Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 15-06-2011) 04-10-2011, n. 35870 Violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

La Corte di appello di Venezia, con sentenza in data 25 marzo 2010, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Treviso del 12 maggio 2009, ha condannato M.S. alla pena di anni otto di reclusione, per i delitti di cui agli artt. 81 cpv. e 609-bis c.p., 609-ter c.p., n. 1 (violenza sessuale aggravata in danno di minore di anni 14), perchè con violenza consistita nell’afferrare per un braccio e nel trascinare all’interno di un’abitazione la minore C.S. di anni 10 ed affetta da ritardo mentale, la costringeva a subire atti sessuali, fatto commesso in (OMISSIS).

L’imputato ha proposto ricorso per cassazione, chiedendo l’annullamento della sentenza per i seguenti motivi:

1. Inosservanza di norme processuali previste a pena di nullità:

art. 360 c.p.p., nullità dell’analisi del d.n.a. per mancato rispetto delle garanzie della difesa, in quanto è mancato l’avviso non solo al difensore ma anche all’indagato. La sentenza impugnata avrebbe affermato che l’accertamento tecnico aveva avuto natura complessivamente ripetibile, con applicabilità dell’art. 359 c.p.p..

2. Inosservanza di norme processuali previste a pena di nullità ( art. 369-bis c.p.p.) – inesistenza dell’informazione di garanzia.

Non sarebbe possibile fondare la penale responsabilità sulla base dell’analisi del D.N.A., in quanto già in data 28/04/2008 l’indagato aveva nominato il proprio difensore, mentre il conferimento dell’incarico per l’analisi del D.N.A, è successiva: dalla mancanza di informazione di garanzia deriva la nullità dell’accertamento tecnico e di tutti gli atti successivi e tale nullità non può essere considerata di carattere non assoluto, come affermato dalla Corte d’Appello, e quindi da eccepire immediatamente dopo il compimento dell’atto.

3. Inosservanza della legge penale: violazione dell’art. 143 c.p.p., attesa l’irritualità del consenso prestato dal prevenuto per il prelievo salivare per l’analisi del D.N.A. a causa della mancata traduzione dell’atto in lingua comprensibile all’indagato, alloglotta, tanto che durante il processo è stato assistito da interprete. La sentenza impugnata ha ritenuto che la manifestazione di tale consenso fosse irrilevante e non necessaria; ma se il consenso era mancante la P.G. avrebbe dovuto ottenere l’autorizzazione scritta del PM (oppure orale ma confermata per iscritto).

4. Difetto di correlazione tra l’imputazione contestata e la sentenza e conseguente nullità della sentenza ex art. 522 c.p.p.. Nel capo di imputazione si fa riferimento al fatto che l’imputato avrebbe abusato della minore con "penetrazione anale e vaginale", mentre dal certificato medico agli atti risulta che la minore non presenta nè lesioni nè abrasioni nelle regioni genitale e rettale. Secondo la sentenza il fatto che l’imputato non abbia portato a definitivo compimento, mediante una penetrazione completa, l’azione criminosa, realizzando un quid minus rispetto alla contestazione, non comporterebbe alcuna immutazione del fatto. Ma tale contestazione ha pregiudicato la possibilità di una richiesta di patteggiamento, con pregiudizio per la difesa.

5. Mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione – audizione della persona offesa minorenne – incapacità della stessa di resistere a forme di suggestione. Secondo la sentenza impugnata la colpevolezza dell’imputato ha trovato fondamento in due autonome fonti di prova entrambe autosufficienti, costituite un lato dalle dichiarazioni della persona offesa rese nelle forme garantite dell’incidente probatorio e dall’altro dalla comparazione del profilo genotipico estrapolato dagli spermatozoi rinvenuti nei vetrini del tampone vaginale della minore, eseguito nell’immediatezza della violenza sessuale subita, con quello ottenuto dal prelievo salivare effettuato sul prevenuto. Da ciò deriverebbe che l’eventuale inutilizzabilità della prova scientifica non avrebbe conseguenze. Si è ritenuto il racconto della minore credibile sulla base della perizia relativa alla ritenuta capacità di testimoniare della persona offesa ed invece la perizia sarebbe lacunosa, parziale ed addirittura fuorviante, in quanto il perito non ha videoregistrato i colloqui con la minore, ed ha violato altre regole della Carta di Noto. Inoltre la Corte di appello ha escluso interferenze di adulti avvero elementi comunque inquinanti la narrazione della bambina, non considerando che la stessa è stata sottoposta a domande dalla madre, dal Maresciallo B. e da almeno due sanitari dell’Ospedale civile di (OMISSIS), quindi da ben quattro persone, per cui si tratterebbe di falsi ricordi, di contagio, della suggestione del minore. Il perito Dott. P. non avrebbe spiegato le incongruenze del racconto della minore, che è stata in seguito ascoltata in sede di incidente probatorio, ad esempio in relazione al come era vestita la bimba il giorno dei fatti, nè avrebbe chiarito la inconciliabilità della riferita penetrazione anale e vaginale con quanto attestato con certificato medico.

6. Inosservanza dell’art. 192 c.p.p., comma 1, mancanza, contraddittorietà, manifesta illogicità della motivazione. Il ricorrente lamenta che la Corte di appello, in ordine alla datazione degli spermatozoi, abbia dato considerazione alla testimonianza del Ten. F. del R.I.S. di Parma (si tratterebbe di spermatozoi con testa e coda, e quindi da poco secreti dal corpo maschile) piuttosto che quanto affermato in difformità da quest’ultimo, dal Dott. Ca.Os., direttore del laboratorio di analisi dell’Ospedale civile di (OMISSIS), che aveva affermato che si trattava di spermatozoi vecchi di almeno 24, 48 o 72 ore, rendendo pertanto verosimile la tesi dell’autocontaminazione della bimba, che era stata vista giocare nei pressi dei cassonetti dell’immondizia.

7. Mancanza, contraddittorietà, manifesta illogicità della motivazione ed inosservanza od erronea applicazione della legge penale ( art. 133 c.p.), circa il quantum di pena. Posto che non v’è stata penetrazione la Corte avrebbe dato rilievo all’assenza di qualsiasi gesto risa rei torio (quando l’imputato è indigente ed è stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato), all’assenza di resipiscenza, all’avere approfittato di una bimba in condizioni di disabilita (condizioni non riconoscibili da parte dell’imputato che è alloglotta).

8. Mancata concessione delle attenuanti generiche.

9. Inosservanza o erronea applicazione della legge penale: diminuente del caso di minore gravità (art. 609 bis c.p.p., comma 3), trattandosi di penetrazione non consumata.

10. Inosservanza o erronea applicazione della legge penale quanto all’omessa derubricazione nell’art. 609 quater c.p. (atti sessuali con minorenne), in quanto non vi è prova che la minore sarebbe stata trascinata con la forza in casa, non essendo stati rinvenuti lividi o tumefazioni sugli arti superiori.

Motivi della decisione

1. Come è noto, quando le sentenze di primo e secondo grado concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complessivo corpo argomentativo (Così, tra le altre, Sez. 2, n. 5606 dell’8/2/2007, Conversa e altro, Rv. 236181; Sez 1, n. 8868 dell’8/8/2000, Sangiorgi, Rv.

216906; Sez. 2, n. 11220 del 5/12/1997, Ambrosino, Rv. 209145). Tale integrazione tra le due motivazioni si verifica allorchè i giudici di secondo grado abbiano esaminato le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli usati dal primo giudice e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione e, a maggior ragione, quando i motivi di appello non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione di primo grado (Cfr. la parte motiva della sentenza Sez. 3, n. 10163 del 12/3/2002, Lombardozzi, Rv. 221116). Nel caso di specie, i giudici di appello, che pure hanno fatto riferimento alle argomentazioni sviluppate nel dettaglio nella sentenza di primo grado, hanno fornito una valutazione più che dettagliata, ed autonoma, dei motivi di appello sui punti specificamente indicati.

2. Risultano innanzitutto infondati i primi tre motivi di ricorso riguardo all’utilizzabilità della prova scientifica attinente al rinvenimento del DNA del ricorrente nei reperti prelevati sulla piccola vittima, alla lamentata violazione del diritto di difesa connesso al mancato invio dell’informazione di garanzia ed alla irritualità del consenso prestato dall’imputato al prelievo salivare per mancata conoscenza della lingua italiana: la Corte di appello ha ampiamente chiarito quali fossero le basi giuridiche che ebbero a legittimare il prelievo salivare, che avrebbero consentito l’effettuazione dello stesso anche prescindendo dal consenso dell’adora indagato, il quale comunque non addusse alla P.G. la mancata comprensione circa il tipo di accertamento che venne compiuto nei suoi confronti. Inoltre i giudici di appello hanno precisato il carattere ripetibile del successivo accertamento tecnico conferito dal PM al R.I.S. del Carabinieri, per comparare il profilo genetico ricavato da tale prelievo con i reperti ricavati dal secreto vaginale e secreto anale della bambina: posto che il prelievo salivare è certamente ripetibile, è stato dato atto che i reperti provenienti dai prelievi effettuati sulla persona offesa sono ancora disponibili, tanto che poteva essere disposta anche la rinnovazione dell’accertamento tecnico, rinnovazione peraltro mai chiesta dall’imputato. Attesa la evidente ripetibilità dell’accertamento la Corte veneziana ha pertanto correttamente ritenuto che non sussistesse nessuna violazione del diritto di difesa in relazione alla indagine tecnica disposta dal pubblico ministero ai sensi dell’art. 359 c.p.p..

3. Risulta del tutto infondato il quarto motivo di ricorso, in quanto i giudici di merito hanno evidenziato come non sussista alcuna discrasia tra accusa contestata e sentenza quanto alle diverse modalità della violenza sessuale acclarate, attesa l’ampiezza della nozione di atto sessuale assunta a base della fattispecie di cui all’art. 609 bis c.p.. Infatti la sentenza di condanna è stata pronunciata in relazione allo stesso titolo di reato, anche se è stato precisato che non vi fu penetrazione completa, per cui non sussiste alcuna violazione del principio di correlazione tra l’accusa e la sentenza e l’imputazione formulata dall’accusa deve ritenersi completa nei suoi elementi essenziali in quanto il fatto è stato contestato in modo da consentire la difesa in relazione ad ogni elemento di accusa (Cfr. Sez. 4, n. 38991 del 10/6/2010, Quaglierini, Rv. 248847).

4. Il quinto e sesto motivo di ricorso vorrebbero suggerire criteri di valutazione delle testimonianza della persona offesa e dei testimoni diversi da quelli adottati dai giudici di merito, i quali hanno esplicitato, con motivazione ampia ed esente da vizi logici e giuridici, le ragioni del loro convincimento, circa la attendibilità della persona offesa, le cui dichiarazioni rese nel corso dell’incidente probatorio (esame protetto svoltosi senza la presenza della madre), e conformi a quanto riferito nell’immediatezza dell’abuso, sono state riscontrate dagli altri elementi probatori acquisiti. Del resto i giudici di merito hanno dato conto anche dei risultati della consulenza tecnica affidata dal G.i.p. ad uno specialista di neuropsichiatria infantile che ha evidenziato sia l’esistenza del ritardo mentale medio lieve, sia la non influenza di tale patologia sulla capacità a ricordare e testimoniare i fatti accaduti, concludendo per la credibilità della stessa. Nè può essere contestata la eventuale violazione dei protocolli della "Carta di Noto", in quanto questa Corte ha chiarito che non si determina nullità o inutilizzabilità dall’inosservanza di tali criteri, nè tale violazione può essere considerata, di per sè, elemento di inattendibilità delle dichiarazioni raccolte (cfr. da ultimo Sez. 3, n. 15157 del 16/12/2010, F. e altro, Rv. 249898). Di fatti, per giurisprudenza costante, è ammesso che il giudice possa trarre il proprio convincimento circa la responsabilità dell’imputato anche dalle sole dichiarazioni rese dalla persona offesa, sempre che sia sottoposta a vaglio positivo circa la sua attendibilità e senza la necessità di applicare le regole probatorie di cui all’art. 192 c.p.p., commi 3 e 4 che richiedono la presenza di riscontri esterni (cfr., per tutte, Sez. 1, n. 29372 del 27/7/2010, Stefanini, Rv.

248016).

La decisione impugnata, quindi, che ha confermato le valutazioni di merito espresse in primo grado, con motivazione congrua e priva di smagliature logiche, è stata fondata non solo sui risultati della prova scientifica sopra indicata, ma anche sulle dichiarazioni della minore C., valutate intrinsecamente ed estrinsecamente attendibili, soprattutto in quanto il linguaggio espressivo della minore, definito dai giudici di merito "crudamente realistico", in quanto tipico della incapacità di mediazione ed edulcorazione linguistica di una persona affetta da deficit mentale, risulta significativo proprio della vividezza del ricordo e della genuinità del racconto di esso.

5. Quanto poi alla riproposizione della possibilità di un’auto- contaminazione della bambina attraverso un presunto gioco svolto nei pressi del bidone dell’immondizia, elaborata sulla scorta di una presunta discrasia tra le valutazioni espresse dal consulente tecnico del R.I.S. (che avrebbe riscontrato spermatozoi provvisti di testa e coda, quindi secreti di recente) rispetto a quanto riferito dal primario del laboratorio analisi dell’ospedale (che aveva invece ritenuto la possibilità che gli spermatozoi potessero essere più risalenti nel tempo) tale ipotesi risulta destituita di qualunque fondamento, attesa la perfetta riconducibilità di tali spermatozoi al profilo del D.N.A. dell’imputato con una risibile percentuale biostatistica di errore (essendo possibile individuare un altro soggetto con il medesimo profilo genetico in un rapporto tra uno e 80 milioni di miliardi di individui).

6. Del pari risultano infondate, anche perchè generiche, le censure avanzate in merito al mancato riconoscimento della diminuente del caso di minore gravità ed alla mancata derubricazione nell’art. 609 quater c.p. (motivi nn. 9 e 10): i giudici di merito hanno infatti esaustivamente espresso le ragioni che escludono la configurabilità sia dell’attenuante del fatto di lieve entità – per le modalità con le quali gli abusi si verificarono, a prescindere quindi dalla completezza o meno della penetrazione – sia della diversa fattispecie invocata – posto che la mancanza di ecchimosi sul braccio della persona offesa non elimina la coercizione come riferita, la quale non necessitava certo di modalità particolarmente invasive date le condizioni soggettive della bambina, affetta da deficit mentale.

7. La Corte osserva che risulta invece fondata la censura relativa al diniego delle circostanze attenuanti generiche. Il giudice di primo grado ebbe infatti a negare tale riconoscimento in considerazione del precedente giudiziale dell’imputato connesso all’inosservanza dell’ordine di allontanamento del questore conseguente al decreto di espulsione (del D.Lgs n. 286 del 1998, art. 14, comma 5-ter) e valutata l’obiettiva gravità del fatto. Orbene con la sentenza in data 28 aprile 2011 (nel procedimento C. 61/11) la Corte di Giustizia dell’Unione europea ha stabilito che la legislazione penale Italiana sull’inottemperanza all’ordine di allontanamento contrasta con le prescrizioni della direttiva 2008/115/CE sulle procedure di rimpatrio per i cittadini extracomunitari. Nella parte motiva i giudici di Lussemburgo hanno precisato che al giudice nazionale "incaricato di applicare, nell’ambito della propria competenza, le disposizioni del diritto dell’Unione e di assicurarne la piena efficacia, spetterà disapplicare ogni disposizione del D.Lgs. n. 286 del 1998 contraria al risultato della direttiva 2008/115, segnatamente l’art. 14, comma 5 ter, di tale Decreto Legislativo (v., in tal senso, sentenze 9 marzo 1978, causa 106/77, Simmenthal, Racc. pag. 629, punto 24; 22 maggio 2003, causa C462/99, Connect Austria, Racc. pag. 15197, punti 38 e 40, nonchè 22 giugno 2010, cause riunite C188/10 e C189/10, Melki e Abdeli, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 43). Ciò facendo il giudice del rinvio dovrà tenere debito conto del principio dell’applicazione retroattiva della pena più mite, il quale fa parte delle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri (sentenze 3 maggio 2005, cause riunite C. 387/02, C391/02 e C403/02, Berlusconi e n. Racc. pag. 13565, punti 67 69, nonchè 11 marzo 2008, causa C 420/06, Jager, Racc. pag. 11315, punto 59)." Pertanto la Corte di giustizia ha dichiarato che "la direttiva 2008/115, in particolare i suoi artt. 15 e 16, deve essere interpretata nel senso che essa osta ad una normativa di uno Stato membro, come quella in discussione nel procedimento principale, che preveda l’irrogazione della pena della reclusione al cittadino di un paese terzo il cui soggiorno sia irregolare per la sola ragione che questi, in violazione di un ordine di lasciare entro un determinato termine il territorio di tale Stato, permane in detto territorio senza giustificato motivo" (punti 61 e 62 della decisione menzionata). La sentenza comporta la doverosa disapplicazione della fattispecie incriminatrice di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 14, comma 5-ter del T.u. immigrazione. Inoltre la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto come ulteriore implicazione che si imponga la disapplicazione anche del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 5-quater, per incompatibilità con la direttiva 2008/115 (ed direttiva rimpatri), dotata per l’appunto di efficacia diretta nell’ordinamento interno, con conseguente "sostanziale abolitio" del delitto di violazione dell’ordine di allontanamento volontario dal territorio dello Stato, rilevabile dal giudice di legittimità, ai fini dell’annullamento senza rinvio della sentenza di condanna per non essere il fatto più previsto come reato, pur se sia intervenuta "medio tempore" rinuncia al ricorso da parte dell’imputato" (cfr.

Sez. 1, n. 22105 del 28/4/2011, Tourghi, Rv. 249732).

Pertanto i giudici del rinvio dovranno riesaminare l’eventuale concedibilità delle circostanze attenuanti generiche, tenendo conto dell’abolitio del reato che ne aveva costituito un precedente ostativo.

In virtù dell’accoglimento del suddetto motivo di censura deve ritenersi assorbita anche la doglianza relativa all’utilizzazione dei criteri di cui all’art. 133 c.p. per la quantificazione della pena (motivo n. 7).

Di conseguenza la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente al diniego delle attenuanti generiche e di conseguenza in punto pena, con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Venezia.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata, limitatamente al diniego delle attenuanti generiche e di conseguenza in punto pena, con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Venezia, rigetta nel resto.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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