Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 15-06-2011) 04-10-2011, n. 35869 Violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 12.02.2010 la Corte d’Appello di Perugia confermava la condanna alla pena di anni 1 mesi 3 di reclusione inflitta nel giudizio di primo grado a P.G. quale colpevole del reato continuato di cui all’art. 609 bis c.p., u.c. per avere, con violenza, tentato di costringere S.Y. a subire atti sessuali afferrandola per i fianchi, verso la fine del marzo 2007, e per avere, con violenza, costretto la predetta a subire palpeggiamenti al sedere, il (OMISSIS) e le statuizioni in favore della costituita parte civile.

La corte territoriale confermava l’affermazione di responsabilità ritenendo credibile la persona offesa il cui racconto d’accusa era coerente, dettagliato e persistente e pure riscontrato da apporti esterni.

Proponeva ricorso per cassazione l’imputato denunciando violazione di legge e vizio di motivazione sulla ritenuta attendibilità della persona offesa che, unitamente al proprio compagno, nutriva astio e acredine nei confronti della famiglia P. e che aveva formulato una richiesta di risarcimento per ben Euro 75.000.

La stessa aveva reso dichiarazioni contraddittorie e illogiche specie per il primo episodio avvenuto senza contatto fisico, mentre il secondo era consistito in un fugace "accarezzamento".

Non era credibile che egli si fosse determinato a molestare la persona offesa, fidanzata del suo dirimpettaio entrambi abitavano nello stesso stabile proprio quando i rapporti di vicinato si erano deteriorati, nè che la predetta avesse mostrato alla sua fidanzata i messaggi da lui inviatile senza parlarle delle gravi molestie asseritamente subite.

Denunciava, altresì, mancanza di motivazione sull’elemento psicologico del reato perchè i fatti contestati non presentavano alcuna connotazione sessuale ben potendo le condotte censurate costituire un modo di infastidire e provocare il vicino per l’ingiusto comportamento tenuto nei confronti della sua famiglia.

Chiedeva l’annullamento della sentenza.

Il ricorso è manifestamente infondato e va dichiarato inammissibile con le conseguenze di legge.

L’obbligo generale della motivazione, imposto per tutte le sentenze dall’art. 426 c.p.p., richiede la sommaria esposizione dei motivi di fatto e di diritto su cui la decisione è fondata e va rapportato al caso in esame, alle questioni sollevate dalle parti e a quelle rilevabili o rilevate dal giudice.

Tale obbligo è assolto quando il giudice esponga le ragioni del proprio convincimento a seguito di un’approfondita disamina logica giuridica di tutti gli elementi di rilevante importanza sottoposti al suo vaglio, sicchè, nel giudizio d’appello, occorre che la corte di merito esponga compiutamente i motivi d’appello e, sia pure per implicito, le ragioni per le quali rigetti le doglianze.

Il giudice d’appello è, quindi, libero, nella formazione del suo convincimento, d’attribuire alle acquisizioni probatorie il significato e il peso che egli ritenga giusti e rilevanti ai fini della decisione, con il solo obbligo di spiegare, con motivazione priva di vizi logici o giuridici, le ragioni del suo convincimento.

Inoltre, quando "le sentenze di primo e secondo grado concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza d’appello si salda con quella precedente per formare un unico complesso corpo argomentativo" Cassazione Sezione 1 n. 8868/2000, Sangiorgi, RV. 216906.

Tanto premesso, va osservato che in tema di reati sessuali, poichè la testimonianza della persona offesa è spesso unica fonte del convincimento del giudice, è essenziale la valutazione dell’attendibilità del teste; tale giudizio, essendo di tipo fattuale ossia di merito, può essere effettuato solo attraverso la dialettica dibattimentale, mentre è precluso in sede di legittimità, specialmente quando il giudice del merito abbia fornito una spiegazione plausibile della sua analisi probatoria cfr.

Cassazione Sezione 3 41282/2006, Agnelli, RV. 235578.

Nel caso in esame, la corte territoriale ha ritenuto che gli elementi probatori acquisiti avessero spessore tale da giustificare l’affermazione di responsabilità dell’imputato richiamando le argomentazioni logiche dei giudici del primo giudizio, riferite alla globalità delle prove obiettive raccolte, non inficiate dalle censure difensive segnalate nell’atto d’appello.

Con argomentazioni incensurabili l’attendibilità della persona offesa è stata positivamente vagliata tenendo conto della coerenza e linearità delle sue dichiarazioni; dei riferimenti oggettivi e soggettivi; dei riscontri costituiti dai numerosi messaggi telefonici inviati da P. alla parte lesa con espressioni d’interesse nei suoi confronti e con richieste d’incontro.

Il ricorso, invece, articola soltanto censure in fatto che distorcono la sostanza del provvedimento impugnato che possiede, in quanto correlato a quello di primo grado, un valido apparato argomentativo del tutto rispondente alle utilizzate acquisizioni processuali.

A fronte di tale obiettiva ricostruzione dei fatti il ricorrente non ha proposto, quindi, seri elementi di contrapposizione, ma ha accampato giudizi d’inverosimiglianza e generiche censure inammissibili in sede di legittimità.

Non è puntuale la censura sulla qualificazione giuridica dei fatti.

In merito va rilevato che, con l’adozione della locuzione atti sessuali di cui all’art. 609 bis cod. pen., a seguito dell’abolizione della distinzione tra congiunzione carnale e atti di libidine violenti prevista dagli abrogati artt. 519 e 521 cod. pen., si è inteso evitare che le indagini processuali si risolvano in ulteriori lesioni della sfera dell’intimità sessuale e affermare che l’offesa alla libertà sessuale prescinde dal grado d’intrusione corporale subito dalla vittima.

L’oggetto giuridico introdotto con la L. n. 66 del 1996, inteso come libertà di autodeterminazione nella sfera sessuale, giustifica, quindi, il superamento delle nozioni di cui agli artt. 519 e 521 cod. pen. e la creazione dell’attuale concetto di atti sessuali, che "è la somma dei concetti previgenti di congiunzione carnale e atti di libidine Cassazione Sezione 3 n. 35118/2004, Gerboni, RV. 229555;

Cassazione Sezione 3 n. 2941/1999, Carnevali.

Rientrando il reato di violenza sessuale tra quelli contro la libertà personale, e non più tra quelli contro la moralità pubblica, l’illiceità dei comportamenti deve esser valutata alla stregua del rispetto dovuto alla persona umana, senza distinzione alcuna, e sulla loro attitudine a offendere la libertà di determinazione nella sfera sessuale, sicchè assume minor rilievo l’indagine sul loro impatto nel contesto sociale e culturale in cui avvengono.

In assenza di definizione legislativa dell’espressione atti sessuali, questa Corte, essendo stata eliminata la distinzione originaria, ha individuato una serie di criteri validi per un’adeguata determinazione della fattispecie legale riassumibili nell’indifferenza penale della natura delle manifestazioni della libertà sessuale quando non tocchino la libertà altrui e nella riconducibilità alla nuova espressione, oltre che del coito di qualsiasi natura, anche di qualsiasi atto diretto e idoneo a compromettere la libertà della persona attraverso l’eccitazione o il soddisfacimento dell’istinto sessuale dell’agente, sicchè essa viene a comprendere tutti gli atti che, secondo il senso comune e l’elaborazione giurisprudenziale, esprimono l’impulso sessuale dell’agente con invasione della sfera sessuale del soggetto passivo.

Pertanto la configurabilità del reato non dipende dall’interpretazione soggettiva del giudicante, ma è legata alla contestuale presenza di un requisito soggettivo (il fine di concupiscenza ravvisabile anche nel caso in cui non si ottenga il soddisfacimento sessuale) e di un requisito oggettivo consistente nella concreta idoneità della condotta a compromettere la libertà di autodeterminazione del soggetto passivo nella sua sfera sessuale e a suscitare o a soddisfare la brama sessuale dell’agente, sicchè rientrano tra gli atti sessuali "i toccamenti, palpeggiamenti e sfregamenti sulle parti intime delle vittime, suscettibili di eccitare la concupiscenza sessuale anche in modo non completo e/o di breve durata, essendo irrilevante, ai fini della consumazione del reato, che il soggetto attivo consegua la soddisfazione erotica" Cassazione Sezione 3 n. 44246/2005, Borselli, RV. 232901.

Ribadito che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, "in tema di violenza sessuale (art. 609 bis cod. pen.) la condotta sanzionata comprende qualsiasi atto che, risolvendosi in un contatto corporeo, pur se fugace ed estemporaneo, tra soggetto attivo e soggetto passivo del reato, ovvero in un coinvolgimento della sfera fisica di quest’ultimo, ponga in pericolo la libera autodeterminazione della persona offesa nella sfera sessuale" Cassazione Sezione 1, n. 7369/2006, RV. 234070, va osservato che, nella specie, è stato accertato con motivazione logica e incensurabile che l’imputato, che in precedenza aveva manifestato attrazione fisica verso la Y. chiedendole appuntamenti, una prima volta, incontratala lungo le scale dello stabile, l’aveva afferrata da tergo, cingendola alla vita, senza conseguire l’appagamento sessuale per la pronta reazione della vittima, mentre la seconda volta le aveva accarezzato i glutei.

Per l’inammissibilità del ricorso grava sul ricorrente l’onere delle spese del procedimento e del versamento alla cassa delle ammende di una somma che è equo determinare in Euro 1.000.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 1.000 in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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