Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 17-06-2011) 04-10-2011, n. 36013 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza 23/9/10 il Tribunale del riesame di Reggio Calabria confermava l’ordinanza 16/7/10 con cui il Gip dello stesso Tribunale disponeva nei confronti di B.S. la misura della custodia cautelare in carcere per il reato di cui all’art. 416-bis c.p..

L’accusa per il B. è di far parte dell’associazione di tipo mafioso denominata ‘ndrangheta, articolata in molte decine di "locali" ripartiti in tre mandamenti dotati di un organo di vertice denominato "Provincia", e di essere specificamente partecipe, con ruolo attivo, ai "locali" di Croce Valanidi, Olivete, Trunca e Allai, assicurando le comunicazioni tra gli associati, partecipando alle riunioni ed eseguendo le direttive dei vertici della "società" e dell’associazione.

Quanto all’associazione l’ordinanza cautelare prende le mosse da alcuni passati giudicati che hanno accertato nel tempo la struttura originariamente orizzontale delle articolazioni del sodalizio e poi la sua evoluzione in senso piramidale. Fondamentali nella presente indagine (la cd. operazione "(OMISSIS)") le conversazioni intercettate tra numerosi personaggi dove è frequente il riferimento alla "Provincia" come organismo di vertice, composto da elementi che abbiano almeno la carica di "Vangelo" (si fa il nome di O. D. da Rosarno come capo crimine, di L.A. da Reggio Calabria come capo società, di G.B. da San Luca come mastro generale, di M.R. da Bova Marina come mastro di giornata, di un soggetto non identificato di Platì come contabile).

Quanto alla specifica posizione del B., fondamentale nell’accusa a suo carico la lunga conversazione ambientale intercettata l’11/7/08 nella Mercedes in uso al coindagato G. N. tra lo stesso G. e, appunto, il B.. I due, che sono cognati, commentano diffusamente questioni riguardanti il "locale" di Croce Valanidi, di cui oltre allo stesso B. risulta far parte G.F. (detto C.), cugino di N.. Parlano di una mancanza (una "cattiva figura") commessa a livello di "locale" dal detto G.C., biasimato per aver chiamato solo M.D. davanti a L.N.; parlano di una "riunione" dove si doveva discutere di mancanze addebitate ad affiliati, in ordine alla quale N. rimprovera al cognato che erano stati ammessi a partecipare anche gli accusati; G. chiede al cognato se da loro quell’estate di "mangiate" (ovvero di riunioni) ne avessero fatte; vengono fatti apertamente i nomi di molti adepti e si commentano le carriere e le "doti" ottenute da alcuni, come la "santa" ricevuta da tal G.D. per mano dello stesso G.N., di suo padre A., del cugino C., dal su nominato M.D., da S.N., da C.D.; si parla di personaggi di vertice nell’ambito della stessa "Provincia" come "compare M." ( O. D.). In definitiva – osserva il giudice del riesame – il B., conversante diretto, non si limita a ricevere passivamente le notizie, i commenti e le informazioni espresse dal cognato, ma è coinvolto in prima persona, partecipa in modo dinamico ed interessato agli argomenti affrontati, dimostrando in numerosi frangenti la possibilità di attingere ad un proprio bagaglio conoscitivo esperienzale maturato in prima persona all’interno del "locale" di Croce Valanidi. Di qui la gravità del quadro indiziario e le conseguenti esigenze cautelari.

Ricorreva per cassazione il B.. Con un primo difensore deduceva violazione di legge e vizio di motivazione, lamentando che l’accusa si fondasse su di un’unica conversazione che, al di là dei contenuti equivoci (come ad esempio la "mangiata", interpretata come riunione di ‘ndrangheta), era recepita acriticamente senza riscontri.

Con un secondo difensore deduceva altresì violazione di legge e vizio di motivazione, mancando ogni correlazione tra l’imputazione di stabile partecipazione al sodalizio criminoso e l’assenza di ogni ruolo concreto desumibile dall’unica conversazione intercettata, di equivoco significato e da cui neppure si desume l’affermata adesione del ricorrente al sodalizio a nuova struttura verticale di cui sente parlare dal cognato. Chiedeva l’annullamento.

Con motivi aggiunti il primo difensore censurava la mancata indicazione nell’accusa di un numero sufficiente di adepti (limitati a G.F. e B.S.) per configurare la "locale" di Croce Valanidi come una autonoma associazione per delinquere (sia pure confluente nella "Provincia").

All’udienza camerale fissata per la discussione il PG concludeva per la declaratoria di inammissibilità del ricorso, la difesa (concludenti entrambi i difensori ricorrenti) per il suo accoglimento.

Il ricorso è infondato e va respinto.

E’ giurisprudenza pacifica di legittimità che in tema di misure cautelari personali (Cass., S.U., sent. n. 11 del 22/3/00, rv.

215828, ric. Audino), allorchè sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza (ciò che al presente si registra, la dedotta violazione di legge identificandosi con il vizio di motivazione), alla S.C. spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità ed ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravita del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento dei risultati probatori.

Nel caso in esame ciò è avvenuto, il giudice di merito avendo rappresentato in modo adeguato, logico e corretto la gravita del quadro indiziario a carico del ricorrente. In particolare la posizione del B., per come appare dalla lunga ed articolata intercettazione ambientale a suo carico in cui egli è in conversazione con il cognato F. ( C.) G. (la cui posizione è stata vagliata con pari esito in altro procedimento cautelare), appare quella di soggetto pienamente intraneo al sodalizio, in rapporti diretti e paritari con elementi di primo piano dello stesso (quali appunto il G. al di là del rapporto di affinità, che di per sè non autorizza alcuna confidenza con un eventuale "estraneo"). Sull’unicità della conversazione in atti riguardante il B. fa aggio il suo contenuto e l’autorevolezza dell’interlocutore (che compare con rilievo in molte altre conversazioni intercettate nel corso della comune indagine). La pretesa equivocità di qualche termine (come la "mangiata", certamente sinonimo di incontro conviviale, ma riservato e protetto e condizionato, quando non finalizzato nei contenuti delle conversazioni, dalla personalità ‘ndranghetistica dei partecipanti).

L’elevato spessore indiziario della conversazioni, captata in un’indagine riguardante un contesto malavitoso di notevole importanza e di accertata vitalità, consente di ritenere il B. – per sua stessa voce – ben addentro alle logiche associative e ai suoi riti e gerarchie. E per l’odierno indagato non si tratta solo di conoscenza, ma di partecipazione attiva, come si evince dal rimprovero del cognato per aver organizzato una "riunione" del loro "locale" (Croce Valanidi) senza la necessaria avvedutezza, ammettendo a partecipare anche coloro le cui mancanze andavano discusse in quella sede. Un tal grado di partecipazione implica anche la conoscenza (pur non essendo essa oggetto della specifica conversazione) della struttura (da tempo evoluta in senso verticistico) del sodalizio.

Che infine (motivi aggiunti) il capo di imputazione non indichi un numero sufficiente di adepti per il (o la) "locale" di Croce Valanidi è contraddetto dalla stessa lettura del capo di imputazione medesimo, che (al di là della più volte richiamata unicità del sodalizio criminoso) assomma più "locali" (oltre a Croce Valanidi, le vicine frazioni di Oliveto, Trunca e Allai) e numerosi adepti identificati (undici, tra i quali, appunto, il G. e il B.).

Al rigetto del ricorso segue ( art. 616 c.p.p.) la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del processo.

Trattandosi di soggetto in custodia cautelare in carcere va disposto ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p..

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Dispone trasmettersi, a cura della Cancelleria, copia del provvedimento al Direttore dell’Istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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