Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 15-06-2011) 04-10-2011, n. 35876 Violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

P.G., medico psichiatra e psicoanalista, è stato rinviato al giudizio del tribunale di Nocera Inferiore per rispondere dei reati di cui all’art. 609 bis c.p., comma 2, n. 1, art. 609 septies c.p., comma 4, art. 61 c.p., n. 2 poichè, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, abusando della condizione di inferiorità psichica di S.F. e di M.A., le aveva indotte a compiere e subire atti sessuali,costituiti anche da rapporti completi vaginali ed orali, nonchè del reato di cui all’art. 643 c.p. perchè, per procurarsi un ingiusto profitto, abusando delle condizioni di inferiorità psichica di entrambe le pazienti, – affette da attacchi di panico, le aveva indotte al compimento di atti pregiudizievoli consistiti. a) nella corresponsione di somme di denaro (pari a L. 180.000- 200.000) per ogni seduta di psicoanalisi, definita terapeutica, nel corso della quale le pazienti subivano i rapporti sessuali, meglio specificati nei capi di imputazione di cui in rubrica, definiti dall’imputato quali pratiche terapeutiche freudiane necessarie per la completa guarigione;

b) nella prestazione di lavoro domestico esattamente corrispondente all’ammontare dell’onorario preteso per le sedute di psicoanalisi che si concludevano con rapporti sessuali;

c) nella sottoposizione del figlio della S., di soli cinque anni, alle cure esclusive dello psichiatra il quale, in assenza di qualsivoglia prescrizione pediatrica, somministrava farmaci e sottoponeva il minore a terapia psicoanalitica di gruppo;

d) nella corresponsione per la M. di una somma di denaro di L. 500.000 per l’affitto di un’abitazione nella quale la stessa era stata convinta a trasferirsi.

All’imputato era stato , inoltre, contestato il delitto di violenza privata poichè, con la utilizzazione di tecniche anomali di psicoanalisi che prevedevano la divinazione del terapeuta considerato quale "Dio" con capacità predittive e dotato di onnipotenza, plasmava la vita familiare e privata delle vittime in modo da eliminare o ridurre grandemente la loro libertà di autodeterminazione – costringendole in tal modo a subire le sedute di psicoanalisi presso il suo studio sostenendo che esse erano necessarie per la guarigione.

Il tribunale ritenne l’imputato responsabile degli abusi sessuali che gli erano stati contestati in essi assorbite le violenze private e dichiarò non doversi procedere nei confronti del medesimo in ordine al delitto di cui all’art. 643 c.p. nonchè in ordine agli abusi sessuali commessi in danno della M. dal (OMISSIS) perchè si erano estinti per prescrizione. Condannò altresì il prevenuto alle pene accessorie previste dalla legge ed al risarcimento del danno nei confronti delle costituite parti civili.

La Corte d’appello con sentenza del primo giugno del 2010 confermò la decisione impugnata.

I fatti oggetto del processo, come ricostruiti dalle persona offese in dibattimento, si riferiscono ad episodi che si sono verificati, per la S., in un periodo compreso tra il (OMISSIS) e, per la M., tra il (OMISSIS).

La S. nel corso del dibattimento dichiarò di essersi rivolta al P. nel (OMISSIS), poichè affetta da disturbi che si manifestavano con attacchi di panico e di aver partecipato a sedute terapeutiche anche di gruppo fino agli ultimi mesi del (OMISSIS), allorchè il dottore le aveva proposto un percorso analitico individuale mediante terapia freudiana, successivamente intrapreso nel mese di (OMISSIS). Dopo la morte di una sua sorella, nel (OMISSIS), lo psichiatra le aveva prospettato la necessità di una nuova e più radicale terapia, unica adeguata a risolvere i suoi problemi riconducibili a disturbi della sfera sessuale; tale terapia però presupponeva rapporti sessuali in funzione terapeutica, affinchè, attraverso il corpo, si riproducesse l’evento della nascita della paziente. Avevano così avuto inizio i rapporti sessuali con lo psichiatra che erano proseguiti in occasione delle due sedute settimanali, ma i disturbi non erano cessati, anzi ai erano accentuati. La denunciante precisò che era stato proprio l’accentuarsi dei disturbi che l’aveva convinta a porre fine a quel tipo di terapia, mentre aveva proseguito con la terapia di tipo farmacologico sempre prescritta dal dott. P. con visite di controllo con cadenza settimanale o quindicinale fino al (OMISSIS), allorchè, a fronte dell’aggravarsi delle patologie,aveva iniziato un percorso terapeutico con la dottoressa Ma. che la l’aveva portata gradualmente, a prendere coscienza degli abusi subiti attraverso quella che le era stata prospettata come una terapia psicoanalitica.

Il racconto della M. non è diverso da quello della S., quanto meno per il tipo di approccio del terapeuta alle pratiche sessuali, salvo che per le conseguenze della nascita di m., concepita durante un rapporto sessuale con il P.. Anche la signora M. si era rivolta al dottore nel (OMISSIS) in quanto affetta da attacchi di panico. Anche nei confronti della predetta il medico propose di affrontare il disturbo con una terapia analitica che si prolungò fino al (OMISSIS), allorquando, dopo la nascita del secondo figlio, per problemi economici, la M. interruppe la terapia. A distanza di circa due anni la M. che, nel frattempo, per guadagnare il denaro necessario a pagare le costose sedute, aveva ripreso a lavorare come domestica, occupandosi delle pulizie, anche nello studio del dottore, riuscì a riprendere la terapia analitica: questa volta però il P. le espose la necessità di un percorso terapeutico che scavasse a fondo nella sua psiche, anche per rimuovere eventuali traumi che fossero riconducibili alla notizia appresa sulla sorella, anch’essa paziente del dott. P., la quale aveva scoperto di essere nata da un rapporto extraconiugale della madre, persuadendola in ordine alla necessità di intervenire sessualmente, facendo rivivere alla donna il rapporto sessuale che l’aveva generata. I rapporti sessuali ebbero, dunque, inizio nel (OMISSIS) e proseguirono nel corso delle terapie individuali, terapie che si interruppero nel (OMISSIS), quando la M. si accorse della gravidanza da cui nascerà il (OMISSIS), m..

Terminate le terapie individuali, i rapporti sessuali, comunque, proseguirono in occasione delle terapie di gruppo, non appena gli altri si allontanavano ed anche durante la settimana quando la M. andava allo studio per le pulizie. Con la nascita di m., il P. propose alla signora M. di prendere in affitto l’appartamento di (OMISSIS) che si era liberato poichè il medico aveva trasferito altrove lo studio.

Nel frattempo, la donna continuò a lavorare alle dipendenze del dottore, occupandosi delle pulizie dello studio ed a praticare la terapia di gruppo settimanale che le costava la somma di L. 120.000 a settimana. L"interruzione dei rapporti avvenne invece bruscamente nel (OMISSIS), in un periodo di grave disagio per la donna che, tuttavia, non rivelò nulla ai suoi familiari, peraltro quasi tutti pazienti del dottor P.. Solo quando fu contattata dal marito dell’altra paziente, nel febbraio (OMISSIS), riuscì a trovare il coraggio di rompere il silenzio e raccontare tutto quanto era accaduto negli anni precedenti.

Il P. negò di avere avuto rapporti sessuali con le sue pazienti e si rifiutò di sottoporsi all’esame del D.N.A. per accertare la paternità di m. che la parte lesa assumeva essere stata concepita a seguito dei rapporti con l’imputato.

La Corte, tanto premesso in fatto, a fondamento della decisione ha osservato anzitutto che le querele erano tempestive poichè il termine decorreva da quando le due vittime avevano avuto piena consapevolezza della natura illecita del comportamento del sanitario ed in ogni caso i reati sessuali erano procedibili d’ufficio per la connessione con reati procedibili d’ufficio ( art. 610 c.p. e art. 643 c.p.); che le vittime erano credibili intrinsecamente e capaci di testimoniare; che non potevano essere concesse le generiche per la gravità dei fatti.

Ricorre per cassazione l’imputato per mezzo del proprio difensore sulla base di tre motivi.

Motivi della decisione

Con il primo articolato motivo si deduce mancanza e contraddittorietà della motivazione nonchè omessa valutazione di elementi probatori favorevoli al prevenuto, segnalati con i motivi d’appello. Il ricorrente dopo avere evidenziato alcune contraddizioni contenute nella sentenza relativamente alla ricostruzione del fatto, deduce l’illogicità del ragionamento in base al quale il mero "differenziale di potere" tra ex medico ed ex paziente avrebbe indotto la M. ad avere rapporti sessuali durante le ore in cui svolgeva le pulizie. In ogni caso era da escludere la sussistenza del reato di circonvenzione di incapaci per il periodo intercorrente tra il (OMISSIS) in quanto i rapporti erano avvenuti al termine delle terapie di gruppo L’insussistenza della circovenzione d’incapaci escludeva la perseguibilità d’ufficio. Inoltre la Corte aveva omesso di considerare che il marito della M. in dibattimento aveva dichiarato di essere convinto che m. fosse sua figlia.

Si ribadisce inoltre la tesi che le querele sarebbero tardive. Con riferimento a quella proposta dalla S. si fa riferimento alla testimonianza della Pa., la quale aveva ricevuto la confidenza della S.. Con riguardo a quella della M. si sostiene che questa, quanto meno nel mese di (OMISSIS), aveva avuto contezza di essere stata ingannata. In ogni caso, anche a volere recepire la tesi della corte, secondo la quale solo nel (OMISSIS), la vittima era riuscita a trovare il coraggio di rompere il silenziosa querela sarebbe ugualmente tardiva perchè proposta il (OMISSIS).

Si deduce che illegittimamente la Corte aveva respinto la richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale diretta ad ottenere la sbobinatura,la trascrizione e l’eventuale riproduzione in aula della audio-video registrazioni dalle quali sarebbe emerso che i due testi della parte civile M. si erano contraddetti su circostanze fondamentali.

Si sostiene infine che la sentenza è illogica nella parte in cui ha ritenuto attendibile la S. poichè il racconto di quest’ultima non è credibile essendo inverosimile che per tanti anni nè la moglie dell’imputato nè i figli conviventi nè altri pazienti si siano resi conto delle attività sessuali compiute dall’imputato.

Con il secondo motivo lamenta violazione di legge per quanto concerne la ritenuta connessione con il delitto di violenza privata che era assorbito in quello di violenza sessuale Con il terzo motivo si denuncia violazione di legge relativamente al trattamento sanzionatorio nella parte in cui si escluso tra le due violenze sessuali ritenute in sentenza il vincolo della continuazione nonchè nella parte in cui si sono escluse le generiche.

Resisteva al ricorso la parte civile S. con memoria,con cui eccepiva l’inammissibilità del ricorso sotto diversi profili.

Anzitutto perchè non si comprende presso quale cancelleria del tribunale di Napoli esso fosse stato presentato nè il nome del pubblico ufficiale che aveva ricevuto l’atto o il nominativo del soggetto che aveva presentato l’impugnazione. In secondo luogo per la genericità dei motivi e comunque per la manifesta infondatezza degli stessi.

Preliminarmente si rileva che l’eccezione d’inammissibilità del ricorso per le incertezze sulle modalità di presentazione, avanzata dalla parte civile è infondata.

A norma dell’art. 582 c.p.p. il pubblico ufficiale che riceve l’atto deve indicare il giorno in cui lo riceve e la persona che lo presenta e, se richiesto, deve rilasciare attestazione della ricezione,per consentire un controllo sulla tempestività e legittimità del deposito. Secondo l’orientamento di questa Corte,l’indicazione della persona che ha presentato l’atto non richiede formule sacramentali.

L’adempimento si considera assolto anche quando l’identità della persona sia desumibile dall’esame dell’atto. Nella fattispecie l’atto è stato presentato nella cancelleria del tribunale di Napoli senza alcuna precisazione sulla qualificazione della cancelleria (civile, penale, fallimentare, ecc) che lo aveva ricevuto. Tale omissione non ha però determinato alcuna incertezza sull’individuazione dell’ufficio ricevente per la presenza della sottoscrizione del cancelliere .Per mezzo della sottoscrizione si poteva individuare il pubblico ufficiale che aveva ricevuto l’atto e quindi la cancelleria d’appartenenza. Anche l’omessa indicazione della persona del presentatore non dava adito a dubbi perchè nel silenzio si poteva presumere che fosse stato presentato dallo stesso soggetto che lo aveva sottoscritto ossia dal difensore. In ogni caso è assorbente il rilievo che la mancanza di uno degli adempimenti imposti dalla legge al cancelliere non determina l’inammissibilità dell’impugnazione, non potendosi addebitare alla parte le inosservanze del pubblico ufficiale, tanto più che la norma non pone a carico del soggetto che presenta l’impugnazione alcun onere di controllo sull’operato del pubblico ufficiale. Secondo l’orientamento di questa Corte l’inammissibilità dell’impugnazione, per inosservanze addebitabili al pubblico ufficiale, può essere pronunciata solo se l’inosservanza sia tale da escludere persino la possibilità della presunzione della legittima provenienza dell’atto da parte di chi aveva il diritto d’impugnazione (Cass n 2017 del 2000, rv 215911; cass. n 44171 del 2009, rv 245508). Nel caso in esame non esiste alcuna perplessità sulla provenienza dell’atto. Ciò premesso il collegio rileva che l’abuso commesso in danno della M. si è ormai prescritto essendo maturato il termine prescrizionale prorogato di anni 12 e mesi sei secondo la disciplina introdotta con la L. n. 251 del 2005, applicabile alla fattispecie perchè più favorevole, in quanto la sentenza di primo grado è stata pronunciata quando la legge anzidetta era già in vigore (cfr art. 10 della legge dianzi indicata e Corte Costituzionale 23 novembre 2006 n 323), avuto pure riguardo al periodo di mesi tre e giorni ventinove durante il quale il dibattimento è rimasto sospeso per impedimento del difensore.

Secondo i giudici del merito i rapporti sessuali con la M. erano cessati il (OMISSIS) (cfr sentenza di primo grado alla pagina 9).Tenuto conto del periodo di sospensione il reato si è quindi prescritto il 24 gennaio del 2010. D’altra parte già il tribunale aveva dichiarato prescritti i fatti commessi fino al (OMISSIS) e rimanevano perseguibile quelli compiuti fino al mese di (OMISSIS).

Il ricorso,ancorchè infondato per le ragioni che si esporranno in seguito allorchè l’impugnazione sarà ugualmente esaminata ai fini degli effetti civili, non può considerarsi manifestamente tale con riferimento quanto meno al mancato riconoscimento della continuazione tra i due abusi.

Per effetto della declaratoria di estinzione dell’abuso in danno della M. va eliminata la relativa pena di anni sei di reclusione . Vanno invece confermate le statuizioni civili nei confronti di entrambe le parti lese essendo i motivi addotti a sostegno dell’impugnazione in parte infondati ed in parte inammissibili.

E’ infondato il motivo relativo all’improcedibilità dell’azione penale per la tardività delle querele. In proposito va ribadito che il termine per proporre la querela non decorre dalla consumazione del reato,ma da quando la parte offesa ha avuto piena consapevolezza dell’illiceità del fatto. Quella sulla tempestività della querela è una tipica indagine di fatto che si sottrae al sindacato di legittimità se adeguatamente motivata.

Nella fattispecie i giudici hanno precisato che solo molto tempo dopo la perpetrazione dell’abuso le vittime avevano avuto consapevolezza dell’illiceità del fatto ed hanno considerato tempestive le querele.

In ogni caso è assorbente il rilievo che gli abusi sessuali erano comunque perseguibili d’ufficio perchè connessi con reati perseguibili d’ufficio e segnatamente con il delitto di circovenzione d’incapaci di cui all’art. 643 c.p. a nulla rilevando che per tale reato sia stata pronunciata declaratoria di estinzione per prescrizione.

Sulla configurabilità della circonvenzione non possono sussistere dubbi avuto riguardo al fatto che le pratiche sessuali non avevano alcun efficacia terapeutica sui disturbi che affliggevano le parti lese le quali, non solo subivano abusi sessuali, ma per tali abusi erano persino indotte a pagare l’abusante. I giudici del merito hanno accertato e dato atto che le pazienti anche se partecipavano a terapie di gruppo,si trattava comunque di sedute finalizzate a pratiche sessuali indotte dall’imputato. La stessa prestazione di lavoro domestico rappresentava un atto pregiudizievole sia per la S. che per la M. in quanto entrambe le donne avevano necessità di lavorare per pagare la costosa terapia,che in definitiva consisteva in abusi sessuali in loro danno.

Ciò è stato possibile per effetto dell’approfittamento delle condizioni di deficienza psichica delle vittime. Sono quindi palesi gli elementi costitutivi di tale reato costituiti dall’induzione a compiere atti patrimoniali come conseguenza dell’approfittamento della situazione d’inferiorità psichica.

La deficienza psichica non consiste nell’assenza di facoltà mentali o in una totale mancanza di capacità di intendere e di volere, essendo sufficiente una minorata capacità psichica con conseguente riduzione del potere di critica e di indebolimento di quello volitivo tale da rendere possibile o agevolare l’altrui opera di suggestione.

Ugualmente infondato è il motivo con cui si è censurata l’ordinanza della corte reiettiva della richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale,già avanzata in primo grado a norma dell’art. 507 c.p., respinta dal tribunale e reiterata con l’impugnazione. Il ricorrente aveva chiesto la rinnovazione del dibattimento: a) per ottenere la sbobinatura dell’audio-videoregistrazioni prodotte dalla difesa al fine di dimostrare che due testimoni indicati dalla parte civile si erano contraddetti; b) per sentire la teste C. sulla circostanza se avesse scritto lei il bigliettino prodotto dalla difesa della M. nonchè per eseguire un accesso sui luoghi dove sarebbero stati commessi gli abusi.

La Corte ha ritenuto non necessari tali accertamenti ai fini della decisione osservando che la richiesta di sbobinatura era stata avanzata tardivamente e comunque le dichiarazioni dei testimoni della parte civile erano relative a circostanze del tutto marginali, che l’audizione della teste Calzone era inutile perchè l’imputato aveva ammesso la paternità del bigliettino e che un sopralluogo nel locale dove sarebbero stati commessi gli abusi era anch’esso inutile dopo anni dal fatto.

Tale motivazione non presenta alcun profilo di manifesta illogicità perchè la corte con una motivazione analitica ha dimostrato al di là di ogni ragionevole dubbio la responsabilità del prevenuto anche e soprattutto perchè l’attendibilità della parte lesa è stata suffragata da elementi provenienti dallo stesso imputato,come ad esempio i bigliettini inviati alla M. contenenti espressioni affettuose ed inequivoci riferimenti alla nascita di m..

Il motivo relativo all’omesso riconoscimento del vincolo della continuazione tra i due abusi, si deve ritenere superato a seguito della declaratoria di estinzione dell’abuso perpetrato in danno della M..

Anche le attenuanti generiche sono state negate con una motivazione che non presenta alcun profilo di manifesta incoerenza.

Nel resto i motivi si risolvono in censure in fatto sull’apprezzamento delle prove e mirano ad ottenere una rivalutazione del materiale probatorio.

Premesso che le motivazioni delle sentenze di primo e secondo grado, essendo conformi, si integrano a vicenda, va ricordato che la Corte di Cassazione, anche a seguito della modifica introdotta con la novella del 2006, nel controllare la logicità della motivazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga la migliore ricostruzione dei fatti nè deve condividerne la giustificazione ma deve limitarsi a verificare se tale giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento (cfr per tutte Cass sez 4 9.2.2006, Vescio). Essa deve annullare soltanto quando le regole di esperienza poste dal giudice del merito a fondamento della decisione impugnata risultino universalmente e sicuramente rifiutate o manifestamente inaccettabili o palesemente contraddette da conoscenze tecniche e scientifiche. Non può quindi annullare la decisione sotto il profilo dell’illogicità per la possibile ed astratta sussistenza di una ricostruzione alternativa della vicenda il travisamento della prova sussiste quando il giudice del merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova inesistente ovvero su un risultato probatorio incontestabilmente diverso da quello reale. Non bisogna confondere il travisamento della prova ,che è censurabile in sede di legittimità, con l’erroneo apprezzamento delle risultanze processuali che continua a non essere deducibile. In proposito si è sottolineato che è censurabile in sede di legittimità solo l’errore revocatorio sul significante, in quanto il rapporto di contraddizione esterno al testo della sentenza impugnante,introdotto con la novella del 2006, non può essere inteso in senso stretto, quale rapporto di negazione sulle premesse, essendo ad esso estraneo ogni discorso confutativo sul significato della prova,considerato che nessun elemento di prova, per quanto significativo, può essere valutato per brani al di fuori del contesto nel quale è inserito (cfr Cass sez 5 11 gennaio 2007, Ienco; Cass sez 3 7 ottobre 2009, rv 245611). Per quanto concerne la prova dichiarativa si è rilevato che essa per la sua natura è scandita da significati non univoci perchè costituisce il frutto di una rappresentazione soggettiva del dichiarante. Di conseguenza essa può integrare gli "altri atti del processo" cui può estendersi lo scrutinio di legittimità sulla completezza e logicità della decisione soltanto nel caso limite in cui l’oggetto della deposizione sia del tutto definito o attenga alla proposizione di un dato storico semplice e non opinabile (cfr Cass sez 4 12 febbraio del 2008, Trivisonno, rev 239533).

Nella fattispecie i giudici del merito con una motivazione che non presenta alcun profilo di manifesta incoerenza hanno indicato le ragioni per le quali le parti lese erano credibili, mentre era del tutto destituita di fondamento la tesi alternativa proposta dal prevenuto. Questi ha negato di avere avuto rapporti sessuali con le due pazienti ed ha sostenuto che costoro lo avevano accusato per carpirgli denaro. Il suo assunto è stato però smentito dai bigliettini inviati alla M.. In proposito i giudici del merito hanno sottolineato che la parte lesa aveva esibito un biglietto che raffigurava un triangolo agli angoli erano indicati i nomi puntati del dottore della M. e di m. all’interno della figura v’era un segno che riproduceva l’intreccio tra un pelo della vagina della vittima ed uno del pene del prevenuto per simboleggiare che da quella sessualità la M. non avrebbe più potuto sciogliersi. Un altro bigliettino conteneva, secondo la persona offesa, un chiaro riferimento al concepimento di m..

In esso era scritto: "Abbiamo scelto una stella, abbiamo creato una Dea e l’abbiamo fatta nascere come una Donna che sarà il simbolo universale della Femminilità, m. la dolcezza, L. la bellezza".

L’imputato inizialmente aveva negato di avere scritto tali bigliettini,ma quando il tribunale aveva già nominato un perito per una perizia grafica, ne ha riconosciuto la paternità.

La parte offesa ha fatto ha fatto altresì presente che la figlia m. aveva un neo sul fondo schiena simile a quello del prevenuto.

L’imputato, invitato a sottoporsi ad ispezione corporale per verificare quanto affermato dalla vittima si è rifiutato, come si è rifiutato di sottoporsi all’esame del DNA per verificare la paternità di m..

Orbene, l’imputato è senza dubbio libero di scegliere la strategia difensiva che preferisce ma, se gli viene offerta la possibilità di screditare il proprio accusatore e la rifiuta, non può poi pretendere che la sua tesi difensiva ossia la tesi del complotto venga recepita sulla base della mera prospettazione.

Per quanto concerne la S., che era si era rivolta al dott P. da quando aveva quindici anni e che aveva riposto la massima fiducia in lui,i giudici del merito,anche per mezzo di una consulenza, hanno accertato che la ragazza non si era mai resa conto del disvalore della terapia sessuale alla quale era stata sottoposta.

Anche quando si era rivolta alla dott.ssa Ma. per un nuovo percorso terapeutico non era riuscita ad accettare l’idea che quanto le era accaduto non facesse parte di alcun protocollo terapeutico.

Persino dopo la presentazione della denuncia la S. ha continuato a manifestare dubbi sulla circostanza che non si fosse trattato di una terapia,continuando a ripetere tale interrogativo alla dott.ssa Ma. dalla quale sperava di avere una risposta tranquillizzante. Alla stregua delle considerazioni svolte la sentenza impugnata va annullata limitatamente alla condanna per l’abuso in danno della M. perchè tale reato si è estinto per prescrizione. La relativa pena di anni sei va eliminata; vanno però confermate per quanto concerne la M. le statuizioni civili. Nel resto il ricorso va respinto.

L’imputato è tenuto a rifondere alle parti civili le spese di questo grado liquidate come nel dispositivo che segue.

P.Q.M.

LA CORTE Letto l’art. 620 c.p.p.;

ANNULLA Senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato in danno di M.A. perchè estinto per prescrizione ed elimina la relativa pena pari ad anni sei di reclusione;rigetta il ricorso dell’imputato agli effetti civili. Rigetta il ricorso con riguardo al reato in danno di S.F..

Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese sostenute in questo grado dalle parti civili liquidata per ciascuna di loro in Euro 1800 (milleottocento oltre accessori di legge.

La Corte dispone inoltre che copia del presente dispositivo sia trasmessa all’amministrazione di appartenenza del dipendente pubblico a norma del D.Lgs. n. 150 del 2009, art. 70.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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