affermata sussistenza delle esigenze cautelari. Chiedeva l’annullamento. Ricorreva, con atto pervenuto il 18/3/11, lo stesso F., deducendo violazione di legge processuale e vizio di motivazione in ordine alle forzature interpretative delle conversazioni intercettate. In particolare contestava che dall’espressione "gli faccio il taglio, gli ho detto io, ha un paio di mesi" si potesse evincere un’estorsione in atto a carico della pizzeria del M.; si era poi ignorato che quest’ultimo, specificamente interpellato, aveva negato ogni pretesa estorsiva da parte del F., che neppure conosceva. Allo stesso modo, in ordine alla conversazione sull’arma, contestava la mancata considerazione del passaggio dove il F. lamentava le cattive condizioni della stessa ("tu l’hai vista, è brutta, sverniciata, no.."), da cui si desumeva che non era alla vista e quindi nella disponibilità dei conversanti. Insisteva nell’annullamento.

All’udienza camerale fissata per la discussione il PG concludeva per la declaratoria di inammissibilità del ricorso, la difesa per l’accoglimento.

Il ricorso è infondato e va respinto.

E’ giurisprudenza pacifica di legittimità che in tema di misure cautelari personali (Cass., S.U., sent. n. 11 del 22/3/00, rv.

215828, ric. Audino), allorchè sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza (ciò che al presente si registra, la dedotta violazione di legge identificandosi con il vizio di motivazione), alla S.C. spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità ed ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravita del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento dei risultati probatori.

Nel caso in esame ciò è avvenuto, il giudice di merito avendo rappresentato in modo adeguato, logico e puntuale la gravita del quadro indiziario a carico del ricorrente. In particolare la posizione del F. appare correttamente valutata sia in ordine al reato di estorsione che a quello di violazione della legge sulle armi. Quanto al primo è assai significativa la sua dimestichezza con l’interlocutore B.P. (personaggio di primo piano delle indagini in atto), quale emerge nella conversazione intercettata ai funerali del C. (dell’omonima famiglia di Rosarno, ben nota a storia e cronaca giudiziaria): dimestichezza e consuetudine alla tematica affrontata (l’estorsione ad un pizzaiolo, dove la vittima "si raccomanda" per un miglior trattamento) che denotano la caratura criminale del F. e anche la sua adesione alle logiche e alle dinamiche associative. La prova specifica è comunque nella parola dello stesso indagato, con le sue genuine dichiarazioni involontariamente auto confessorie. Rituale, per contro, che l’estorto (per definizione intimidito) neghi l’estorsione.

Così pure per il reato di illegale detenzione di arma da guerra (a mitraglia, da venti colpi): la lettura data dalla difesa alla conversazione intercettata sull’auto del F. (per cui Parma di cui i conversanti parlano non è sulla vettura) è alternativa a quella offerta dall’accusa e recepita dal giudice, secondo cui, invece, gli occupanti stanno controllando de visu l’arma in questione. Questa conclusione è frutto di una analisi corretta, coerente e priva di vizi logici e pertanto incensurabile in questa sede.

Motivate (ex art. 275 c.p.p., comma 3) le esigenze cautelari.

Al rigetto del ricorso segue ( art. 616 c.p.p.) la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del processo.

Trattandosi di soggetto in custodia cautelare in carcere va disposto ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Dispone trasmettersi, a cura della Cancelleria, copia del provvedimento al Direttore dell’Istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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