Cass. civ. Sez. II, Sent., 29-02-2012, n. 3128

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

M.L., I. e R.P. nonchè G. G. citarono nel 1983 A.A. ed R. A. innanzi al Tribunale di Torino chiedendo che fosse sciolta la comunione incidentale su un cortile comune, domandando l’assegnazione della parte fronteggiante i propri fabbricati, conformemente allo stato di fatto risalente nel tempo; in subordine instarono affinchè detta porzione fosse dichiarata acquisita per intervenuta usucapione. I convenuti, del pari proprietari di immobili affacciandosi sul cortile, contrastarono tali domande chiedendo in via riconvenzionale che venisse accertata la loro proprietà esclusiva di alcuni "revesi" (id est porzioni) del cortile, e che le parti attrici fossero condannate alla demolizione di opere costruite abusivamente sulla corte comune. Venne integrato il contraddittorio con altri comproprietari del cortile – C.B., C. D., anche come eredi di V.P., altra comproprietaria – i quali proposero domande analoghe a quelle dei convenuti; deceduti l’ A. ed il Ro., si costituirono poi i loro eredi, Ro.En. e Ro.Ma.; intervennero altresì T.P. e P.L., donatari della defunta A. dell’immobile fronteggiante il cortile oggetto di contenzioso con il relativo diritto su quest’ultimo; avendo poi E. e Ro.Ma. rinunziato all’eredità paterna, si costituirono in rappresentazione i figli di costoro, M., P. e T.R..

L’adito Tribunale, pronunziando sentenza pubblicata nel marzo 2001, respinse le domande di scioglimento della comunione e di avvenuto acquisto per usucapione proposte dagli attori mentre accolse le domande, avanzate dai convenuti e dai terzi chiamati, di accertamento della proprietà esclusiva di alcune porzioni del cortile, ordinando altresì la demolizione di alcuni manufatti – un garage in lamiera, un ricovero per conigli, un corpo di fabbrica di due piani, destinato a servizi igienici, con la relativa fossa biologica; delle scale esterne di accesso ad uno degli stabili insistenti sulla corte contesa in quanto posti sulla porzione comune del cortile o su quella di proprietà esclusiva dei C..

La Corte di Appello di Torino, pronunziando sentenza n. 974/2005, depositata il 20 giugno 2005, respinse l’impugnazione dei R. – G. che con tale mezzo avevano inteso contrastare la condanna a demolire i corpi di fabbrica in precedenza indicati, formulando nel contempo eccezione di intervenuta usucapione del diritto di mantenere in sita dette opere: la Corte territoriale – nella parte della pronunzia che ancora conserva interesse in sede di legittimità -, pur ritenendo ammissibile detta eccezione, esaminando le vicende interessanti ogni singolo manufatto, negò che fosse stato provato il decorso del termine ventennale per l’usucapione.

Per la cassazione di tale decisione hanno proposto ricorso i ricordati R. – G. sulla base di un unico motivo; i Ro.; i T., la P. ed i C. si sono costituiti con controricorso illustrato da memoria.

Motivi della decisione

1 – Con l’unico motivo le parti ricorrenti, deducendo la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 117 c.p.c., nonchè il vizio di motivazione – sotto il triplice profilo dell’omissione, dell’insufficienza e della contraddittorietà – su un punto decisivo della controversia, hanno complessivamente sottoposto a critica la valutazione delle emergenze di causa posta a base della decisione di non ritenere provati i presupposti per l’acquisto, in virtù di usucapione, del diritto di mantenere in loco i manufatti dei quali è stata loro ordinata la rimozione.

1/a – Quanto alle scale esterne di accesso allo stabile indicato in catasto al fol 14, parti.le 69 e 70 contestano l’assunto della Corte distrettuale, secondo il quale le stesse non avrebbero avuto la medesima ubicazione di altre costruite in precedenza, invocando una più attenta lettura delle planimetrie e delle foto allegate alla consulenza tecnica di ufficio, come pure una più diligente analisi delle deposizioni testimoniali, dalle quali sarebbe emersa la coincidenza di tali accessori con un precedente manufatto – avente la medesima funzione – quanto alla costruzione in muratura inglobante un servizio igienico, edificato in forza di una concessione edilizia del 1968; si dolgono altresì del giudizio di irrilevanza formulato dalla Corte di Appello in merito ad un adiacente ricovero per galline e conigli (al fine di dedurne l’animus necessario per l’acquisto per usucapione dell’area di sedime) sul presupposto della precarietà e dell’incerta paternità dell’opera e della non decisività del suo posizionamento in relazione al ben più stabile manufatto di cui chiesero la declaratoria di acquisto per usucapione, assumendo in contrario: la non adeguata motivazione in merito al carattere di precarietà del manufatto; la coincidenza spaziale tra le due piccole costruzioni giusta le risultanze delle testimonianze acquisite e la certezza dell’edificazione della conigliera da parte dei danti causa di essi ricorrenti, così da potersi avvalere del principio di successione nel possesso; quanto poi al rigetto dell’eccezione di usucapione avente ad oggetto il garage ed il ricovero per conigli – motivata dalla Corte di appello sia con riferimento alla fatiscenza delle strutture ed alla mancata conclusività delle prove testimoniali in merito all’epoca in cui esse sarebbero state poste in essere (considerando che l’eccezione di usucapione venne sollevata nel 1983) osservano in contrario che le deposizioni dei testi sarebbero state decisive in merito alla loro sussistenza in epoca anteriore di vent’anni dall’inizio del giudizio.

2 – Il motivo è da considerarsi inammissibile in quanto la critica mossa al ragionamento giudiziale è condotta non già sull’articolazione logica del sillogismo giudiziale bensì sulla scelta stessa del materiale da ritener concludente ai fini della decisione, richiamando genericamente il contenuto di atti e testimonianze al dichiarato fine di far compiere alla Corte un (terzo) giudizio di merito sull’istruttoria – financo invitando il Collegio a esaminare direttamente – e meglio le planimetrie allegate alle concessioni -, modus operandi che esula completamente dall’oggetto del giudizio di legittimità. 3 – Ciò premesso in via generale, va anche messo in rilievo che manca qualunque deduzione difensiva che consenta di collocare la dedotta violazione degli artt. 115 e 117 (il richiamo alla seconda norma appare costituire altresì un refuso, non essendosi mai fatta questione del potere discrezionale del giudice di ammettere l’interrogatorio libero delle parti) nell’ambito delle censure conoscibili da questa Corte, atteso che la violazione dell’art. 115 c.p.c. può essere imputata al giudice del merito sotto due distinti profili: da un lato, ove, nell’esercizio del suo potere discrezionale di scegliere e valutare i singoli elementi probatori, non abbia delibato quelle risultanze delle quali la parte abbia espressamente dedotto la decisività; dall’altro ove abbia ritenuto sussistere o fatti ritenuti erroneamente notori o abbia sostituito la propria scienza personale alle emergenze di causa. Escluso quest’ultimo profilo, non formante oggetto di allegazione, il primo presupporrebbe che le parti ricorrenti avessero espressamente indicato degli elementi di prova negletti dalla Corte di merito, oggetto di specifiche censure in sede di impugnazione, chiaramente indicati come decisivi: tale articolazione difensiva non si rinviene nel ricorso, dal momento che, per ogni singolo manufatto del quale si è ordinata la rimozione, le parti ricorrenti hanno sottolineato semplicemente l’esistenza di una diversa interpretazione delle prove (documentali e testimoniali).

4 – Le considerazioni che precedono valgono anche per la censura attinente alla motivazione, dovendosi aggiungere che già di per sè la deduzione di tutti e tre i vizi che possono inficiare il processo argomentativo del giudice deve considerarsi inammissibile, non rispettando il principio di specificità posto dall’art. 366 c.p.c., n. 4; a ciò si aggiunga che nella fattispecie, non viene enucleato, dall’or logico della Corte distrettuale, il punto in cui la motivazione – interessante un punto decisivo della controversia – sia stata carente nella sua struttura argomentativa ovvero illogica nell’attribuire agli elementi di giudizio un significato fuori dal senso comune o, ancora, abbia dimostrato una mancanza di coerenza tra le varie ragioni esposte per assoluta incompatibilità razionale degli argomenti ed insanabile contrasto tra gli stessi. Nuovamente pertanto deve dirsi inammissibile la censura contenuta nel motivo in esame in quanto le parti ricorrenti hanno semplicemente fatto valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al diverso loro convincimento soggettivo, pur se solo nell’ottica di un preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, dal momento che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito di discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non già ai possibili vizi dell’iter formativo dello stesso.

5 – Deve infine dirsi inammissibile – in quanto priva di argomentazione che possa essere inquadrata come motivo di ricorso di legittimità – la domanda espressa solo in sede di conclusioni (fol 19 del ricorso) con cui viene chiesto di respingere le domande dei litisconsorti necessari C. relative all’accertamento della proprietà di un "revesio". 6 – Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna le parti ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 1.900,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre IVA, CAP e spese generali come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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