Cass. civ. Sez. II, Sent., 29-02-2012, n. 3127 Prelazione e riscatto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Dalla sentenza d’appello si ricava il seguente antefatto: C. P.G., conduttrice di un appartamento distinto dall’interno (OMISSIS), posto in un fabbricato sito in (OMISSIS), di proprietà dell’istituto religioso Piccola Opera della divina Provvidenza di Don Orione, interpellata con lettera del 26.2.1990 dall’ente locatore circa la disponibilità a rendersi acquirente della proprietà dell’alloggio, manifestava per iscritto la propria volontà affermativa. Alcuni mesi dopo, prima ancora che detta corrispondenza avesse esito, il conduttore dell’appartamento n. (OMISSIS) del medesimo edificio, S.G., propose alla C. l’acquisto di quest’ultimo immobile, in cambio di quello n. (OMISSIS), del compimento di lavori interni e di una somma a titolo di "buona uscita". Alla generica disponibilità manifestata della C., fece seguito la stipula in data 20.10.1990 del contratto preliminare dell’appartamento n. (OMISSIS) tra l’istituto proprietario e il figlio della stessa C., B.A.; ma a tale contratto non seguì la conclusione del definitivo di vendita. Nel frattempo, l’istituto religioso Piccola Opera della divina Provvidenza di Don Orione alienò l’appartamento n. (OMISSIS) a S. G. e a M.M.A..

Ciò posto, e per quanto ancora rileva in questa sede di legittimità in ordine all’unica domanda residua, C.P.G. conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Acqui Terme, il predetto istituto religioso, per sentirlo condannare al risarcimento dei danni assumendo essere stata violata la prelazione convenzionale concessa.

L’istituto resisteva alla domanda negando di aver inteso concedere all’attrice con la lettera del 25.2.1990 una prelazione all’acquisto o, ad ogni modo, di averle voluto comunicare una proposta di vendita.

Il Tribunale accoglieva la domanda, condannando l’Istituto a pagare ad B.A., che aveva proseguito la causa quale erede della madre, la somma di Euro 10.505,00 a titolo di risarcimento dei danni.

L’impugnazione proposta dalla parte soccombente era respinta dalla Corte d’appello di Torino, che compensava per 1/4 le spese del grado, ponendo i restanti 3/4 a carico della parte appellante.

La Corte territoriale osservava che la lettera del 25.2.1990 conteneva un preciso impegno a riservare la prelazione alla C., se solo quest’ultima avesse manifestato interesse all’acquisto, cosa che era poi avvenuta con la missiva di risposta del 14.3.1990. Rilevava, quindi, che era infondata l’eccezione della parte appellante circa il difetto di rappresentanza di colui il quale aveva agito per conto dell’istituto. Infatti, osservava la Corte, si trattava di una deduzione generica, perchè non corredata dell’indicazione del soggetto munito di tali poteri, e contraddittoria con l’impostazione difensiva seguita sia nel giudizio di primo grado, in cui la paternità del documento non era mai stata disconosciuta, sia nel processo d’appello, nel quale la Piccola Opera aveva sostenuto che B.A. si era reso acquirente dell’alloggio distinto dal numero (OMISSIS) quale soggetto interposto alla madre, che aveva accettato la prelazione offertale dall’ente proprietario. Ciò posto, rilevava ulteriormente che l’Istituto Piccola Opera non aveva mai comunicato alla C. l’intenzione di vendere l’alloggio n. (OMISSIS) con indicazione del relativo prezzo, e che era, altresì, infondata la tesi dell’appellante, secondo cui la C. avrebbe ceduto il diritto di prelazione al figlio, il quale si sarebbe interposto a lei nell’acquisto del diverso alloggio di cui al n. (OMISSIS). Quanto alla doglianza relativa alla mancata ammissione, da parte del Tribunale, di una prova orale avente ad oggetto la trattativa diretta alla cessione dell’appartamento n. (OMISSIS) al S., in cambio dell’alloggio n. (OMISSIS) al B., la Corte subalpina rilevava sia che il motivo era inammissibile, non avendo l’appellante proposto in allora reclamo al Collegio, nè avendo inserito detto capitolo all’interno delle rassegnate conclusioni, di fatto rinunciando ad insistere su di esso; sia che il capitolo di prova era diretto a provare trattative relative allo scambio dei due alloggi, comunque inidonee a suffragare la tesi propugnata dall’ente religioso, visto che l’asserita accettazione e cessione del diritto di prelazione da parte di quest’ultima erano documentalmente smentite, per un verso, dal mancato perfezionamento di un accordo con il S., e per altro verso, dal tenore delle lettere del 16.11.1990 e del 7.12.1990 della stessa C..

Per la cassazione di tale sentenza ricorre l’istituto Piccola Opera della divina Provvidenza di Don Orione, formulando quattro motivi d’impugnazione, illustrati da memoria.

Resiste con controricorso B.A..

Motivi della decisione

1. – Con il primo motivo parte ricorrente deduce la violazione dell’art. 1333 c.c. e il difetto di motivazione circa un punto decisivo della controversia.

Sotto il primo profilo, si sostiene che l’affermazione della Corte d’appello, secondo la quale con lo scambio delle lettere del 26.2.1990 e del 14.3.1990 si sarebbe perfezionata la concessione del diritto di prelazione, viola lo schema, applicabile nella fattispecie, della norma indicata, "poichè la comunicazione non contiene un impegno a preferire che sarebbe comunque invalido ed inefficace, in quanto proveniente da persona diversa dal legale rappresentante della Piccola Opera della Divina Provvidenza unico legittimato ad esprimere la volontà dell’ente proprietario dell’immobile per cui è causa".

Sotto il secondo, si lamenta che la Corte d’appello avrebbe affermato apoditticamente che la comunicazione del 26.2.1990 conteneva un preciso impegno a riservare la prelazione d’acquisto alla C., "non avendo adeguatamente analizzato il tenore letterale della comunicazione, nella quale non è mai utilizzato il termine "impegno" o equivalente, caratterizzante una proposta contrattuale".

Da ciò discende, prosegue parte ricorrente, che con detta comunicazione l’istituto si era limitato a chiedere alla C. una semplice disponibilità all’acquisto, quale presupposto per un’eventuale, successiva concessione di un diritto di prelazione.

Depone in tal senso anche il fatto che la lettera del 26.2.1990 proviene dalla Provincia Religiosa S. Benedetto di Don Orione di Genova, ufficio periferico della Piccola Opera, ed è quindi sottoscritta da persona diversa dal legale rappresentante di quest’ultima. Infine, è improprio ritenere provata l’esistenza dell’impegno deducendolo dalle ulteriori difese della stessa parte, svolte in subordine e per la sola ipotesi in cui fosse stata ritenuta l’esistenza di un obbligo a carico della parte convenuta.

1.1. – Il motivo è infondato in ciascuna delle censure in cui si articola.

1.1.1. – In ordine alla prima, va rilevato che secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il vizio di violazione e falsa applicazione della legge, di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, giusta il disposto di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, deve essere, a pena d’inammissibilità, dedotto mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, non risultando altrimenti consentito alla S.C. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass. nn. 16132/05, 26048/05, 20145/05, 1108/06, 10043/06, 20100/06, 21245/06 e 14752/07).

Nello specifico, la doglianza in esame, oltre a non indicare in quale suo passaggio motivazionale e in qual modo la sentenza impugnata avrebbe operato un malgoverno della norma denunciata, appare intrinsecamente contraddittoria, perchè l’art. 1333 c.c. è applicabile proprio ai contratti che, come il patto di prelazione senza previsione di corrispettivo, ha carattere preliminare unilaterale, con obbligazioni a carico del solo proponente, e si perfeziona allorchè, decorso il termine richiesto dalla natura dell’affare o dagli usi, il promissario non rifiuta l’offerta (cfr.

Cass. n. 79/57; sulla natura di contratto unilaterale del patto di prelazione, v, anche Cass. nn. 1889/53, 617/54 e 1790/56). E tale è l’esatta applicazione che la Corte d’appello ha dato a questa norma, pur senza menzionarla espressamente, lì dove ha ritenuto perfezionata la concessione della prelazione con la semplice lettera del concedente, essendone seguita l’accettazione (e dunque la non ricusazione) della C..

L’assunto, poi, che la ridetta disposizione sarebbe stata violata perchè la ritenuta offerta di prelazione sarebbe stata comunque inefficace, in quanto proveniente da soggetto non legittimato (s’intende, in senso sostantivo), disloca l’ambito della censura, traslandola dalla quaestio iuris inerente alla corretta applicazione delle tecniche di formazione del contratto (in cui si inscrive l’art. 1333 c.c.) ad una mera quaestio facti, non supportata da adeguata e argomentata critica all’impianto motivazionale della pronuncia impugnata, nè in questo, nè in altro motivo.

1.1.2. – La seconda censura involge una valutazione di fatto sull’accertamento che la sentenza impugnata ha effettuato in ordine al contenuto della lettera con la quale, secondo i giudici d’appello, la Piccola Opera concesse la prelazione d’acquisto alla C..

Si tratta di apprezzamento di puro merito che, insindacabile come tale in questa sede di legittimità, è supportato da idonea motivazione. La Corte subalpina, infatti, premesso il testo della lettera del 26.2.1990 – con la quale la Provincia religiosa S. Benedetto di Don Orione informava la C. della determinazione di alienare l’immobile, e prima di procedere alla vendita a terzi la invitava ad esprimere la propria disponibilità all’acquisto, in modo da riservarle la prelazione (così espressamente qualificata nella medesima lettera) -, ha ritenuto essersi trattato di un preciso impegno a riservare la prelazione alla destinataria, se solo ella avesse manifestato l’interesse all’acquisto, aggiungendo, a conferma, la circostanza che ciò era stato riconosciuto nello stesso atto d’appello, lì dove era scritto che il tenore letterale della missiva deponeva per la proposta di un impegno futuro e non attuale la cui definitiva manifestazione era condizionata alla disponibilità all’acquisto della parte destinataria.

La circostanza che la lettera non contenga parole come "impegno" o altre espressioni equivalenti, non vale ad intaccare sufficienza e solidità logico-giuridica dell’accertamento di fatto della Corte piemontese, ove si consideri che le manifestazioni d’obbligo possono essere rese in svariati modi e che quello ritenuto nella sentenza impugnata, che l’ha implicitamente ricavato dalla riserva di prelazione, è del tutto consono alla natura di tale istituto, che presuppone, ineludibilmente e per l’appunto, un’obbligazione di preferenza in una vendita futura.

2. – Il secondo motivo denuncia la falsa applicazione dell’art. 1350 c.c. e il connesso vizio motivazionale riguardo al fatto, ritenuto dalla Corte, che l’istituto Piccola Opera non abbia comunicato alla C. il prezzo di vendita del bene. Tale circostanza, sostiene parte ricorrente, è errata perchè irrilevante è l’inadempimento che la Corte territoriale ne ha tratto, atteso che la sola definitiva violazione della prelazione risiede nella vendita dell’immobile a un terzo, essendo invece irrilevante che la denuntiatio sia stata fatta e, in caso affermativo, se sia avvenuta per iscritto.

Piuttosto, prosegue parte ricorrente, il punto focale che la Corte subalpina non ha considerato è che esiste agli atti la prova che B.A. ha ottenuto dalla Piccola Opera la promessa di vendita del 20.10.1990 in esecuzione dell’obbligo derivante dalla prelazione concessa alla madre, quale cessionario del diritto di prelazione o quale soggetto interposto alla stessa C.. Il collegamento dell’obbligazione prelazionaria con la sottoscrizione della promessa di vendita anzi detta a favore di B.A., è stato espressamente riconosciuto dalla C., allorchè in atto di citazione quest’ultima affermò di aver "pur a malincuore", accettato la proposta del S.. Il rapporto intercorso fra questi e la C. "può qualificarsi come cessione e/o permuta del credito della prestazione cui la Piccola Opera si sarebbe obbligata con l’offerta prelazione". Pertanto, l’istituto, avendo adempiuto la sua obbligazione stipulando con B.A. il preliminare di vendita dell’alloggio n. (OMISSIS), nel senso comunicatole da quest’ultimo e dalla madre di lui, resta estraneo, in base all’art. 1260 c.c., in qualità di debitore ceduto, alle pattuizioni intervenute tra creditori cedenti e terzi cessionari, e non risponde del loro eventuale inadempimento.

2.1. – Il motivo è infondato, anche in tal caso in entrambe le censure che prospetta.

2.1.1. – Non è chiaro, infatti, in che modo e sotto quale profilo la sentenza impugnata abbia violato la norma dell’art. 1350 c.c.. La frase contenuta nella motivazione, secondo cui "la Piccola Opera non provvide mai a comunicare alla C. l’intenzione di vendere l’alloggio n. (OMISSIS) unitamente al relativo prezzo", e che tale denuntiatio, avendo ad oggetto un bene immobile, si sarebbe dovuta manifestare per iscritto, non contraddice nè l’art. 1350 c.c., nè l’indirizzo di questa Corte (pure richiamato nel motivo), poichè proprio quest’ultimo precisa che l’obbligazione positiva avente ad oggetto la denuntiatio nel caso di vendita del bene ad un terzo "sorge e si esteriorizza in uno al suo inadempimento" (cfr. Cass. n. 3571/99). Ed è questo il senso ovvio della decisione impugnata, visto che la vendita ad altri dell’appartamento n. (OMISSIS) già condotto dalla C. appartiene alla cornice fattuale di riferimento comune alle parti, e che in causa si è discusso (i) dell’esistenza della prelazione e (ii) del fatto che l’alienazione del predetto immobile a terzi l’abbia in concreto violata, date le particolari vicende riassunte in parte narrativa. Nessuna questione è sorta, invece, in ordine ad un’autonoma rilevanza dell’obbligo di denuntiatio.

2.1.2. – La seconda censura non considera, nè vale a superare il costante orientamento di questa S.C., in base al quale il mancato esame da parte del giudice del merito di elementi istruttori contrastanti con quelli posti a fondamento della decisione, ovvero il loro apprezzamento in maniera difforme dalle aspettative della parte, non integra, di per sè, alcun vizio di motivazione, il quale sussiste solo qualora il tessuto argomentativo presenti lacune, incoerenze e incongruenze tali da impedire l’individuazione del criterio logico posto a fondamento della decisione impugnata, restando escluso che la parte possa far valere il contrasto tra la propria ricostruzione dei fatti e quella operata dal giudice di merito (cfr. fra le tantissime, Cass. nn. 1754/07 e 3881/06).

Nello specifico, la critica che si desume dal mezzo concerne il complessivo apprezzamento dei fatti di causa e propone una diversa soluzione interpretativa dei costituti processuali consona agli interessi della parte ricorrente, ma non per questo atta a dimostrare carenze logico-giuridiche proprie del tessuto argomentativo della sentenza impugnata e desumibili solo da esso.

3. – Con il terzo motivo è dedotta la violazione degli artt. 281- quater, 177 e 178 c.p.c. e della L. n. 276 del 1997, art. 12, in quanto, relativamente alla mancata ammissione del capitolo di prova, il reclamo non era ammesso, trattandosi di causa assegnata alla sezione stralcio di cui alla citata legge e, dunque, decisa dal Tribunale in composizione monocratica, nè era necessario reiterare l’istanza di ammissione della prova in sede di precisazione delle conclusioni, poichè il giudicante poteva esercitare d’ufficio, senza bisogno di espressa sollecitazione di parte, il potere di revocare l’ordinanza che aveva rigettato l’istanza di prova.

3.1. – Il motivo è inammissibile.

Secondo il costante indirizzo di questa Corte, ove la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza (v. per tutte e da ultimo, Cass. n. 22753/11).

Nello specifico, la corte territoriale ha escluso l’ammissione della prova non soltanto per le suddette ragioni di carattere processuale (mancato reclamo avverso il diniego ed omessa riproduzione dell’istanza istruttoria in sede di precisazione delle conclusioni), ma anche per ragioni di merito (riportate sopra, in parte narrativa) basate sull’inidoneità del mezzo a provare la tesi dell’appellante (ossia la cessione della prelazione dalla C. al figlio), ragioni che non risultano oggetto di critica specifica se non quella (desumibile dal secondo motivo) basata su dati estrinseci alla motivazione e come tale non atta a configurare una censura ammissibile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5. 4. – Con il quarto motivo, infine, parte ricorrente deduce la violazione dell’art. 92 c.p.c. e il difetto di motivazione sulla percentuale di compensazione delle spese del grado.

4.1. – Anche tale motivo è infondato.

Nel regime anteriore a quello introdotto dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2, comma 1, lett. a), è il provvedimento di compensazione parziale o totale delle spese "per giusti motivi" che deve trovare un adeguato, anche se implicito, supporto motivazionale (cfr. Cass. nn. 24531/10, 17868/09 e 6970/09). La misura della compensazione, ove questa non sia stata disposta per l’intero, resta, invece, latamente discrezionale, in quanto esprime l’esercizio di un potere già altrimenti giustificato dalla motivazione della compensazione stessa, che essendo basata sull’equità richiede una spiegazione (non analitica, ma) di tipo olistico, e dunque svolta in maniera globale e unitaria senza che occorra un’ulteriore e autonoma illustrazione delle ragioni che ne abbiano orientato il quantum. Di conseguenza, non è censurabile, sotto il profilo della violazione di legge, la sola mancata specificazione delle ragioni per cui il giudice di merito abbia ritenuto di compensare le spese di giudizio per una data frazione e non per un’altra.

5. – In conclusione il ricorso va respinto.

6. – Le spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza della parte ricorrente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente alle spese, che liquida in Euro 1.700,00, di cui 200,00 per esborsi, oltre spese generali di studio IVA e CPA come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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