Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 29-02-2012, n. 3058 Ordinanza ingiunzione di pagamento: opposizione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di appello di Firenze dichiarava inammissibile l’appello proposto dalla Direzione Provinciale del lavoro di Grosseto avverso la sentenza del Tribunale con la quale erano state annullate le ordinanze ingiunzioni emesse a carico della società Teleradio Center e di B.A. a titolo di sanzioni amministrative.

A fondamento del decisum la Corte territoriale poneva il rilievo secondo il quale, a seguito della modifica del D.Lgs. n. 40 del 2006, ex art. 26, della L. n. 689 del 1981, art. 23, l’appello avverso le sentenze pronunciate in materia di opposizione a sanzione amministrativa doveva essere proposto secondo il rito ordinario.

Conseguentemente, affermava la Corte del merito, l’impugnazione proposta con ricorso dalla citata Direzione Provinciale, in quanto notificato alla controparte oltre il termine di cui all’art. 325 c.p.c., era tardiva e, quindi, inammissibile.

Avverso questa sentenza il Ministero in epigrafe ricorre in cassazione sulla base di due censure, precisate da memoria.

Resistono con controricorso le parti intimate.

Motivi della decisione

Con la prima censura il ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 23, come modificato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 26, sostiene che il denunciato art. 23 come modificato dal citato D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 26, deve essere interpretato, a differenza di quanto ritenuto dal giudice di appello, nel senso che l’appello avverso la sentenza pronunciata in materia di opposizione ad ordinanza ingiunzione per sanzione amministrativa deve essere proposto con ricorso e non con citazione.

Con la seconda censura il ricorrente Ministero, allegando violazione della L. n. 689 del 1981, art. 23, come modificato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 26, afferma che erroneamente la Corte del merito non ha tenuto conto, ai fini della valutazione della tempestività dell’appello avverso la sentenza pronunciata in materia di opposizione ad ordinanza ingiunzione per sanzione amministrativa, della data del deposito del ricorso.

Le censure, che in quanto strettamente connesse dal punto di vista logico-giuridico vanno trattate unitariamente, sono, alla stregua della giurisprudenza di legittimità, infondate.

Preliminarmente va premesso che secondo giurisprudenza, oramai consolidata, di questa Corte il procedimento di opposizione a ordinanza ingiunzione relativa all’applicazione di sanzioni amministrative disciplinato dalla L. n. 689 del 1981, artt. 22 e 23, non rientra tra quelli per i quali la L. n. 742 del 1969, art. 3, dispone l’inapplicabilità della sospensione dei termini in periodo feriale, nè l’inapplicabilità della suddetta sospensione può ritenersi nelle ipotesi di violazioni amministrative concernenti la materia del lavoro o della previdenza e assistenza obbligatorie, sulla base dell’assunto che tali controversie rientrano tra quelle indicate dagli artt. 409 e 442 c.p.c., e sono pertanto soggette al rito speciale del lavoro, in quanto tale possibilità sussiste solo nei casi espressamente indicati dalla L. n. 689 del 1981, art. 35 (violazioni consistenti nell’omissione totale o parziale dei contributi e premi o violazioni dalle quali derivi l’omesso o parziale versamento di contributi e premi), norma che ha la funzione di valutazione legale tipica della natura del giudizio di opposizione come idoneo a soggiacere, con le sole eccezioni espressamente previste, al regime di sospensione dei termini in periodo feriale; ne consegue che l’osservanza del termine per la proposizione del ricorso per cassazione avverso la sentenza resa in tema di opposizione a ordinanza ingiuntiva del pagamento di una sanzione amministrativa va sempre valutata alla stregua del suddetto regime sospensivo, quale che sia la materia oggetto della violazione amministrativa, con esclusione dei casi sopra menzionati di eccezionale applicabilità del rito del lavoro espressamente previsti dalla citata L. n. 689 del 1981, art. 35 (Cass. SU 63/00, Cass. 10452/06, Cass. 20189/08 e Cass. 12006/2009).

Quanto alla questione oggetto di censura va rilevato che questo giudice di legittimità ha, più volte, affermato il principio in base al quale il procedimento di secondo grado relativo all’impugnazione di una pronuncia del tribunale riguardante un’opposizione ad ordinanza ingiunzione si deve svolgere, dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 26, secondo le regole generali del processo ordinario, sicchè il procedimento stesso deve essere introdotto mediante atto di citazione tempestivamente notificato alla parte appellata e non con ricorso.

Tuttavia, ove la parte abbia proposto l’impugnazione nella forma irrituale del ricorso, essa per ottenere l’effetto dell’utile radicamento del contraddittorio, è tenuta a notificare alla controparte l’improprio atto introduttivo e il decreto di fissazione d’udienza, del quale ultimo provvedimento è suo esclusivo onere acquisire conoscenza, informandosi presso la Cancelleria, la quale non è tenuta ad alcuna comunicazione relativa, alla stregua di quanto invece è previsto dalla disciplina di altri riti (Cass. 5826/11, nonchè Cass. S.U. 23285/10 dove con riferimento al giudizio di appello è stato che in tema di opposizione a sanzioni amministrative le regole speciali dettate per il giudizio di primo grado non possono ritenersi automaticamente estensibili anche a quello di appello, in mancanza di una espressa disposizione in tal senso).

Nè vi è alcuna valida nuova ragione od argomentazione tale da indurre il Collegio a rivedere il proprio specifico precedente. Del resto i compiti di nomofilachia, devoluti a questa Corte di Cassazione – che hanno trovato un rilevante riscontro nel D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, nonchè nella L. 18 giugno 2009, n. 69, che tali compiti ha provveduto a rafforzare in linea con quanto voluto dall’art. 65 dell’ordinamento giudiziario – inducono, altresì, a ribadire anche in questa sede i principi sopra enunciati, non valendo a sminuirne l’efficacia le ragioni, già valutate da questa Corte, esposte nel corso del presente giudizio dal ricorrente.

Il ricorso va, in conclusione, respinto.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 30,00 per esborsi ed Euro 2.000,00 per onorario, oltre I.V.A., C.P.A. e spese generali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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