Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 15-06-2011) 04-10-2011, n. 35875

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di appello di Messina, con sentenza del 28 maggio 2010 ha rideterminato la pena in anni quattro e mesi otto di reclusione, in parziale riforma della sentenza del 9 aprile 2003 emessa dal Tribunale di Messina che aveva condannato G.A. per il reato di cui agli artt. 81 cpv. e 609 bis c.p., in quanto con violenza, consistita nell’afferrare M.E. per le braccia, la aveva trattenuta con la forza nel proprio ufficio, sito all’interno del terminal bus, baciandola contro la sua volontà sulla bocca e l’aveva spinta verso la scrivania ove l’aveva sbattuta con forza continuando a baciarla sulla bozza e sulle altre parti del corpo, nonchè consistita nel sollevarle la maglietta, nel tentarle di toglierle i pantaloni e, dopo avere denudato il proprio pene in erezione, afferrandole il capo, l’aveva costretta a chinarsi sullo stesso e ad avere un rapporto orale, in (OMISSIS).

L’imputato, tramite il proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione chiedendo l’annullamento della sentenza per i seguenti motivi: 1. Violazione ex art. 606 lett. b) ed e) in relazione all’art. 609-bis c.p. e art. 192 e ss. c.p.p., in quanto la sentenza di appello avrebbe ripercorso le stesse argomentazioni di quella di primo grado, omettendo di esaminare gli elementi difensivi circa il punto centrale del processo, costituito dalla credibilità della persona offesa: la sentenza sarebbe affetta da carenza motivazionale, in quanto non è stata costante la versione data dalla stessa, che ha potuto evitare l’esame dibattimentale essendo stata ascoltata in incidente probatorio. Lo scrutinio sarebbe quindi stato parziale, doveva anche essere valutato che la persona offesa aveva subito una violenza carnale quando era più giovane ed avrebbe potuto utilizzare tale vissuto per ammantare di verosimiglianza le sue dichiarazioni.

Inoltre la Corte non avrebbe tenuto conto della probabile relazione con l’imputato, sottostante all’incontro di quella sera. La sentenza avrebbe parcellizzato i dati; trovando per ciascuno una spiegazione spesso formale. Erroneamente sono stati ritenuti riscontri le dichiarazioni dei sanitari che riscontrarono solo uno stato di stress della donna che poteva derivare anche da un violento litigio con una persona con la quale si è avuta una relazione che viene conclusa bruscamente. Nè i giudici di appello avrebbero considerato che precedenti denunzie erano risultate infondate e che si tratta di un soggetto con tratti istrionici (come attestato dal parere pro veritate a firma del Prof. Z.). La sentenza avrebbe utilizzato un percorso motivazionale illogico anche quando analizza la sentenza relativa all’assoluzione delle due amiche – R.R. e C.C. – della M. coinvolte in un processo penale per calunnia, conclusosi con un’assoluzione non già per carenza dell’elemento psicologico, come sostenuto dai giudici di merito, ma perchè, come affermato dal giudice "non sembra che le imputate abbaiano in realtà avuto l’intenzione di aiutare il G. ad eludere le investigazioni della polizia, bensì abbiano voluto con il loro comportamento, rispettare la volontà manifestata loro dalla M. di non riferire momentaneamente ad alcuno quanto occorsole". 2. Violazione ex art. 606 c.p.p., lett. b), in relazione all’art. 609- bis c.p., u.c., in quanto i giudici avrebbero dovuto riconoscere l’ipotesi attenuata.

3. Violazione ex art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) in relazione all’art. 62-bis c.p., perchè non sono state concesse le attenuanti nella massima estensione a fronte di un fatto non grave.

4. Con motivi aggiunti sono stati ribaditi gli elementi circa l’erroneità della sentenza e per il fatto che non è stata ritenuta credibile la tesi difensiva che l’imputato e la M. fossero amanti. E’ stata inoltre evidenziata una carenza di motivazione circa la sussistenza del tentativo.

Motivi della decisione

1. I motivi di ricorso non sono fondati.

La sentenza di appello, confermando la ricostruzione dei fatti operata dal giudice di primo grado, ha sviluppato una propria autonoma ed ampia argomentazione, all’esito del compiuto esame delle censure avanzate dall’appellante, confermando il giudizio di piena attendibilità della testimonianza della persona offesa, alla luce anche degli elementi probatori di riscontro dei fatti, esponendo le proprie convinzioni con una motivazione esaustiva, congrua e di tranquillizzante tenuta logica, quanto alla credibilità della M., attesi anche i numerosi riscontri alla ricostruzione delle modalità della violenza sessuale narrata dalla stessa. Come è noto, in tema di sindacato del vizio della motivazione, il compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito o di seguire possibili interpretazioni e ricostruzioni alternative dei fatti, suggerite dal ricorrente, ma quello di stabilire se i giudici di merito abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre.

I giudici di merito hanno fatto buon governo dei principi di diritto affermati in materia di testimonianza della persona offesa nei reati sessuali, in relazione alla quale non è necessario applicare le regole probatorie di cui all’art. 192 c.p.p., commi 3 e 4 che richiedono la presenza di riscontri esterni (cfr., per tutte, Sez. 1, n. 29372 del 27/7/2010, Stefanini, Rv. 248016), anzi il giudice può trarre il proprio convincimento circa la colpevolezza dell’imputato anche dalle sole dichiarazioni rese dalla persona offesa, sempre che siano state sottoposte a vaglio positivo circa la loro attendibilità.

Orbene i giudici di merito hanno valutato l’attendibilità sulla base della costanza nel tempo della ricostruzione degli accadimenti effettuata dalla Ma.. La stessa dovette ricorrere alle cure del pronto soccorso, presso il quale si recò accompagnata da due amiche alle 23,50 del giorno dei fatti, presentando una reazione ansiosa – come documentato dalla cartella clinica – "deviazione della rima buccale, movimenti incongrui della bocca, eloquio difficoltoso", tanto che pur essendo riuscita a raccontare ai medico gli atti di violenza subiti, aveva indicato il nome dell’autore degli stessi solo dopo l’intervento in ausilio della psichiatra; il racconto della violenza fu poi riassunto nella denuncia querela sottoscritta nei locali dell’Ospedale il giorno successivo e riferito nelle dichiarazioni rese nel corso del giudizio, mediante l’incidente probatorio. La sentenza impugnata ha altresì valutato la attendibilità estrinseca delle dichiarazioni, alla luce dei riscontri documentati cartella clinica e delle testimonianze del medico e della psichiatra e di una delle amiche. Parimenti la Corte ha fornito una motivazione congrua ed immune da smagliature logiche delle numerose ragioni (una delle quali correlata all’accertamento dei tabulati telefonici del G. dai quali emerge che la donna non ebbe a chiamare l’uomo la sera dei fatti, come dalla moglie di questi testimoniato) che hanno portato i giudici ad escludere la tardiva rappresentazione difensiva circa la sussistenza di una relazione sentimentale tra il G. e la M., relazione la cui conclusione avrebbe giustificato una ripicca della donna, risultando invece pienamente credibile e rispondente ai dati sempre verificati dal traffico telefonico, quanto riferito dalla persona offesa, che ha spiegato la pregressa conoscenza con il G., titolare di una ditta di autonoleggio di pulmann, con il quale la stessa intratteneva rapporti di affari collegati al noleggio di autoveicoli da parte dei turisti che alloggiavano nell’albergo, circostanze che avevano costituito il motivo per il quale l’uomo l’aveva cercata nel pomeriggio del giorno del fatti ed avessero concordato un appuntamento nel parcheggio dell’albergo, dove il G. aveva anche il piccolo ufficio, nel quale aveva fatto entrare la donna con la scusa di darle il denaro pattuito e dove avvenne la violenza. Del pari condivisibile, nella sua logicità, la valutazione della decisione impugnata circa le dichiarazioni delle amiche della persona offesa R.R. e C.C., delle quali è risultato giudiziariamente escluso ogni sospetto di illiceità penale per l’ipotesi di i calunnia per carenza dell’elemento psicologico.

2. Risulta infondata anche la censura avanzata in merito al mancato riconoscimento della diminuente del caso di lieve entità: i giudici di merito hanno infatti rilevato che anche atti sessuali diversi dalla congiunzione possono presentare connotazioni di gravità e, nel caso di specie, le modalità aggressive e il rapporto orale imposto con violenza sono stati ritenuti dai giudici di merito motivi più che sufficienti a ritenere il fatto "non di lieve gravità". 3. Del pari infondato il motivo di ricorso relativo alla mancata applicazione nella sua massima estensione della diminuzione relativa alle riconosciute circostanze attenuanti generiche: il riconoscimento delle attenuanti generiche non implica automaticamente l’applicabilità della massima riduzione ed è stato affermato in giurisprudenza che il giudice nel concedere un’attenuante non ha neppure l’obbligo di motivare espressamente le ragioni per le quali la pena non è stata diminuita nella misura massima (in tal senso, Sez. 2, n. 1490 del 22/11/1995, Di Matteo, Rv. 203731). D’altro canto nella sentenza impugnata sono state segnalate in termini adeguati e corretti le ragioni per le quali i giudici di appello hanno ritenuto di applicare una riduzione contenuta al di sotto del terzo (in riferimento alla valutazione del comportamento processuale dell’imputato, ritenuto "non lineare").

4. Le ulteriori argomentazioni presentate con i cd. motivi aggiunti devono considerarsi respinte in riferimento a quanto osservato a proposito del primo motivo. Pertanto il ricorso deve essere rigettato e di conseguenza, in forza del disposto di cui all’art. 616 c.p.p., il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali ed a rimborsare alla parte civile quelle sostenute nel presente grado, che si liquidano in Euro milleottocento oltre accessori come per legge.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè alla rifusione di quelle sostenute dalla parte civile, che si liquidano in milleottocento euro oltre accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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