Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 15-06-2011) 04-10-2011, n. 35871 Divieto e obbligo di dimora

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte d’appello di Venezia, con sentenza del 24 giugno del 2010, in parziale riforma di quella pronunciata con il rito abbreviato dal giudice dell’udienza preliminare presso il tribunale di Treviso il 23 dicembre del 2008, riduceva la pena inflitta a O.A.I. ad anni otto di reclusione e confermava nel resto la sentenza impugnata,con cui tra l’altro il prevenuto era stato condannato al risarcimento del danno nei confronti della costituita parte civile.

L’imputato era stato ritenuto responsabile del reato di cui agli artt. 81 e 609 bis c.p., art. 609 ter c.p., comma 1, n. 1, art. 609 quater c.p. perchè, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, aveva costretto F.L., figlia della propria convivente, a compiere e subire atti sessuali consistiti nello spogliarla, nel toccarla e nell’avere con la medesima plurimi rapporti sessuali completi, commettendo i predetti fatti con abuso di autorità esercitando, di fatto, la funzione genitoriale, ngnchè approfittando delle condizioni di inferiorità psichica della bambina; oggetto di abusi sin da quando aveva 9 anni. Fatti consumati in (OMISSIS) fino al mese di dicembre del (OMISSIS).

Secondo la ricostruzione fattuale contenuta nella sentenza impugnata, il responsabile del locale consultorio familiare comunicò ai carabinieri del luogo che presso quella struttura si era presentata, accompagnata dagli ex affidatari, una minorenne (di anni 13), che risultava essere in stato di gravidanza da nove settimane e tre giorni.

La minore, identificata in F.L., nata il (OMISSIS), riferì che il convivente della madre, fin dall’inizio della relazione fra i due, allacciata nel (OMISSIS), aveva manifestato delle attenzioni sessuali verso di lei, prima spogliandola, e accarezzandole il seno e le parti intime e poi, all’età di circa 9 anni, l’aveva iniziata a rapporti sessuali completi.

La minore ritenne inizialmente che il padre del bambino potesse essere tale P.D., con il quale, il (OMISSIS), aveva intrattenuto un rapporto sessuale ma, alla osservazione che l’inizio della gravidanza era precedente a quell’epoca, la stessa dichiarò che il padre poteva essere l’odierno imputato aggiungendo anche che quest’ultimo, nel gennaio del (OMISSIS), dopo che ella aveva comunicato alla madre di essere in ritardo con il ciclo, aveva iniziato a somministratole degli strani intrugli.

L’accusato, tratto in arresto, in sede di interrogatorio di garanzia, negò ogni addebito affermando di non aver mai avuto alcun interesse sessuale verso la giovane la quale aveva, invece, una relazione con il P., ostacolata sia da lui che dalla madre. Per tale ragione la minore aveva inteso vendicarsi accusandolo ingiustamente di abusi sessuali.

Il (OMISSIS) era effettuata l’interruzione della gravidanza e gli esami successivamente disposti sul feto, accertarono che il padre era senza dubbio l’odierno imputato. Successivamente si procedette , in sede di incidente probatorio, all’audizione della persona offesa la quale confermò l’originaria denuncia e cioè che da quando aveva circa 8 anni e frequentava la terza elementare ed abitava in (OMISSIS) l’imputato le toccava il seno dopo averle fatto togliere maglietta e pantaloni. Quando si erano trasferiti a Castelfranco l’uomo aveva iniziato ad accarezzarla nelle parti intime e successivamente l’interesse nutrito nei suoi confronti era sfociato in rapporti completi che si erano protratti fino al mese di dicembre del (OMISSIS), allorchè si era accorta del suo stato di gravidanza.

Sulla base di tali elementi è stata affermata la responsabilità dell’imputato, al quale, per la gravità del fatto e per la mancanza di resipiscenza, sono state negate le attenuanti generiche.

Ricorre per cassazione l’imputato per mezzo del proprio difensore sulla base di un unico motivo.

Motivi della decisione

Con l’unico motivo di gravame il difensore deduce la nullità dell’ordinanza pronunciata il 24 giugno del 2010 dalla Corte d’appello e della successiva sentenza per la violazione dell’art. 178 c.p.p., lett. c) per il mancato intervento dell’imputato. A tale fine precisa che l’udienza camerale era stata rinviata al 24 giugno del 2010 e che di tale rinvio era stata dato rituale avviso sia all’imputato, che all’epoca si trovava agli arresti domiciliari, che al suo difensore. L’imputato l’11 giugno del 2010, per mezzo dei carabinieri,aveva comunicato di volere partecipare all’udienza indicando però in modo erroneo la data (21 giugno anzichè 24 giugno), Alla data dell’udienza – 24 giugno – non si presentò. Il difensore dedusse il legittimo impedimento perchè il suo assistito non era stato autorizzato ad allontanarsi dal luogo di dimora. La Corte ha respinto la richiesta sostenendo non essere necessaria l’autorizzazione perchè la misura cautelare della custodia domiciliare era divenuta inefficace per decorrenza dei termine. Il ricorrente contesta la decisione della Corte sostenendo che l’autorizzazione era ugualmente necessaria e quindi sussisteva il legittimo impedimento del prevenuto.

Il ricorso va accolto.

La corte d’appello di Venezia,a seguito della rinnovazione della notificazione, aveva fissato la nuova udienza camerale per il 24 giugno del 2010. Il relativo avviso venne notificato sia al difensore che al prevenuto. Il 11 giugno del 2010 l’imputato per mezzo dei carabinieri fece presente di volere presenziare all’udienza camerale.

All’udienza il difensore,dopo avere premesso che nel frattempo, a seguito della scadenza dei termini di custodia cautelare, al proprio assistito era stato imposto l’obbligo di dimora in (OMISSIS), dedusse il legittimo impedimento dell’imputato, il quale non era stato autorizzato ad allontanarsi dalla propria dimora per raggiungere la Corte d’appello di Venezia.

La Corte respingeva la richiesta di rinvio per legittimo impedimento osservando che nessuna autorizzazione necessitava all’imputato per comparire in udienza.

L’assunto della Corte è infondato.

A seguito della scarcerazione per decorrenza dei termini di custodia cautelare al prevenuto, oltre all’obbligo di presentarsi quotidianamente ai carabinieri,era stato imposto anche quello di dimorare nel comune di (OMISSIS) l’obbligo di dimora di cui all’art. 283 c.p.p., comma 2 impone di non allontanarsi dal territorio del Comune di dimora senza l’autorizzazione del giudice. Tale autorizzazione è necessaria anche quando l’allontanamento è giustificato dalla necessità di partecipare al processo. Ora la tesi della Corte d’appello, secondo la quale non era necessaria alcuna autorizzazione, sarebbe stata fondata, se l’ufficio giudiziario ossia se la Corte d’appello si fosse trovata nel territorio del comune dove il prevenuto dimorava. Invece essa si trovava in altra provincia e ,pertanto, per raggiungere l’ufficio giudiziario il prevenuto doveva essere autorizzato espressamente ad allontanarsi dal territorio dove gli era stato imposto di dimorare.

Mancando l’autorizzazione, sussisteva il legittimo impedimento invocato dal difensore.

Per le considerazioni dianzi esposte la sentenza della Corte d’appello di Venezia va annullata con rinvio ad altra sezione della medesima corte per la rinnovazione del giudizio.

P.Q.M.

LA CORTE Letto l’art. 623 c.p.p.;

Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Venezia.

Così deciso in Roma, il 15 giugno del 2011.

Depositato in Cancelleria il 4 ottobre 2011

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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