Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 15-06-2011) 04-10-2011, n. 35877 Reati tributari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza 5.03.2010 la Corte d’Appello di Palermo confermava la condanna alla pena di anni due di reclusione inflitta nel giudizio di primo grado a B.S. quale colpevole, essendo titolare di una ditta individuale, di avere indicato nelle dichiarazioni IVA degli anni 2001, 2002, 2003 elementi passivi fittizi avvalendosi di fatture per operazioni inesistenti emesse dalla ditta individuale Asaro Nicolo al fine di evadere l’IVA. Proponeva ricorso per cassazione l’imputato denunciando violazione degli artt. 157 e 161 cod. pen. perchè "il reato contestato … è stato commesso nell’anno 2002 e … stante il decorso di 9 anni dalla data di commissione, e da considerare … prescritto".

Aggiungeva che il termine massimo di prescrizione è di anni 7 mesi 6 che, tenuto conto di eventuali sospensioni del dibattimento per rinvii richiesti dalla difesa, era maturato prima della pronuncia della sentenza d’appello.

Chiedevano l’annullamento della sentenza.

Il ricorso è manifestamente infondato.

I delitti di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti, contestati all’imputato, riguardano le annualità 2001, 2002 e 2003 con decorrenza del dies a quo prescrizionale al 30 giugno dell’anno successivo.

Quindi, il termine massimo di prescrizione di anni 7 mesi 6 aumentato di 10 mesi per le sospensioni del dibattimento dovute a tre rinvii del dibattimento richiesti dalla difesa dall’11.01.2008 al 14.03.2008; dal 14.03.2008 al 9.05.2008; dal 9.05.2008 all’1.07.2008, è scaduto, per la prima annualità, il 30 ottobre 2010, dopo la pronuncia della sentenza d’appello, mentre per le residue annualità il suddetto termine deve ancora scadere.

L’inammissibilità del ricorso, dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi, non consente il formarsi di un valido rapporto d’impugnazione e preclude la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 c.p.p.. Cassazione SU n. 32/2000, De Luca, RV. 217266.

Grava, quindi, sul ricorrente l’onere delle spese del procedimento e del versamento alla cassa delle ammende di una somma che va equitativamente fissata in Euro 1.000.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 1.000 in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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