Cass. civ. Sez. II, Sent., 29-02-2012, n. 3133 Riduzione di donazioni e di disposizioni testamentarie

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con sentenza in data 6 luglio 2006, il Tribunale di Milano, pronunciando nella causa promossa da G.P. contro G.V., ha accertato, nell’ambito della successione testamentaria di G.E., la lesione della quota di legittima in danno dell’attrice, e ha ridotto la disposizione testamentaria in favore di G.V., conseguentemente condannando il convenuto, agli effetti della reintegrazione della quota di riserva spettante all’attrice, a pagare a G.P. la somma di Euro 80.288,45. 2. – La Corte d’appello di Milano, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 19 maggio 2008, ha rigettato il gravame di G.V..

2.1. – La Corte territoriale:

– ha giudicato esatta la qualificazione della domanda operata dal primo giudice, rilevando che l’attrice aveva proposto una domanda, non di divisione ereditaria, ma di riduzione delle disposizioni testamentarie del de cuius;

– ha rilevato che correttamente, nel calcolare la quota spettante a G.P., erano state detratte le donazioni da questa ricevute;

– ha escluso il lamentato vizio di extrapetizione, rilevando che le domande dell’attrice in primo grado erano state formulate in termini percentuali e con riferimento alla perizia depositata in atti;

– ha precisato che l’appellante aveva ricevuto più della quota di riserva e, nel contempo, non poteva computare a suo favore la quota disponibile, tenuto conto che, a seguito delle donazioni compiute in vita, il de cuius aveva già ampiamente esaurito la stessa quota disponibile; sicchè, mancando la quota disponibile, era stato necessario procedere alla riduzione delle disposizioni testamentarie e delle donazioni di cui aveva beneficiato il convenuto, e che eccedevano la quota di riserva allo stesso spettante.

3. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello G.V. ha proposto ricorso, con atto notificato il 30 ottobre 2008, sulla base di quattro motivi.

L’intimata non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Motivi della decisione

1. – Il primo mezzo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 553, 554, 555, 556 e 737 cod. civ. e carente, contraddittoria o illogica motivazione su un punto decisivo della controversia. Esso è accompagnato dal seguente quesito di diritto: "Dica la Corte se la decisione assunta nella sentenza del Tribunale di Milano, confermata dalla Corte d’appello di Milano, oggetto del presente ricorso per cassazione, sia in aperta violazione ai disposti degli artt. 553, 554, 555, 556 e 737 cod. civ. e frutto di illogica motivazione, su un punto certamente decisivo della controversia".

Il secondo mezzo (violazione dell’art. 100 cod. proc. civ. ed illogica motivazione, su altro punto decisivo della controversia) è accompagnato dal quesito "se la decisione assunta nella impugnata sentenza della Corte d’appello di Milano, che ha confermato la sentenza di primo grado, sia in violazione dell’art. 100 cod. proc. civ., stante l’evidente carenza di legittimazione ad agire della sig. G.P. nei confronti del fratello G.V. ed in ogni caso se sia frutto di illogica motivazione, su un punto certamente decisivo della controversia".

Il terzo motivo – sotto la rubrica "violazione degli artt. 555 e 556 cod. civ. e carente, contraddittoria o illogica motivazione su un punto decisivo della controversia" – si conclude con l’interrogativo se "la decisione assunta con l’impugnata sentenza della Corte d’appello di Milano, oggetto del presente ricorso per cassazione, sia in aperta violazione degli artt. 555 e 556 cod. civ. e frutto di illogica motivazione, su un punto certamente decisivo della controversia". 2. – I primi tre motivi – i quali possono essere esaminati congiuntamente, presentando problemi analoghi – sono inammissibili, perchè i quesiti proposti non sono in linea con le prescrizioni dell’art. 366-bis cod. proc. civ., ratione temporis applicabile.

2.1. – Sono in primo luogo inidonei i quesiti di diritto che concludono le censure di violazione e falsa applicazione di legge.

Questa Corte ha in più occasioni chiarito che i quesiti di diritto imposti dall’art. 366-bis cod. proc. civ. rispondono all’esigenza non solo di soddisfare l’interesse del ricorrente ad una decisione della lite diversa da quella cui è pervenuta la sentenza impugnata, ma, al tempo stesso e con più ampia valenza, anche di enucleare il principio di diritto applicabile alla fattispecie, collaborando alla funzione nomofilattica della Corte di cassazione; i quesiti costituiscono, pertanto, il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio giuridico generale, risultando, altrimenti, inadeguata e, quindi, non ammissibile l’investitura stessa del giudice di legittimità (tra le tante, Cass., Sez. Un., 6 febbraio 2009, n. 2863; Cass., Sez. Un., 14 febbraio 2008, n. 3519; Cass., Sez. Un., 29 ottobre 2007, n. 22640).

Per questo – la funzione nomofilattica demandata al giudice di legittimità travalicando la risoluzione della singola controversia – il legislatore ha inteso porre a carico del ricorrente l’onere imprescindibile di collaborare ad essa mediante l’individuazione del detto punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del più generale principio giuridico, alla quale il quesito è funzionale, diversamente risultando carente in uno dei suoi elementi costitutivi la stessa devoluzione della controversia ad un giudice di legittimità: donde la comminata inammissibilità del motivo di ricorso che non si concluda con il quesito di diritto o che questo formuli in difformità dai criteri informatori della norma.

Il quesito di diritto non può essere desunto per implicito dalle argomentazioni a sostegno della censura, ma deve essere esplicitamente formulato, diversamente pervenendosi ad una sostanziale abrogazione della norma (Cass., Sez. Un., 17 aprile 2009, n. 9153).

Nella specie i tre quesiti sono inidonei, perchè non individuano nè il principio di diritto che è alla base del provvedimento impugnato, nè, correlativamente, il principio di diritto, diverso dal precedente, la cui auspicata applicazione ad opera della Corte possa condurre ad una decisione di segno inverso rispetto a quella impugnata.

2.2. – Là dove, poi, le tre censure prospettano il vizio di motivazione, va rilevata l’inidoneità del quesito di sintesi.

Va premesso che questa Corte regolatrice – alla stregua della stessa letterale formulazione dell’art. 366-bis cod. proc. civ. – è ferma nel ritenere che a seguito della novella del 2006 nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5, allorchè, cioè, il ricorrente denunci la sentenza impugnata lamentando un vizio della motivazione, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria e le ragioni della contraddittorietà della motivazione o per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione.

Ciò importa in particolare che la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (cfr., ad esempio, Cass., sez. un., 1 ottobre 2007, n. 20603).

Nella specie, i quesiti formulati, come sopra trascritti, non indicano chiaramente nè tale fatto nè le ragioni per le quali la motivazione sarebbe contraddittoria, inidonea o insufficiente.

2.3. – Non rileva che il ricorso venga deciso quando la L. 18 giugno 2009, n. 69, era già stata pubblicata ed entrata in vigore.

Invero, alla stregua del principio generale di cui all’art. 11 preleggi, comma 1, secondo cui, in mancanza di un’espressa disposizione normativa contraria, la legge non dispone che per l’avvenire e non ha effetto retroattivo, nonchè del correlato specifico disposto della L. n. 69 del 2009, art. 58, comma 5, in base al quale le norme previste da detta legge si applicano ai ricorsi per cassazione proposti avverso i provvedimenti pubblicati a decorrere dalla data di entrata in vigore della medesima legge (4 luglio 2009), l’abrogazione dell’art. 366-bis cod. proc. civ. (intervenuta ai sensi della citata L. n. 69 del 2009, art. 47) è diventata efficace per i ricorsi avanzati con riferimento ai provvedimenti pubblicati successivamente alla suddetta data, con la conseguenza che per quelli proposti – come nella specie – contro provvedimenti pubblicati antecedentemente (e dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40) tale norma è da ritenere ancora applicabile (Cass., Sez. 1, 26 ottobre 2009, n. 22578; Cass., Sez. 3, 24 marzo 2010, n. 7119).

3. – Il quarto motivo prospetta violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e decisione illegittima, per avere riconosciuto i fatti solo enunciati, ma non dimostrati, da G.P., senza esaminare e valutare le eccezioni risultanti dalla documentazione prodotta da G.V.. Il conclusivo quesito è del seguente tenore:

"Dica la Corte se la decisione assunta nella sentenza della Corte d’appello di Milano, oggetto del presente ricorso per cassazione, sia in violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., per avere attribuito alla sig. G.P. più di quanto dalla stessa indicato a titolo di conguaglio della propria quota di riserva e se la stessa decisione sia comunque illegittima, per avere riconosciuto, puramente e semplicemente, i fatti enunciati, ma non dimostrati da quest’ultima, senza esaminare e valutare le eccezioni comprovate anche documentalmente da G.V.". 4. – Anche il quarto motivo è inammissibile.

Per un verso, là dove denuncia il vizio di extrapetizione sul rilievo che a G.P. sarebbe stato attribuito più di quanto dalla stessa indicato a titolo di conguaglio della propria quota di riserva, il motivo non coglie e non si confronta con la ratio decidendi della sentenza impugnata, nella quale è detto espressamente: che le domande dell’attrice in primo grado sono state formulate in termini percentuali ("assegni alla attrice beni corrispondenti a un decimo dell’asse ereditario") e con riferimento alla perizia depositata in atti; e che il Tribunale ha determinato l’entità della riduzione facendo riferimento a tali valori.

Per l’altro verso, il quesito è assolutamente privo di specificità, perchè indica solo genericamente che i fatti costitutivi della domanda sarebbero solo enunciati, ma non dimostrati, e perchè non spiega quali eccezioni, comprovate anche documentalmente dal G., non sarebbero state prese in considerazione dalla Corte del gravame.

5. – Il ricorso è inammissibile.

Nessuna statuizione sulle spese deve essere adottata, non avendo la parte intimata svolto attività difensiva in questa sede.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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