Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 17-06-2011) 04-10-2011, n. 36012

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza 10/1/11 il Tribunale del riesame di Sassari rigettava il ricorso di S.S. avverso l’ordinanza 28/12/10 con cui il Gip del Tribunale di Tempio Pausania disponeva nei confronti del predetto S. la misura della custodia cautelare in carcere per il reato di tentato omicidio in danno di M.A. (in Olbia, il 24/12/10).

Il soggetto era stato arrestato dai CC di Olbia poco dopo la mezzanotte del 24/12/10 nella quasi flagranza di reato. Il S. aveva dapprima aggredito per strada il M., attuale compagno della moglie separata Si.Si., e poi, dopo averlo indotto per un chiarimento a salire sulla sua auto ed averlo portato in un posto isolato, lo aveva attinto con numerosi colpi di accetta, causandogli diverse fratture da difesa agli arti superiori e inferiori (il referto in data 25/12/10 certificava frattura scomposta all’ulna sx, frattura scomposta 4 metacarpo, frattura 5 metacarpo, infrazione 5 costa sx, frattura scomposta diafisi peroneale dx). Alla prima fase dell’aggressione avevano assistito la stessa Si. e il comune amico Mo.Lu. (il S., che li aveva seguiti con la sua macchina, aveva afferrato per il collo il rivale, che non aveva reagito cercando di farlo ragionare, tentando di strangolarlo), i quali successivamente ricevevano sul cellulare della donna una disperata richiesta di aiuto del M., che riferiva di essere stato aggredito e ripetutamente colpito con un’ascia, senza saper dire dove si trovava, e poco dopo una sprezzante telefonata del S. che diceva loro dove avesse abbandonato la vittima.

Giunti sul posto, i due avevano trovato il M. sanguinante e avevano chiesto aiuto (ricoverato al pronto soccorso, l’uomo era stato successivamente sottoposto ad intervento chirurgico di urgenza nel reparto di ortopedia e traumatologia).

Mentre il referto medico confermava il narrato della vittima e dei testi, le indagini portavano al reperimento di indumenti e scarpe dell’indagato intrisi di sangue, di tracce ematiche all’interno e all’esterno della sua autovettura, al rinvenimento della accetta, abbandonata in un cespuglio di macchia mediterranea poco distante dal luogo dell’aggressione.

Ritenuti quindi i gravi indizi di colpevolezza e le esigenze cautelari, ravvisate nella evidente pericolosità del soggetto (manifestamente incapace di autocontrollo) e nel conseguente pericolo di reiterazione del reato.

Ricorreva per cassazione la difesa, riproponendo i rilievi disattesi dal Tribunale: 1) la nullità della perquisizione (durata ore) e del sequestro, dal verbale non essendo dato comprendere quando fosse stato rivolto l’invito all’indagato a nominare un difensore e quando quello di ufficio fosse stato inutilmente contattato (lo stesso giudice avendo fatto in proposito riferimento all’arrestato che non si era valso della relativa facoltà); 2) l’idoneità dell’azione non poteva trarsi solo dal mezzo usato ma dall’analisi della situazione complessiva, che nel caso non era stata investigata (neppure sentita la parte offesa); 3) nessuna delle parti del corpo attinte era vitale (non vi era traccia di quelle ferite all’anca e quindi in zona femorale di cui scriveva il Gip), non trovava riscontro la affermazione dei verbalizzanti per cui la vittima non aveva opposto resistenza, le lesioni (che non avevano mai messo in pericolo di vita l’offeso) erano state giudicate guaribili in 30 giorni (ed il paziente dimesso dopo due ore dal pronto soccorso); 4) gli atti non erano univoci all’esito mortale, posto che l’agente, che ben avrebbe potuto portare alle estreme conseguenze l’aggressione, si era astenuto da ciò, consentendo anzi che il ferito (che neppure era in pericolo di dissanguamento) venisse ritrovato e soccorso; 5) ciò valeva anche per il dolo omicida, fosse pure nella forma alternativa ritenuta dal giudice; 6) era stata erroneamente esclusa l’esimente della desistenza volontaria, sul supposto che il soggetto agente avesse desistito dall’azione quando il tentativo era ormai compiuto (trascurando che il "compimento" coincideva con la desistenza stessa); 7) inesistenti le esigenze cautelari (ipoteticamente affermate senza essere desunte da circostanze concrete) e comunque fronteggiabili con misure meno afflittive come gli arresti domiciliari.

Traendo da ciascun rilievo censura di violazione di legge penale o processuale e/o di vizio di motivazione, chiedeva l’annullamento.

All’udienza camerale fissata per la discussione il PG concludeva per la declaratoria di inammissibilità del ricorso. Nessuno compariva per il ricorrente.

Il ricorso è infondato e va respinto.

Palesemente infondato il primo motivo. L’invito all’indagato a nominare un difensore è espresso nel verbale di perquisizione veicolare e personale in atti. Per il resto è giurisprudenza pacifica di legittimità che in tema di misure cautelari personali, allorchè sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla S.C. spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità ed ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravita del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutandone degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento dei risultati probatori (Cass., S.U., sent. n. 11 del 22/3/00, rv. 215828, Audino). Nel caso in esame ciò è avvenuto, il giudice di merito avendo rappresentato in modo adeguato, logico e corretto la gravità del quadro indiziario a carico del ricorrente.

In particolare, è di immediata evidenza il marcato rilievo penale dei fatti, sulla base non solo del mezzo usato (un’accetta), ma anche degli altri elementi di prova in atti (nello specifico i segni dell’aggressione e il racconto dei testi).

Quanto all’imputazione di tentato omicidio, la correttezza della qualificazione non è inficiata degli esiti non estremi dell’aggressione e dalla conseguente assenza, per essi, di un pericolo di vita per l’aggredito, ciò che rileva in proposito essendo l’intento omicida e non la maggiore o minor approssimazione dell’azione al raggiungimento dello scopo, questo derivando da svariati fattori che possono esulare dalla volontà dell’agente.

Nè rileva in generale la desistenza dall’azione lesiva, una volta che quanto posto in essere dall’autore integri già il reato (nella specie il tentato omicidio) contestato. E nel caso ciò è avvenuto – dopo la prima violenta richiesta di chiarimenti (col tentativo di strangolamento, afferrando il rivale per il collo) e la successiva induzione dell’altro ad appartarsi con lui (così sottraendolo al possibile aiuto di chi l’accompagnava) – con la feroce aggressione ad una vittima inerme con un mezzo lesivo particolarmente letale (l’accetta). Che dunque il soggetto ad un certo punto abbia desistito dall’azione (pago dell’umiliazione inflitta al rivale), non toglie che quanto fin lì compiuto non abbia integrato il reato di tentato omicidio (con il compimento di atti idonei, diretti in modo non equivoco a quell’esito): quando ebbe a desistere, quel che già aveva fatto costituita un tentato omicidio.

Compiutamente e correttamente motivate le esigenze cautelari, che, a fronte della gravità del fatto e alla personalità irrazionale e violenta del soggetto, sono individuate nel concreto pericolo di reiterazione del reato.

Al rigetta del ricorso segue ( art. 616 c.p.p.) la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del processo.

Trattandosi di soggetto in custodia cautelare in carcere va disposto ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Dispone trasmettersi, a cura della Cancelleria, copia del provvedimento al Direttore dell’Istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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