Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 15-06-2011) 04-10-2011, n. 35874 Violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di appello di Genova, con sentenza in data 17 maggio 2010 in parziale riforma della sentenza del GUP presso il Tribunale di Genova del 10 giugno 2009, all’esito di giudizio abbreviato, ha condannato G.N. e F.I. alla pena di anni quattro di reclusione, perchè ritenuti responsabili dei reati di cui agli artt. 110 e 609 bis c.p. (violenza sessuale continuata) commessi in danno di V.S., in (OMISSIS), assolvendo gli stessi dal delitto di sequestro di persona.

Avverso la sentenza hanno proposto ricorso gli imputati, chiedendone l’annullamento.

1. Il G., tramite il proprio difensore, ha lamentato l’illogicità manifesta della sentenza sotto due profili. Nell’atto di appello era stata evidenziata la non credibilità della persona offesa che aveva successivamente precisato di non avere avuto alcun rapporto orale con il G.. Inoltre la stessa aveva affermato di non avere potuto utilizzare il proprio telefono cellulare perchè privo di carica, mentre un utilizzo del telefono era stato provato. A tali censure la Corte ha risposto ponendo a giustificazione di alcune discrepanze lo stato della persona offesa, che fu trovata balbettante e tremante e rese le prime dichiarazioni in tale stato, ed alla fretta dei verbalizzanti. Quanto al cellulare la Corte avrebbe giustificato un possibile credito residuo del telefono. Tali spiegazioni risulterebbero frutto di mera congettura da parte dei giudici di appello. Ulteriore profilo di illogicità sarebbe costituito dal travisamento della prova costituita dalla consulenza tecnico biologica svolta in sede di incidente probatorio: il perito era stato incaricato di individuare nelle tracce biologiche, repertate sulla persona offesa nella immediatezza del fatto, la presenza del D.N.A. dei due imputati. Il perito aveva escluso la presenza di tracce del profilo genetico del G. e la Corte di appello aveva invece enfatizzato la critica alla refertazione dell’ospedale che il perito aveva fatto nella sua relazione circa l’effettuazione di un solo tampone vaginale anzichè due, per concludere circa la non rilevanza dell’esito della perizia nel giudizio.

Parimenti, circa l’assenza di fenomeni lesivi vulvo-perineali riscontrati sulla V., la Corte aveva ritenuto che tale elemento potesse giustificarsi in relazione al fatto che la persona offesa fosse adusa ai rapporti sessuali. Si tratterebbe in questo caso di un vero e proprio pregiudizio.

2. L’imputato F. ha censurato la carenza di motivazione ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. e) con riferimento alla mancata decisione sul punto dedotto in sede di motivi di gravame, circa l’evidente incongruenza della perizia disposta in sede di incidente probatorio sul materiale organico rinvenuto, svolgendo argomentazioni analoghe a quelle indicate nei ricorso del G..

Motivi della decisione

I motivi di ricorso sono infondati.

Deve ricordarsi che è ormai consolidato principio di diritto quello in base al quale, quando le sentenze di primo e secondo grado concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complessivo corpo argomentativo (Così, tra le altre, Sez. 2, n. 5606 dell’8/2/2007, Conversa e altro, Rv. 236181; Sez 1, n, 8868 dell’8/8/2000, Sangiorgi, Rv.

216906; Sez. 2, n. 11220 del 5/12/1997, Ambrosino, Rv. 209145). Tale integrazione tra le due motivazioni si verifica allorchè i giudici di secondo grado abbiano esaminato le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli usati dal primo giudice e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione e, a maggior ragione, quando i motivi di appello non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione di primo grado (Cfr. la parte motiva della sentenza Sez. 3, n. 10163 del 12/3/2002, Lombardozzi, Rv. 221116).

Nel caso di specie, I giudici di appello, che pure hanno fatto riferimento alle esaustive argomentazioni sviluppate nel dettaglio nella sentenza di primo grado, hanno fornito una valutazione autonoma dei motivi di appello sui punti specificamente indicati, verificando le ragioni dell’attendibilità della persona offesa, alla luce dei principi giurisprudenziali che consentono al giudice di trarre il proprio convincimento circa la responsabilità dell’imputato anche dalle sole dichiarazioni rese dalla persona offesa, sempre che sia sottoposta a vaglio positivo circa la sua attendibilità e senza la necessità di applicare le regole probatorie di cui all’art. 192 c.p.p., commi 3 e 4 che richiedono la presenza di riscontri esterni (cfr., per tutte, Sez. 1, n. 29372 del 27/7/2010, Stefanini, Rv.

248016).

In particolare i giudici di appello hanno ritenuto più che giustificabile il fatto che la persona offesa, la quale ha ammesso di prostituirsi saltuariamente, avesse potuto confondersi, imputando in un primo momento al G. anche un rapporto orale, in quanto era stato accertato che la donna, dopo essersi appartata in un magazzino del quale aveva la disponibilità il F. per consumare una prestazione sessuale vaginale protetta con lui pattuita in cambio di 20 euro, era stata in balia dei due uomini per alcune ore ed era stata costretta dapprima dal F., con la minaccia per la propria incolumità e con il supporto del di lui complice G., a varie penetrazioni anali e rapporti orali, successivamente anche il G., con la minaccia di non farla uscire viva dal magazzino, l’aveva costretta ad un rapporto anale ed uno vaginale senza preservativo.

La Corte di appello ha ritenuto che la tipologia ed il numero dei rapporti riferiti dalla V. fossero riscontrati dalle stesse dichiarazioni ammissive rese dagli imputati, nonchè dal rinvenimento del preservativo nel locale ove avvennero le violenze. Quanto all’assenza di lesioni, i giudici di merito hanno sottolineato come tale elemento sia perfettamente compatibile con l’assenza di resistenza opposta dalla donna ai numerosi rapporti sessuali, in conseguenza diretta delle minacce subite mentre veniva trattenuta contro la volontà nel magazzino, senza possibilità di muoversi durante gli atti di violenza, elementi questi che hanno trovato conferma, nonostante la pronuncia assolutoria in grado di appello dal reato di sequestro di persona, unicamente sulla base della considerazione che la restrizione della libertà posta in essere era risultata funzionale in via esclusiva alla commissione dei reati sessuali come perpetrati.

Quanto poi alla circostanza riferita dalla donna circa la mancanza di credito nel telefonino che le avrebbe impedito di chiamare aiuto, la sentenza impugnata, lungi da indugiare in congetture, ha ricostruito con esattezza la cronologia delle telefonate effettuate e ricevute sull’utenza intestata alla donna, dalla quale risulta che durante la segregazione della stessa nel magazzino risultavano solo chiamate "non risposte" in entrata, sicchè anche la telefonata successiva, effettuata dopo l’intervento della polizia, è stata ritenuta perfettamente compatibile con le dichiarazioni rese dalla V. circa la mancanza di credito. Per quanto attiene, infine, all’esito del tampone vaginale effettuato sulla persona della parte offesa, lo stesso è stato ritenuto dai giudici di merito irrilevante all’esito di un ragionamento congruo e privo di smagliature logiche: la scorrettezza delle analisi effettuate sulla vittima presso l’ospedale non aveva consentito di rilevare elementi di un rapporto avvenuto in vagina, ma non potevano valere ad escludere tale tipologia di rapporto; inoltre la persona offesa, dopo la costrizione a ripetuti rapporti sessuali, poteva anche avere percepito non correttamente la riferita eiaculazione in vagina (la sensazione di "bagnato"), circostanza che non poteva certo essere stata inventata da una persona offesa che ben sapeva di essere stata sottoposta al tampone vaginale. I ricorsi devono pertanto essere rigettati ed al rigetto consegue la condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ex art. 616 c.p.p..

P.Q.M.

rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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